Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Come valorizzare il capitale umano e l’esperienza manageriale per migliorare le performance aziendali

I manager durante la loro carriera, accumulano costantemente conoscenze, competenze e skills, aumentando il valore del ‘capitale umano’ per se stessi e per le imprese.

I datori di lavoro possono attrarre e trattenere talenti riconoscendone il potenziale, offrendo loro la possibilità di sperimentare ruoli sfidanti e in questo modo rafforzare il loro bagaglio di esperienze e competenze.

Non tutte le aziende purtroppo  sono ugualmente brave ad accompagnare le risorse nel loro percorso di crescita  e non sempre le più grandi sono le migliori in questo senso, anche le PMI possono essere altrettanto abili delle loro controparti più strutturate. 

Il segreto è quello di raggiungere un buon livello di ‘salute organizzativa’, le aziende che offrono una formazione più strutturata per i propri dipendenti e quelle che offrono maggiori opportunità di avanzamento interno sembrano in grado di far crescere il talento delle loro risorse e, di pari passo, ottenere migliori risultati di business. 

Le persone spontaneamente cercano di entrare in questo tipo di aziende per migliorare le loro competenze e costruire un solido network, comprendendo che questa esperienza aprirà loro opportunità di crescita per il resto della loro carriera.

 

Le aziende possono aiutare le persone a costruire il proprio ‘capitale di esperienza’ e diventare ‘calamite’ per i talenti concentrandosi su tre priorità:

1. Comprendere il potenziale delle persone e  le loro attuali conoscenze e abilità.

La maggior parte delle imprese possono migliorare il processo di selezione dei manager. Invece di cercare candidati esterni “Santo Graal” la cui esperienza corrisponda esattamente al profilo del job, si dovrebbero sviluppare dei sistemi di valutazione dei candidati in base alla loro capacità di apprendere, al loro potenziale e alla loro capacità di ricoprire ruoli diversi, con responsabilità crescenti. 

Ciò richiede la progettazione di sistemi di valutazione del personale, interno ed esterno, che siano adatti allo scopo, concentrando la scelta sulle caratteristiche fondamentali che contano per il successo nel ruolo.

E’ una scelta che implica anche il superamento dei pregiudizi che possono incasellare le persone nei ruoli e nelle funzioni; questo punto è particolarmente importante quando si tratta di dipendenti esistenti. 

Le risorse hanno spesso capacità latenti che non sono riconosciute dai loro attuali datori di lavoro. Se il track record di una risorsa mostra la capacità di acquisire facilmente nuove competenze nel tempo, probabilmente significa che quella persona è in grado di apprendere di più e più velocemente di altre. I datori di lavoro dovrebbero essere meno vincolati nel reclutare candidati basandosi sul solo background, ed essere più aperti alle persone che hanno intrapreso percorsi di carriera non convenzionali.

E’ ovviamente più facile seguire un percorso di questo tipo per le grandi corporate che hanno la possibilità di far crescere le risorse con tranquillità, senza mettere a repentaglio i risultati, grazie alla presenza di manager interni esperti che possono accompagnare il percorso di crescita senza traumi. 

Le PMI hanno anch’esse la possibilità di operare scelte di risorse di potenziale, destinato a emergere con l’esperienza, grazie alla crescente disponibilità di Interim Manager esperti che possono coprire il ruolo temporaneamente, permettendo l’inserimento e la crescita delle nuove risorse di potenziale, contribuendo alla loro formazione e al loro sviluppo manageriale, oltre a garantire risultati eccellenti nel breve termine.

2. Permettere al manager di avere mobilità di ruolo e funzione. 

La grandissima maggioranza dei manager di successo ha più volte cambiato lavoro e anche funzione nel corso della propria carriera. Dal momento che non si può combattere il fatto che le persone di talento si muoveranno, la chiave per i datori di lavoro sta diventando quella di offrire la possibilità di muoversi all’interno dell’organizzazione

E’ un’operazione win-win: da un lato, le aziende possono continuare ad attrarre i migliori candidati tra i talenti alla ricerca di una nuova opportunità di crescita; dall’altro, possono aumentare la produttività e il coinvolgimento dei dipendenti di grande potenziale all’interno dell’azienda, dando loro la possibilità di cambiare funzione e ruolo.

Ogni ruolo dovrebbe avere percorsi chiari di crescita nella funzione e verso ruoli esterni, con abilità e requisiti definiti per ogni livello e job. 

Un modo per farlo in una grande organizzazione è quello di creare una piattaforma digitale interna in cui i dipendenti possono accedere a moduli di apprendimento e trovare la loro prossima opportunità di lavoro, è un sistema di learning e job posting interno

La mobilità porta esperienze preziose, non solo crescendo verso l’alto, e anche la mobilità laterale rappresenta un’opportunità di valore, trascurata da molte organizzazioni. E’ un modo per motivare i dipendenti, creare un legame solido con l’azienda e crescere il loro bagaglio di esperienza e skills, aumentando il valore del capitale umano nel tempo, senza dover sempre ricostruire da capo in occasione della partenza di una risorsa di potenziale.

Anche in questo caso è più facile creare percorsi laterali per i manager in grandi organizzazioni, dove coprire i ruoli scoperti è più facile, data la grande disponibilità di risorse esperte, locali e all’estero. Ma questo purtroppo non è sempre vero e soprattutto non è vero per le PMI; anche in questo caso la possibilità di reclutare velocemente Interim Manager esperti, pronti a coprire ogni livello di responsabilità e ruolo, senza compromettere i risultati e senza la necessità di training, è un’arma fondamentale da utilizzare per ottimizzare i percorsi di carriera delle risorse interne di valore.

3. Rafforzare il coaching ed enfatizzare il ruolo del manager. 

La maniera migliore di  sviluppare competenze avviene giorno per giorno sul posto di lavoro, in un processo che si accumula nel tempo e alla fine rappresenta quasi la metà del valore del ‘capitale umano’ raccolto in una vita lavorativa, come suggerisce una ricerca recentemente pubblicata da McKinsey. 

 

Il coaching e un adeguato training possono massimizzare questo effetto, in particolare all’inizio della carriera ma anche quando si entra in nuovo ruolo, anche e soprattutto se è di grande responsabilità.

La cosa migliore sarebbe pianificare un periodo di 6 mesi / un anno che permetta un graduale apprendimento dei contenuti del ruolo e delle competenze necessarie a coprirlo con successo; è un percorso che, in ruoli manageriali, richiede la presenza di un manager esperto che affianchi la risorsa e che le permetta di crescere senza urgenza e senza compromettere le performance aziendali.

Le opportunità di apprendimento e formazione sono considerate fondamentali, soprattutto dai manager di successo, e rappresentano una valida ragione per restare in azienda.

Ancora una volta le PMI sono penalizzate rispetto alle grandi corporate ma, ancora una volta, la possibilità di reclutare Interim Manager esperti può rappresentare una soluzione brillante alle necessità di coaching dei manager interni e la possibilità di fornire loro le giuste competenze nel periodo di introduzione al ruolo,  senza mettere a repentaglio i risultati aziendali e permettendo anche loro di seguire corsi di formazione e aggiornamento senza lasciare scoperta la posizione.

 

La pandemia ha portato un gran numero di manager a riconsiderare il loro percorso di carriera e il loro datore di lavoro, e questo vale ancora di più per i manager di più alto potenziale che possono facilmente trovare ruoli gratificanti al di fuori della loro azienda e anche della loro funzione. 

La sfida per le aziende, in particolare per le PMI che rappresentano la spina dorsale delle filiere produttive del nostro paese, è quella di offrire ai loro manager più potenziali opportunità di crescita, anche laterale, concrete e ai nuovi manager reclutati un percorso di carriera e di formazione in linea con le loro aspettative.

TIM Management viene in aiuto delle PMI offrendo Interim Manager Esperti, operativi in pochi giorni, che possono coprire ogni necessità organizzativa e permettere alle risorse interne di beneficiare del loro bagaglio di esperienza e competenze e di seguire percorsi di carriera più gratificanti e motivanti.

Le aziende di successo sono quelle che riescono a massimizzare il valore del ‘capitale umano’ per l’organizzazione e per i manager, ottenendo sempre i migliori risultati di business.

 

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Leadership e gestione Hr: il modello Usa e quello cinese a confronto

La pandemia ha focalizzato l’attenzione delle aziende sulle capacità dei leader di adattarsi e di riorganizzare le imprese secondo i nuovi criteri imposti dall’emergenza sanitaria. Le qualità dei leader sono state messe alla prova dall’assenza fisica del management e dalla necessità di gestire il lavoro in remoto. Proprio in questo frangente è interessante valutare quali modelli di leadership si siano rivelati vincenti e come implementarli nella nostra realtà aziendale, rivedendo alcuni aspetti della nostra gestione organizzativa.

 

Ormai il poter lavorare da casa rappresenta un punto di non ritorno al quale nessuna organizzazione e nessun dipendente vorrà rinunciare completamente. Per questo motivo è indispensabile adattarsi a questa nuova modalità lavorativa ibrida, imparando a gestire e a motivare i dipendenti anche da remoto e, allo stesso tempo, sfruttare questo cambiamento per chiederci se effettivamente il nostro modello di leadership funziona o se ha margini di miglioramento. 

Nel contesto è interessante valutare punti di vista differenti, infatti non tutti i paesi adottano modelli di leadership identici e anzi, tra il Nord America e la Cina esistono profonde differenze in qust’area. 

 

Quali sono le principali differenze di leadership fra imprese occidentali e aziende orientali?

 

Lo stile di leadership si fonda sulla cultura di ciascun paese quindi è molto diverso tra Oriente ed Occidente; anche se alla base ogni leadership efficace, orientale o occidentale che sia,  è il sapersi conquistare la fiducia dei propri collaboratori. In Cina, ad esempio, esiste una maggiore distanza gerarchica tra capo e collaboratore e si tende a valutare il lavoro svolto solamente come squadra, senza considerare l’input di ogni membro.  

Al contrario negli Stati Uniti si predilige la cultura individualistica nella quale viene premiato il singolo. Le gerarchie sono molto più appiattite ed in alcune organizzazioni i ruoli poco definiti e flessibili. Quindi il modello USA è costituito da una leadership molto più aperta ed orizzontale mentre il modello cinese è ancora molto piramidale e basato sulla gerarchia. 

 

Negli Stati Uniti la leadership consiste nell’individuare un obiettivo e predisporre le risorse adeguate per raggiungerlo. Il leader in Cina invece è considerato una persona illuminata, con caratteristiche poco comuni, che, spinto da obiettivi non solamente economici, è capace di motivare i propri dipendenti a comportamenti innovativi e di grande impatto. 

 

In Cina la leadership contiene anche un aspetto di modellamento morale che risulta essere assente in Occidente. Molto spesso è proprio nella sfera etica dove si rivelano le virtù dei leader. Egli, con i suoi comportamenti, propone un modello da seguire per i suoi collaboratori. Se tali comportamenti vengono assorbiti ed emulati non è solo merito del leader ma è anche dipendente dal livello di apertura al cambiamento e alla volontà di crescita e apprendimento dei suoi collaboratori. 

Il leader in Cina non è un riferimento prettamente professionale ma ha anche un ruolo di responsabilità verso le famiglie dei suoi collaboratori. Questo è dovuto al fatto che nella cultura cinese c’è minore distanza tra sfera personale e sfera lavorativa. 

 

Nella cultura tradizionale cinese manifestare apertamente dissenso verso il proprio leader o comunicare un feedback negativo ad un collega in presenza di altre persone sono azioni da evitare in quanto il ricevente non può rispondere con i dovuti modi visto che sarebbe un comportamento culturalmente inaccettabile. Inoltre contraddire il proprio capo andrebbe contro il mantenimento della distanza gerarchica. Questo non vuol dire che i cinesi non litighino mai. Nella cultura cinese però discutere è visto come un’attività controversa più che propizia, vedendo il conflitto ed il confronto come una lacerazione delle relazioni sociali, e per questo da evitare.

 

In Occidente e negli Stati Uniti la leadership si è modificata molto negli ultimi anni integrando le risorse interne, e anche spesso esterne all’organizzazione, in un’organizzazione più “lean”.

In molte imprese i rapporti con i dipendenti sono cambiati. Molte aziende da verticalizzate si sono spostate ad un approccio più orizzontale. Sono cresciuti i team di lavoro legati ad un progetto e  le relazioni, sia con la proprietà che con il top management sono molto più diretti e aperti.  

Di conseguenza, anche la figura del leader si è modificata nel tempo. Un tempo essere leader significava essere autoritari. Il leader imponeva la propria mission all’intera azienda, confrontandosi con i suoi collaboratori in modo sporadico e principalmente con il top management.

Le decisioni erano prese in una stanza senza nessun coinvolgimento da parte dei dipendenti che erano informati solo a decisione presa. Oggi il leader deve invece riuscire a creare un insieme di valori culturali condivisi all’interno dell’organizzazione; valori e obiettivi che deve comunicare coinvolgendo maggiormente i propri collaboratori, rendendoli più partecipi e parte attiva delle decisioni aziendali. 

Sebbene i due modelli siano nettamente in contrasto, con un approccio mirato al confronto e alla comunicazione diretta in Occidente, ed una cultura molto più gerarchica e formale in Oriente, si possono trarre delle note positive da entrambe le tipologie di leadership ed adattarle al proprio stile di gestione aziendale. 

Per quanto il modello cinese possa apparire in contrasto con la cultura Occidentale si possono estrapolare dei principi utili, tenendo a mente ad esempio che non sempre il confronto e le discussioni sono per forza migliorative e possono andare a discapito delle relazioni interpersonali dei lavoratori, rendendo per assurdo il processo decisionale più lento e meno efficace. Inoltre l’idea che un leader si senta responsabile non solamente dei lavoratori ma anche delle loro famiglie, è sicuramente un principio sano da considerare.

Proprio questo momento storico, nel quale si stanno rivalutando i diversi modi di lavorare e di gestire al meglio il personale, può essere l’occasione giusta per innovare la metodologia di lavoro aziendale e lo stile di leadership dell’organizzazione. 

La figura di un consulente esterno esperto, in un contesto di cambiamento dell’organizzazione e dello stile di leadership, può essere la risorsa ottimale da inserire all’interno dell’impresa per facilitare il cambiamento e formare il management interno, e farlo senza creare frizioni dato che il leader è incaricato per la gestione del progetto di riorganizzazione ed è destinato a lasciare la gestione ai manager. TIM Management, con il suo ampio network di professionisti selezionati nel tempo ed esperti in ogni settore, può offrire la migliore assistenza, rendendo operative le risorse necessarie in tempi brevissimi.

La stretta relazione tra capitale umano e crescita economica

L’Italia già in fase pre-pandemica stava attraversando una fase di bassa crescita economica e bassa produttività, complice la mancanza di una serie di riforme necessarie per ammodernare il sistema, che oggi grazie al PNRR si spera di poter avviare. 

In uno studio condotto da Community Research&Analysis per Federmeccanica-Umana intervistando diversi imprenditori, è emerso che dopo la pressione fiscale e la burocrazia, alcune delle riforme più urgenti da attuare sarebbero inerenti alla tassazione sul lavoro, il cuneo fiscale, e allo scollamento della formazione scolastica rispetto alle esigenze delle imprese. 

 

E’ bene differenziare in macro categorie i due grandi meccanismi che si interfacciano tra loro: da una parte il sistema paese e dall’altra le imprese stesse. 

Riguardo il sistema paese, il tema principale riguarda la pressione fiscale ritenuta eccessiva dal 36,7% degli intervistati. Praticamente a pari merito con la burocrazia, ritenuta eccessiva dal 34,1%. Appena dopo però vengono il mercato del lavoro, troppo rigido secondo il 13,3% degli intervistati, ed un sistema formativo distante dalle necessità del sistema produttivo, secondo l’8.5%.

 

Scendendo nello specifico del mercato del lavoro, gli imprenditori segnalano l’esigenza di intervenire urgentemente sul tema fiscale. Oltre il 34% è d’accordo sulla diminuzione dell’aggravio fiscale sul lavoro, il cuneo fiscale di cui tanto si parla da anni ma che rimane il quinto più alto tra i Paesi Ocse: 46,5% nel 2021. 

Il 20,6% degli imprenditori è poi d’accordo nel migliorare il rapporto tra sistema formativo e produttivo ed il 14,9% vorrebbe più flessibilità riguardo l’assunzione del personale.

 

In sintesi, per attuare delle politiche sul mercato del lavoro efficaci secondo gli imprenditori, andrebbe abbassata la tassazione sul lavoro e ci vorrebbe maggiore sinergia tra la formazione delle scuole e le imprese. 

Mentre a livello di sistema paese le riforme sul lavoro erano percepite come prioritarie, ma in ordine secondario rispetto ad altre riforme, quando si focalizza l’attenzione sulle strategie delle singole aziende lo scenario cambia.

Nello studio condotto, le tre strategie che hanno raccolto il maggior consenso sono state: 

  1. l’investimento nel capitale umano (20,6%), 
  2. la diversificazione dei prodotti e dei servizi (20%) e 
  3. il miglioramento della tecnologia e l’innovazione (19,9%).

 

Investire nel capitale umano ha un ritorno esponenziale per l’azienda. 

Tanto più il capitale umano di un’azienda è valido, tanto più un’impresa si arricchisce ed mostra una spinta maggiore alla crescita. 

Molto spesso però la struttura stessa delle aziende ed i suoi limiti finanziari ne vincolano l’innovazione, la crescita e quindi anche l’investimento nel capitale umano.

In tema di produttività infatti, le grandi aziende Italiane sono tra le migliori, raggiungendo quasi i livelli della Germania. Il problema risiede nelle piccole aziende che rappresentano la maggioranza delle imprese italiane e il cuore del sistema paese. 

 

Le piccole aziende oltre a soffrire in termini di crescita e produttività, bloccano anche il mercato del lavoro non riuscendo ad inserire figure di alto profilo al loro interno, generando l’educational mismatch ovvero, il disallineamento tra il titolo di studio conseguito e la posizione lavorativa. 

 

Di base poi in Italia si investe in assoluto poco nella formazione essendo, l’unico paese dell’Unione Europea in cui la spesa per interessi del debito pubblico supera quella per l’istruzione e non solo per i tassi di interesse più alti!

 

Questi due elementi fanno sì che ci sia il più basso numero di laureati, il 28% tra i 25 ed i 34 anni, rispetto alla media Ocse del 47%, e che molti di loro decidono di emigrare all’estero per avere opportunità di lavoro e carriera attraenti.

 

Nel confronto con gli altri paesi si vede come ci sia una forte relazione tra il reddito pro capite ed il livello di istruzione. Si calcola che nei paesi sviluppati un anno in più di istruzione possa aumentare la retribuzione del 10%. Ovviamente il rendimento è maggiore nei paesi in via di sviluppo e tende a diminuire nei paesi con i livelli di istruzione più elevati. 

Di base il mercato del lavoro è quindi un sistema complesso che necessita urgentemente di cambiamenti strutturali importanti. Con il PNRR, oltre allo sviluppo dell’industria 4.0, alla transizione energetica ed ecologica, si spera di poter riequilibrare il mercato del lavoro con la riduzione del cuneo fiscale ed introducendo condizioni migliori e salari più alti.

 

Nel frattempo però gli imprenditori possono e devono investire nel capitale umano con le risorse della quale dispongono, investendo nelle risorse migliori per poter rimanere competitivi sui mercati. 

Non sempre questo investimento deve appesantire il budget dell’impresa con assunzioni a tempo indeterminato, in funzioni che spesso non sono identificabili a priori come permanenti; un buon esempio di queste necessità sono tutte le figure legate alla digital transformation o al setup del monitoraggio dei valori ESG, ma anche, più banalmente, l’introduzione di un nuovo ERP di ultima generazione.

TIM Management può intervenire con successo in contesti di questo genere, offrendo dei manager ad interim, che portano competenze e know-how di alta qualità ad un costo temporaneo e inferiore rispetto all’inserimento a della figura manageriale a tempo indeterminato; inoltre gli interim manager aiutano l’organizzazione a crescere e a poter gestire le nuove necessità in autonomia, una volta che il temporary assignment sia concluso.

 

Le conseguenze del covid sulla leadership e l’indifferenza da parte dei leader.

La crisi del Covid-19 ha cambiato profondamente il panorama sociale, sanitario ed economico del mondo che conoscevamo. 

L’imprevedibilità e la complessità di questa crisi è innanzitutto ricaduta sui governi, sulle autorità e sul sistema sanitario. In contemporanea però ha segnato inevitabili conseguenze per gli imprenditori e per i dirigenti d’azienda che tutt’ora si domandano come affrontare al meglio questo cambiamento economico/sociale in corso.

In particolare, l’emergenza legata al Covid-19 ha segnato indelebilmente le dinamiche lavorative creando o meglio consolidando fenomeni come lo smart working. Questo ha, da una parte creato enormi opportunità, agevolando la flessibilità sia per i datori di lavoro che per i dipendenti. A discapito però, di molti altri aspetti collaterali facenti parte di un rapporto lavorativo, che si sono andati a perdere. 

Molti leader hanno preso delle misure, sia strategiche che operative, per agevolare e facilitare il lavoro da remoto, spesso però tralasciando al contempo alcuni degli aspetti fondamentali dell’organizzazione del lavoro che si sono andati a perdere con lo smart working. Per questo motivo da parte dei dipendenti si è avvertita una grande discrepanza nella percezione della gestione della pandemia rispetto ai leader.

In uno studio condotto da The Adecco Group nel quale hanno partecipato 14.800 persone di età compresa tra i 18 e i 60 anni provenienti da 25 paesi diversi sono emerse statistiche poco rassicuranti. 

Sebbene l’80% dei senior leader intervistati si ritenga soddisfatto di come ha gestito l’emergenza pandemica, soltanto il 62% dei middle manager concorda e solo il 43% dei dipendenti è d’accordo. 

Sebbene 8 senior manager su 10 credano di aver comunicato chiaramente alle proprie risorse interne una strategia chiara e mirata allo sviluppo e alla crescita delle risorse interne, solo il 64% dei manager è d’accordo e solamente il 33% dei lavoratori è soddisfatto delle opportunità e delle modalità lavorative proposte. 

Seppur non sia insolita una visione divergente tra dipendenti e datori di lavori riguardo i temi connessi alla gestione aziendale, non vanno sottovalutate queste differenze emblematiche nella percezione dello smart working, che potrebbero andare ad impattare sostanzialmente l’organizzazione nel lungo periodo. 

Ciò che emerge da questo studio sono principalmente delle questioni apparentemente poco rilevanti che condizionano però in modo sostanziale l’operatività del lavoratore.

Ad esempio, in questo nuovo paradigma lavorativo legato a un lavoro prevalentemente svolto in remoto, sono venute a mancare quel tipo di conversazioni tra leader e dipendente che, seppur a volte non strettamente rilevanti in merito all’operatività aziendale, creavano comunque grande valore nel rapporto datore di lavoro-dipendente. 

Come discutere e le condividere le prospettive di crescita all’interno dell’organizzazione o l’accertarsi semplicemente sullo stato d’animo dei propri collaboratori. L’essere umano per natura ha bisogno di essere valorizzato ed ascoltato per stimolare e rafforzare la sicurezza e la convinzione nelle proprie scelte, alimentando allo stesso tempo la propria motivazione e la fiducia nel proprio leader.

 

Lavorare da remoto rende più difficile instaurare questa connessione umana o comunque ne pregiudica la profondità del rapporto. Detto questo, non vuol dire che lavorare da remoto non sia efficace ma è fondamentale che i leader, per poter operare efficacemente, siano consapevoli di questi aspetti. 

Una buona leadership in epoca post pandemica dovrebbe ragionare ad ampio spettro sulle nuove dinamiche consolidate nel nuovo scenario, cogliendo sia le lacune che le opportunità che si hanno lavorando da remoto. 

Il primo grande cambiamento che dovrebbe avvenire è quello della valutazione del lavoro dei propri dipendenti. Non più un orientamento prevalente al tempo trascorso a lavorare, ma invece un focus più mirato all’ottenimento dei risultati. Dato che nel lavoro da remoto si ha più flessibilità, a seconda delle esigenze di ognuno, dovrebbe essere un’evoluzione naturale quella di arrivare a valutare i propri dipendenti in base alle loro performance, sempre però tenendo in considerazione le esigenze di tutti gli stakeholders che interagiscono con l’organizzazione. 

Forse l’aspetto più rilevante, quando si valutano i cambiamenti legati all’adozione dello smart working, è l’engagement del lavoratore, ossia il senso di appartenenza che un dipendente ha verso la propria azienda. Quando si lavora da remoto è importante che questo senso di partecipazione resti alto. Lavorare a distanza causa lontananza dai propri colleghi e dal proprio team. I leader devono cercare modalità efficaci per tenere alto l’engagement percepito dai propri lavoratori, rendendoli partecipi del tessuto sociale dell’impresa, condividendo con loro obiettivi e visioni e motivandoli a raggiungere i risultati attesi. 

Un altro aspetto da considerare seriamente è sicuramente la modalità di comunicazione. La distanza non deve in alcun modo limitare la comunicazione tra i membri del team ed i leader. Anzi, in molti casi vanno aumentate le interazioni per sopperire alla distanza fisica.

In un ambiente di lavoro ibrido è molto importante che i leader non cadano nella trappola della propensione alla prossimità, che quindi si concentrino maggiormente sulle persone con le quali si ha un interscambio in presenza, rispetto a quelli che lavorano da remoto.

Anche a distanza si deve cercare di creare e alimentare un rapporto con il dipendente che sia non solo strettamente lavorativo introducendo modalità di relazione che considerino il dipendente nell’insieme. Vanno ad esempio organizzate sessioni settimanali con i propri dipendenti che si occupino di tematiche operative ma che, al tempo stesso, riguardino anche la figura del dipendente a 360 gradi, privilegiando il rapporto umano. 

Molte aziende stanno dando sempre più peso e importanza ai propri dipendenti non vedendoli più come delle risorse sostituibili ma come dei veri e propri asset da trattenere e coltivare nel lungo termine. Per questa ragione, il lavoratore acquista sempre più importanza, rendendo la comunicazione e l’interazione con lui sempre di maggior valore. 

Come dimostra lo studio di The Adecco Group, una percezione differente dell’organizzazione e del lavoro dei dipendenti da parte dei leader, può seriamente compromettere l’operatività ed i risultati aziendali. Molti leader affidano il proprio feedback ai loro pari e non ai loro collaboratori non ricevendo un riscontro sincero, costruttivo e veritiero.

Un leader, per quanto lungimirante e attento al benessere dei dipendenti, non può essere sempre a conoscenza di tutte le dinamiche aziendali, soprattutto se la sua prima linea non è in grado di gestire con efficacia le nuove modalità di lavoro ibrido e la comunicazione con i dipendenti. In questi casi l’inserimento di una risorsa esterna per gestire il cambiamento e ristabilire un equilibrio efficace tra leadership e dipendenti può veramente fare la differenza tra  il successo e il fallimento di un’azienda. Quest’epoca post pandemica può rappresentare il momento migliore per molte realtà per reinventarsi ed innovare la propria cultura aziendale, rivedendo e consolidando il rapporto con i loro dipendenti. TIM Management può aiutare proprio in questo, perché può mettere rapidamente a disposizione dell’imprenditore il suo network di professionisti selezionati nel tempo. Con un’ esperienza maturata in oltre 30 anni al fianco delle imprese italiane siamo in grado di offrire la miglior assistenza, ritagliando i nostri servizi a seconda dell’esigenza aziendale e rendendo operative le nostre risorse esperte e provate in tempi brevissimi. 

 

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