La stretta relazione tra capitale umano e crescita economica
di Tim Management
L’Italia già in fase pre-pandemica stava attraversando una fase di bassa crescita economica e bassa produttività, complice la mancanza di una serie di riforme necessarie per ammodernare il sistema, che oggi grazie al PNRR si spera di poter avviare.
In uno studio condotto da Community Research&Analysis per Federmeccanica-Umana intervistando diversi imprenditori, è emerso che dopo la pressione fiscale e la burocrazia, alcune delle riforme più urgenti da attuare sarebbero inerenti alla tassazione sul lavoro, il cuneo fiscale, e allo scollamento della formazione scolastica rispetto alle esigenze delle imprese.
E’ bene differenziare in macro categorie i due grandi meccanismi che si interfacciano tra loro: da una parte il sistema paese e dall’altra le imprese stesse.
Riguardo il sistema paese, il tema principale riguarda la pressione fiscale ritenuta eccessiva dal 36,7% degli intervistati. Praticamente a pari merito con la burocrazia, ritenuta eccessiva dal 34,1%. Appena dopo però vengono il mercato del lavoro, troppo rigido secondo il 13,3% degli intervistati, ed un sistema formativo distante dalle necessità del sistema produttivo, secondo l’8.5%.
Scendendo nello specifico del mercato del lavoro, gli imprenditori segnalano l’esigenza di intervenire urgentemente sul tema fiscale. Oltre il 34% è d’accordo sulla diminuzione dell’aggravio fiscale sul lavoro, il cuneo fiscale di cui tanto si parla da anni ma che rimane il quinto più alto tra i Paesi Ocse: 46,5% nel 2021.
Il 20,6% degli imprenditori è poi d’accordo nel migliorare il rapporto tra sistema formativo e produttivo ed il 14,9% vorrebbe più flessibilità riguardo l’assunzione del personale.
In sintesi, per attuare delle politiche sul mercato del lavoro efficaci secondo gli imprenditori, andrebbe abbassata la tassazione sul lavoro e ci vorrebbe maggiore sinergia tra la formazione delle scuole e le imprese.
Mentre a livello di sistema paese le riforme sul lavoro erano percepite come prioritarie, ma in ordine secondario rispetto ad altre riforme, quando si focalizza l’attenzione sulle strategie delle singole aziende lo scenario cambia.
Nello studio condotto, le tre strategie che hanno raccolto il maggior consenso sono state:
- l’investimento nel capitale umano (20,6%),
- la diversificazione dei prodotti e dei servizi (20%) e
- il miglioramento della tecnologia e l’innovazione (19,9%).
Investire nel capitale umano ha un ritorno esponenziale per l’azienda.
Tanto più il capitale umano di un’azienda è valido, tanto più un’impresa si arricchisce ed mostra una spinta maggiore alla crescita.
Molto spesso però la struttura stessa delle aziende ed i suoi limiti finanziari ne vincolano l’innovazione, la crescita e quindi anche l’investimento nel capitale umano.
In tema di produttività infatti, le grandi aziende Italiane sono tra le migliori, raggiungendo quasi i livelli della Germania. Il problema risiede nelle piccole aziende che rappresentano la maggioranza delle imprese italiane e il cuore del sistema paese.
Le piccole aziende oltre a soffrire in termini di crescita e produttività, bloccano anche il mercato del lavoro non riuscendo ad inserire figure di alto profilo al loro interno, generando l’educational mismatch ovvero, il disallineamento tra il titolo di studio conseguito e la posizione lavorativa.
Di base poi in Italia si investe in assoluto poco nella formazione essendo, l’unico paese dell’Unione Europea in cui la spesa per interessi del debito pubblico supera quella per l’istruzione e non solo per i tassi di interesse più alti!
Questi due elementi fanno sì che ci sia il più basso numero di laureati, il 28% tra i 25 ed i 34 anni, rispetto alla media Ocse del 47%, e che molti di loro decidono di emigrare all’estero per avere opportunità di lavoro e carriera attraenti.
Nel confronto con gli altri paesi si vede come ci sia una forte relazione tra il reddito pro capite ed il livello di istruzione. Si calcola che nei paesi sviluppati un anno in più di istruzione possa aumentare la retribuzione del 10%. Ovviamente il rendimento è maggiore nei paesi in via di sviluppo e tende a diminuire nei paesi con i livelli di istruzione più elevati.
Di base il mercato del lavoro è quindi un sistema complesso che necessita urgentemente di cambiamenti strutturali importanti. Con il PNRR, oltre allo sviluppo dell’industria 4.0, alla transizione energetica ed ecologica, si spera di poter riequilibrare il mercato del lavoro con la riduzione del cuneo fiscale ed introducendo condizioni migliori e salari più alti.
Nel frattempo però gli imprenditori possono e devono investire nel capitale umano con le risorse della quale dispongono, investendo nelle risorse migliori per poter rimanere competitivi sui mercati.
Non sempre questo investimento deve appesantire il budget dell’impresa con assunzioni a tempo indeterminato, in funzioni che spesso non sono identificabili a priori come permanenti; un buon esempio di queste necessità sono tutte le figure legate alla digital transformation o al setup del monitoraggio dei valori ESG, ma anche, più banalmente, l’introduzione di un nuovo ERP di ultima generazione.
TIM Management può intervenire con successo in contesti di questo genere, offrendo dei manager ad interim, che portano competenze e know-how di alta qualità ad un costo temporaneo e inferiore rispetto all’inserimento a della figura manageriale a tempo indeterminato; inoltre gli interim manager aiutano l’organizzazione a crescere e a poter gestire le nuove necessità in autonomia, una volta che il temporary assignment sia concluso.
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