Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Le priorità dei CEO in tempi di cambiamento

Gestire organizzazioni complesse oggi è molto più difficile di quanto non fosse qualche anno fa, anche solo nel 2019. Il compito più difficile per i CEO è definire le priorità, e farlo correttamente non è mai stato più importante di oggi.

Prendiamo spunto dalla ricerca annuale sui CEO di McKinsey per condividere le priorità più importanti nelle agende dei CEO di tutto il mondo. Sono le mosse che i leader stanno adottando per rafforzare le difese e guadagnare terreno sui rivali, non è un’agenda puramente difensiva, che molte aziende anche nel nostro paese stanno abbracciando.

Resilienza: la resilienza emerge come il fattore vitale per le aziende che si trovano a operare in un mondo volatile e sempre in cambiamento. Dopo la pandemia l’inflazione sembra essere qui per rimanere a lungo, le catene di approvvigionamento si sono impoverite, specialmente nel settore energetico; sono tutti fattori che spingono le aziende a lavorare su tutte le dimensioni della resilienza: finanza, operations, tecnologia, organizzazione, modello di business e reputazione. Per i CEO, la domanda principale oggi è: quanto è resiliente la tua azienda?

Coraggio: molte aziende in situazione di crisi tendono a concentrarsi su una strategia conservativa e puramente difensiva, ma questo potrebbe essere il modo migliore di perdere opportunità. I leader e le aziende migliori riescono a conciliare gli opposti: essere prudenti nel gestire il ribasso ma allo stesso tempo perseguire coraggiosamente lo sviluppo. Sono i leader che pensano al prossimo decennio, non al prossimo mese, e che spingono le loro organizzazioni a pensare alle opportunità e a reimpostare la strategia alla luce dell’attuale volatilità. Come afferma un amministratore delegato intervistato da McKinsey, “non voglio confrontare le nostre prestazioni con le aziende del settore, voglio reinventare il settore”.

Diversificazione: più della metà dei leader considera la costruzione di nuovo business una delle prime tre priorità. Il terreno più fertile per la costruzione di nuove imprese sono le tecnologie verdi; la ricerca di McKinsey ha identificato 11 aziende in questo settore il cui valore collettivo potrebbe raggiungere i 12 trilioni di dollari in pochi anni. In questi tempi di contrazione della disponibilità di finanziamenti per le startup, il CEO delle aziende consolidate ha un vantaggio: può dotare le nuove iniziative delle risorse necessarie per il successo in autonomia e farlo internamente o in una logica di open innovation.

Tecnologia: è un fattore particolarmente importante quando si cercano nuove opportunità di business sostenibili e lo è allo stesso modo per tutte le aziende non tecnologiche che stanno operando una transizione digitale. Ma questo è solo l’inizio; la tecnologia è in continua evoluzione e offre molte nuove opportunità ai CEO che desiderano trasformare il proprio business. 

Sostenibilità: la strada verso emissioni nette zero negli ultimi anni ha preso una direzione inaspettata. Gli impegni dei leader aziendali per ridurre quasi il 90% le emissioni di CO2 segnalano che il settore privato è finalmente impegnato per la sostenibilità. E sono impegni che continuano, nonostante i problemi emersi negli ultimi mesi: aumento dell’inflazione, guerra in Europa, insicurezza energetica e una potenziale recessione globale. Ci sono alcune notizie sorprendentemente buone: gli obiettivi di sostenibilità, competitività economica, convenienza e sicurezza nazionale coincidono come mai prima d’ora, i CEO più attenti lo sanno e stanno agendo di conseguenza. 

Risorse Umane: per realizzare tutto questo i leader devono saper coinvolgere attivamente i dipendenti. Negli ultimi anni, il contratto con i lavoratori è diventato un po’ troppo transazionale: ti paghiamo, ti presenti, a domani. Sulla scia della pandemia di COVID-19 e della successiva ‘great resignation’, i CEO devono saper coinvolgere i dipendenti. Il modello di lavoro ibrido giusto può essere una delle chiavi, l’obbligo di trascorrere obbligatoriamente delle giornate di lavoro in ufficio, per esempio, diventerà obsoleto molto velocemente, senza nuovi incentivi. Gli amministratori delegati devono riflettere attentamente sull’ufficio del futuro, un luogo in cui i lavoratori vogliono essere, per vedere gli amici, presentare nuove idee e trovare un significato nel loro lavoro. 

Per maggiori dettagli sulla ricerca di McKinsey e scaricare il report completo cliccare qui.

Tutte queste priorità sono importanti anche per le PMI, anche di più che per le grandi corporate data la loro intrinseca maggior vulnerabilità, ma per attuarle richiedono competenze ed esperienze che raramente sono presenti nelle organizzazioni delle piccole e medie aziende.

Per questo sempre più PMI ricorrono al supporto di un CEO Interim Manager esperto che, grazie alla sua esperienza maturata in situazioni analoghe e a una competenza verticale sul settore di riferimento, può facilitare lo sviluppo di una strategia vincente che garantisca la sopravvivenza dell’impresa nel medio periodo senza appesantire il conto economico con costi permanenti e aumentando il bagaglio di competenze dei manager interni che, dopo un periodo di affiancamento produttivo, riprenderanno le redini del business. TIM Management fornisce da più di 30 anni interim manager esperti alle aziende, velocemente e con contratti estremamente flessibili.

Contatta TIM Management per informazioni.

Vincere in tempi di Incertezza: l’imperativo della resilienza

Tra la pandemia di Covid-19, la crisi climatica e l’incertezza geopolitica, il mondo sta attraversando dei cambiamenti sempre più rapidi, imprevedibili e senza precedenti. Nonostante questo, in tutti i settori, una buona parte delle aziende è rimasta costantemente concentrata su obiettivi a breve termine, presumendo, in maniera poco lungimirante, che le condizioni commerciali sarebbero presto tornate regolari.

Sono molti, infatti, i manager che si trovano oggi a dover ammettere che la loro azienda sta vivendo un momento particolarmente critico. Le PMI che stanno sperimentando momenti di difficoltà si stanno moltiplicando, trovandosi a soffrire per il caro-energia, per l’inflazione, per l’aumento dei tassi di interesse e per le difficoltà di approvvigionamento di varie filiere.

Per prosperare nell’anno nuovo, così come nel prossimo decennio, per un’azienda è necessario sviluppare la capacità di resilienza: ovvero quelle abilità di resistere a minacce o cambiamenti imprevedibili, che permettono di affrontare la crisi e vincerla, uscendone ancora più forti.

Le 6 dimensioni della resilienza: oltre i dati finanziari

Se la continua rivoluzione digitale sta aumentando la disponibilità dei dati, il grado di connettività e la velocità con cui vengono prese le decisioni si porta dietro dei rischi; come ad esempio potenziali blocchi dei sistemi e violazioni della sicurezza.

Nell’ottica del potenziamento, secondo un recente studio di McKinsey, le aziende devono prendere coscienza dell’importanza di essere al contempo flessibili e prudenti, e mettersi nelle condizioni di poter far fronte a circostanze così mutevoli e impreviste con rapidità ed efficacia. Ma, allo stesso tempo, le imprese, che per abitudini consolidate tendono a privilegiare l’aspetto finanziario e le aree con più immediato impatto sul conto economico, devono cambiare mentalità se non vogliono compromettere il loro business e perfino la loro sopravvivenza nel medio termine.

Il mondo di oggi richiede agli imprenditori qualcosa in più della sola resilienza finanziaria; è necessario sviluppare una capacità di resilienza specifica in tutte le singole aree funzionali in cui si sviluppa un’azienda, ecco come:

 

  1. Resilienza finanziaria. Essere resilienti sotto l’aspetto finanziario vuol dire saper diversificare gli investimenti dell’azienda, bilanciando gli obiettivi a medio e lungo termine, per proteggerla dal deterioramento dei mercati e dal ridotto accesso al capitale; dalla minore capacità di ricorrere all’indebitamento; o, per gli istituti finanziari, dal rischio crescente delle perdite su crediti. Inoltre, in un contesto così incerto è molto più equilibrato cercare di aumentare i ricavi e migliorare la situazione competitiva, piuttosto che focalizzarsi solo sul controllo dei costi.
  2. Resilienza operativa. La resilienza nelle operations dell’azienda si esprime nel mantenere una solida capacità produttiva, in grado di adattarsi ai cambiamenti della domanda e rimanere stabile di fronte ai salti di produzione dovuti alla scarsità di materie prime, senza sacrificare la qualità del prodotto.
  3. Resilienza tecnologica. Investire in infrastrutture solide, sicure e flessibili, per gestire le minacce informatiche e i guasti, mantenendo e utilizzando dati sicuri e di alta qualità, rispettando la privacy, è quella che si definisce resilienza tecnologica. Allo stesso tempo, essere resilienti significa implementare progetti IT, grandi e piccoli, con qualità elevata, puntualità e in budget; restando al passo con le esigenze dei clienti, le sfide della concorrenza e i requisiti normativi.
  4. Resilienza organizzativa. Impostare regole e standard inclusivi e flessibili per la gestione dell’organizzazione, reclutando sempre i migliori talenti, trattandoli in modo equo e migliorandone in maniera sistematica le competenze; sono tutte le caratteristiche che permettono di creare e tenere in azienda, un team di persone resilienti, con conoscenze e competenze specifiche, capaci di lavorare al meglio in condizioni mutevoli e sfidanti.
  5. Resilienza reputazionale. La velocità con cui la reputazione dell’azienda può cambiare e deteriorarsi, agli occhi dei consumatori, degli stakeholders e dei dipendenti, sta aumentando. Per ogni imprenditore è fondamentale saper prevenire le crisi che potrebbero intaccare la credibilità dell’azienda, selezionando partner e fornitori in linea con i propri valori, agendo in modo coerente e comunicando in maniera trasparente; è particolarmente importante tenere sotto controllo e monitorare l’impatto ambientale e la sostenibilità dell’azienda e della sua filiera di business, a monte e a valle.
  6. Resilienza del modello di business. Per garantire la crescita sostenibile dell’impresa, è indispensabile essere in grado di attuare strategie in grado di evolvere i modelli di business, mantenendo alta la competitività e la capacità di adattarsi ai cambiamenti, soprattutto nei periodi di crisi.

Ma quali azioni si possono intraprendere per misurare e migliorare la propria resilienza?

Gli step del processo di resilienza

Costruire un’azienda resiliente è un processo che non richiede di un approccio unico e standardizzato: ogni realtà deve agire in modo coerente con i propri obiettivi, con il proprio settore e le proprie dimensioni. Il primo passo da fare è comprendere ciò di cui si ha bisogno per il futuro e attuare cambiamenti sensati.

 

  • Svolgere un’analisi dell’ambiente esterno: bisogna chiedersi se il mercato sta crescendo o si sta riducendo in termini di numero di imprese e fatturato. Quali sono i rischi e quali le opportunità? Chi sono i concorrenti? Quali sono le previsioni future in merito all’andamento del mercato? Quali sono le policy pubbliche che lo regolamentano? Stanno cambiando?
  • Sviluppare un’analisi dell’ambiente interno: è importante capire se l’azienda è dotata delle risorse necessarie per intraprendere un piano di resilienza. Quali sono le competenze presenti in questo campo? Quali sono le figure che dovrebbero occuparsene in azienda? Ci sono le risorse per le innovazioni necessarie? Che meccanismi di controllo è necessario mettere in atto?
  • Definire un resilience plan: si deve necessariamente definire un piano d’azione concreto e avviare una mappatura dei rischi per l’impresa, corredata dalle azioni da svolgere per la gestione del rischio. Quali sono i rischi a cui è esposta la nostra azienda? Quanto è probabile che si verifichino? Come è possibile mitigarli o azzerarli? Come gestire la comunicazione in caso di emergenze?
  • Effettuare un monitoraggio efficace: una volta definito e cominciato a implementare il piano di resilienza, è necessario verificare che le soluzioni introdotte siano efficaci. In che modo queste soluzioni sono migliorabili? Come svolgere dei test periodici che permettano di verificarne l’efficacia?

 

In conclusione, un’azienda resiliente è in grado di elaborare i possibili scenari e individuare le modalità più adeguate per affrontarli e ripartire, ma è sempre il board o l’imprenditore stesso che, per primo, deve saper cogliere i segnali che evidenziano un cattivo stato di salute dell’azienda che guida. 

In questo caso l’inserimento temporaneo nell’organizzazione di un Interim Manager esperto può aiutare i vertici aziendali a identificare soluzioni innovative e formule di business alternative, adeguate alle situazioni e alle opportunità che l’azienda si trova ad affrontare.

Questa soluzione è particolarmente indicata per le PMI che raramente hanno all’interno dell’organizzazione le competenze adeguate ad affrontare i periodi di crisi e discontinuità; un manager esperto del settore, che ha già vissuto e superato con successo situazioni analoghe, è in grado di fornire una vera e propria bussola all’azienda per orientarsi verso la resilienza, nella tempesta della crisi.

PNRR e imprese: il ruolo dell’Interim Manager e il suo apporto alle PMI

Con gli stanziamenti previsti dal PNRR si aprono le porte a numerose opportunità per le PMI in ambito digitale, per la transizione ecologica, per le politiche di inclusione sociale e per l’innovazione.

 L’Italia è il principale beneficiario del programma di finanziamento europeo, con una dotazione di fondi per 191,5 miliardi di euro, suddivisi tra prestiti e sovvenzioni.

Restano da approfondire gli aspetti pratici necessari a cogliere questa grande opportunità; ad esempio come strutturare l’azienda per valorizzare al meglio le risorse europee, tema complesso per l’imprenditore medio italiano abituato ad una governance aziendale fortemente improntata a una conduzione familiare.

 Una recente indagine di Unioncamere segnala come solamente un’impresa su tre sia pronta a tradurre in progetti concreti le opportunità offerte dalle risorse finanziarie che il PNRR destina al sistema produttivo.

Il problema, che riguarda soprattutto le PMI medio-piccole, non riguarda solo la scarsa sensibilizzazione sul tema, ma anche la carenza di competenze manageriali e la sotto-managerializzazione delle nostre aziende, problemi particolarmente severi in relazione all’aumento della complessità gestionale e organizzativa, all’interno e all’esterno delle imprese, legata alle attività legate ai fondi del PNRR.

 Bisogna quindi affrontare il tema del rafforzamento manageriale: servono competenze di alto livello, e servono in tempi brevi e soprattutto servono risorse capaci di agire ed incidere velocemente sul tessuto delle PMI.

In questo contesto, le PMI devono prendere coscienza dell’importanza delle competenze e dell’affiancamento nella governance di manager specializzati, come strumento utile per accrescere internamente le competenze ed introdurre know-how; servono competenze di alto livello immediatamente operative e con la capacità di operare in contesti differenti, contribuendo allo stesso tempo ad accrescere le capacità delle persone, che saranno poi in grado di svolgere mansioni e raggiungere obiettivi in modo più efficace ed efficiente. 

L’interim manager può essere la soluzione migliore per le PMI che hanno potenziale di crescita, ma non sono ancora nella condizione di poter  investire in una risorsa esperta da inserire a tempo pieno in organico.

Gli imprenditori medio-piccoli sono sempre più attratti dalla flessibilità gestionale offerta dall’interim management, ma al contempo sono confusi sulle sue corrette modalità di utilizzo, sebbene la conoscenza che le PMI hanno dello strumento sia cresciuta nel tempo.

Rimangono quindi barriere all’entrata di tipo fiduciario, soprattutto per le PMI, in quanto è ancora oggettivamente difficile che, sulle scelte strategiche e in generale sulla gestione l’imprenditore accetti di delegare in maniera sostanziale le proprie prerogative ad un manager “di passaggio”. L’esistenza di una forte unitarietà e promiscuità di gestione tra interessi familiari e interessi aziendali comporta una minore possibilità di impattare sulla gestione dell’impresa, da parte di soggetti esterni.

 Parlando di aree di intervento in azienda, l’imprenditore tende a vedere e a privilegiare quelle con un più immediato impatto sul conto economico. Questo può risultare problematico nel contesto dell’implementazione di azioni di medio / lungo periodo quali quelle richieste dal PNRR. Esistono aree critiche in cui può rivelarsi necessario ricorrere al supporto di un manager che operi da vero e proprio coach dell’imprenditore o del management presente in azienda.

È utile quindi che L’interim manager si occupi e si focalizzi sulla gestione e sull’ottimizzazione di una singola area funzionale critica per la crescita, come l’aspetto finanziario o la gestione delle risorse umane. 

Anche le piccole imprese, quelle con un fatturato sotto i 10 milioni, si avvicinano sempre di più all’utilizzo di Interim Manager esperti, soprattutto grazie alla creazione di progetti gestiti in part time, dal momento che un manager full time potrebbe risultare ridondante, sia in funzione dei tempi che dei costi.

In quest’ottica è possibile dispiegare sul campo team di interim manager che andranno a comporre veri e propri CdA virtuali, come già in uso da anni nei mercati stranieri (Germania, USA, Regno Unito). Ad oggi sono molti i manager disponibili sul mercato, molti di loro provengono da grandi gruppi, anche internazionali e questo potrebbe creare un disallineamento qualitativo e culturale con le competenze necessarie per lavorare e gestire le necessità di una PMI.

Si è di recente espresso sul tema della convivenza tra manager e imprenditore Matteo Manzardo (Vice Presidente Vicario Confimi Industria Gruppo Giovani),: “da un lato le PMI devono prendere coscienza dell’importanza di essere affiancati da manager competenti, d’altro lato la classe manageriale deve uscire dalle teorie dei grandi manuali e adattarsi in mondo sartoriale e su misura per le esigenze delle PMI”.

 Da tenere inoltre sempre in considerazione il tema del passaggio generazionale: Confimi, sottolinea interessanti, e in alcuni casi, inattese, evidenze:

 

  • 1 giovane imprenditore su 3 (il 33,9%) ha pensato di vendere o cedere l’attività; 
  • 1 su 4 lo farebbe se fosse l’unico titolare;
  • Il 37,3% ha effettuato una fusione;
  • Il 28%, ispirato a innovativi modelli di relazioni industriali, ha pensato di creare una compartecipazione societaria con i collaboratori attualmente dipendenti.

 

In questo caso le aree critiche sono legate ad una incorretta gestione del passaggio generazionale, infatti, spesso la leadership dei giovani non viene riconosciuta dai collaboratori e dagli stakeholder, o peggio, viene minata dal predecessore, che non riesce a delegare o lasciare l’autonomia decisionale a chi potrebbe saperne di più su tematiche “nuove” come quelle in ambito digitale, tecnologico ed ambientale. 

L’indagine evidenzia un punto molto importante e molto sottovalutato: 9 giovani imprenditori su 10 ritengono infatti che il passaggio generazionale sia da affrontare anche tra i dipendenti.

 Le aspettative che il PNRR genera presso le aziende italiane sono quindi molte. È importante ricordare che una parte di fondi inutilizzati verrà re-distribuita in Europa e c’è da auspicarsi che non accada come con i fondi europei precedentemente stanziati di cui il nostro paese è riuscito ad utilizzare solo il 40%.

 

In conclusione, il PNRR richiede capacità tecniche, gestionali e risorse umane specializzate per essere gestito al meglio, richiede uno spirito innovativo, per accedere alla risorse stesse, in termini di bandi e burocrazia.

L’utilizzo di un Interim Manager esperto potrebbe permettere un passo in avanti a tutto il tessuto produttivo e dei servizi. TIM Management, con il suo ampio network di manager esperti,  selezionati nel tempo ed con esperienza in ogni settore, può aiutare l’imprenditore a individuare soluzioni innovative e formule di business alternative e adeguate alla situazione e alle opportunità presenti e lo può fare contando sull’esperienza di oltre 500 incarichi in 35 anni di attività; incarichi che sono stati operati in larghissima maggioranza proprio presso le PMI, costruendo nel tempo una cultura di interim management tagliata su misura sulle esigenze e sulla cultura dell’impresa italiana.

Passaggio generazionale d’Impresa

Come l’interim management può aiutare la transizione

In Italia, il 65% delle imprese è di tipo familiare e, secondo il Global Family Business, l’Italia si colloca al settimo posto tra i Paesi che ospitano le prime 500 società familiari al mondo. Negli ultimi anni il tema del “ricambio generazionale” è diventato di grande importanza ed attualità poiché coinvolge un numero sempre maggiore di piccole e medie imprese.

La crisi economica ha sottolineato alcuni problemi strutturali tipici delle imprese familiari, come la scarsa flessibilità o capacità gestionale. Queste aziende hanno dimostrato però una maggiore capacità di recuperare la redditività e superare le crisi, adattandosi velocemente ai cambiamenti di scenario. Tuttavia, secondo i dati, meno del 30% delle aziende familiari supera il terzo passaggio generazionale.

PMI familiari e l’esigenza di colmare il gap di competenza tra le generazioni

Questo passaggio si rivela spesso difficile a causa, non solo della struttura dell’impresa, ma anche dei soggetti coinvolti e dalle dinamiche legate alla cultura aziendale; dai valori imprenditoriali; dalla relazione padre-figlio e dalle conflittualità che potrebbero sorgere tra i due. 

È necessario affrontare questa difficile transizione con gli strumenti adeguati, in modo tale da gestire la successione imprenditoriale come una fase di sviluppo dell’impresa: migliorando la redditività, ampliando il bagaglio di conoscenze aziendali e facendone un momento di revisione delle strategie a breve e lungo termine. 

È possibile superare l’attuale gap di competenze che caratterizza le aziende familiari attraverso l’iniezione di una nuova managerialità capace di facilitare e accelerare i processi di cambiamento, introducendo stabilmente in azienda nuove capacità. Questi manager esterni non solo possono sciogliere i nodi tra padre e figlio con maggiore obiettività e distacco, ma possono anche affiancarsi alle nuove leve per un tempo limitato, formandole al meglio e dotandole delle competenze necessarie per proseguire il lavoro svolto dalla famiglia.

Di chi parliamo quando parliamo di imprese familiari

Esistono diverse definizioni di family business e una delle più importanti e rappresentative è quella che li definisce come quelle aziende controllate da due, o più, membri di una famiglia, che esercitano un’influenza significativa sulla gestione operativa del business. Se prendiamo in considerazione l’impresa e la famiglia attraverso il “modello dei tre cerchi” (ideato dai professori dell’università di Harvard Renato Tagiuri e John Davis nel 1982) riusciamo a comprendere meglio il complesso modello delle imprese familiari.

Questo modello, utilizzato da Ernesto Poza – tra i più noti consulenti al mondo in materia di gestione e sviluppo delle aziende familiari – e da altri studiosi delle dinamiche delle aziende familiari, è formato da tre sottosistemi: la famiglia, l’impresa (il business) e la proprietà. Nonostante siano insiemi indipendenti, interferiscono tra loro, condizionandosi a vicenda.

Poza formula una grande raccomandazione generale: bisogna fare in modo che non sia un gioco a somma zero, dove chi vince lo fa a spese dell’altro, specie “se la torta non cresce e le persone devono litigare per avere una fetta più grande”.

È interessante notare come le tre aree si modificano nel tempo, insieme al rapporto tra i tre sottosistemi, con il passaggio da una generazione alla successiva. Effettivamente vediamo una sovrapposizione dei tre cerchi nella figura dell’imprenditore che fonda l’azienda, ma dal primo passaggio generazionale in poi l’azienda tenderà al mutamento e quindi si avrà un allontanamento dei cerchi. 

Se è normale e accettabile nella situazione iniziale l’esistenza di una certa confusione e sovrapposizione di ruoli, vista la forte accentuazione sulla sopravvivenza dell’azienda durante la fase di crescita accelerata, negli anni successivi non ci si può permettere lo stesso livello di entropia organizzativa. Per quanto i cerchi possano restare correlati, è necessario che inizino a distinguersi l’uno dall’altro, arrivando quasi all’indipendenza.

Nella fase di transizione generazionale è importante il supporto di competenze esterne di valore, come consulenti indipendenti o management esterno, per realizzare una transizione di successo.

L’Interim Management per agevolare il passaggio generazionale: il valore aggiunto delle relazioni 

Per svolgere un buon lavoro, i manager esterni non possono fare tutto da soli; hanno bisogno del contributo della famiglia proprietaria, dei manager e dei dirigenti. La famiglia deve saper riconoscere il valore portato dal manager, che per svolgere il suo lavoro ha bisogno del supporto di chi lavora all’interno dell’azienda. È importante che il manager, oltre alle competenze tradizionali, abbia la capacità di gestire le relazioni con e dentro la famiglia, oltre che con il management interno.

Perciò possiamo dire che, nel momento della pianificazione della transizione generazionale, si deve costituire una vera e propria squadra, dove ognuno apporta le proprie conoscenze e le proprie esperienze per cercare di dare continuità all’impresa, consentendo un passaggio generazionale ben gestito. Le competenze e le conoscenze specifiche dell’interim manager in merito al ricambio generazionale sono varie: svariano dal lato giuridico, fiscale, organizzativo, finanziario, fino a quello psicologico-relazionale. 

Quanto detto finora non fa che confermare la rilevanza dell’interim management quale strumento di crescita e stabilizzazione per le aziende familiari. Il supporto dell’interim management è importante non solo per le imprese medio-grandi, ma soprattutto per le piccole e medie realtà industriali e di servizi, con fatturati a partire dai 6-7 milioni e un’organizzazione manageriale limitata.

Per queste aziende l’interim management può essere lo strumento ideale per rafforzare l’organizzazione e dare solidità e continuità dopo la transizione generazionale, accrescendo le competenze Manageriali già esistenti e risolvendo al contempo le criticità presenti nell’organizzazione.

La gestione dei conflitti: non solo numeri

Nel passaggio generazionale la gestione del conflitto può risultare particolarmente complessa, in quanto le emozioni possono prendere il sopravvento e le diverse posizioni possono sembrare inconciliabili. Diventa indispensabile, a questo punto, utilizzare una metodologia per la gestione del conflitto, bisogna operare per risolvere la situazione alla base e riportare l’azienda in condizioni di operare al massimo della sua efficienza.

Una situazione di conflitto sottolinea la necessità di una competenza manageriale che sappia discernere i conflitti cognitivi da quelli relazionali e li sappia trattare in modo adeguato.

Senza entrare nel merito di una trattazione specifica, ci sono alcuni principi chiave che vanno seguiti:

 

  • Individuare la natura e il livello del conflitto: si tratta di un problema organizzativo o interpersonale?
  • Se il conflitto è espressione di problemi più profondi, questi ultimi devono essere individuati e analizzati per comprenderne le cause che andranno eliminate, evitando così che compromettano il futuro dell’azienda. 
  • Lavorare sulle cause con metodo ed esperienza per poter identificare e isolare le radici profonde da cui nasce e si alimenta il conflitto.
  • Riuscire a risolvere il conflitto, cercando un equilibrio tra i bisogni, espressi e non, di tutte le parti contrapposte e dell’organizzazione, i cui bisogni dovrebbero essere considerati di “ordine superiore”.

Il coinvolgimento di soggetti terzi può aiutare a ridurre l’area delle emozioni e ad ampliare quella della razionalità. L’oggettività e il senso etico di un interim manager possono rivelarsi di grande utilità per risolvere i conflitti e per preparare il terreno ad una successione positivamente efficace.

I passi della successione

Il cambio generazionale deve essere programmato con anticipo; nel cambiamento è opportuno dare precedenza agli obiettivi di competitività dell’azienda, e a ricercare nuovi equilibri aziendali tenendo in considerazione le dimensioni dell’impresa e attivando strutture giuridiche adeguate a favorire la formazione di una maggioranza in CdA ed evitare così pericolosi stalli decisionali. 

Ci sono alcuni step di base da affrontare durante la successione nelle imprese familiari, necessari per affrontare tutte le criticità del processo.

Per prima cosa bisogna attivare uno screening valutativo e motivazionale, il più possibile dettagliato ed analitico, di tutti i membri del gruppo familiare operanti in azienda, al fine di evidenziare competenze, motivazioni e aspettative personali. Proprio in questa fase verranno portati a galla i conflitti in gioco.

La variabile più importante, da cui dipende il successo o il fallimento di un’impresa, è la gestione strategica. Bisogna quindi redigere un piano strategico e definire quale direzione prendere, prima di intraprendere il percorso della transizione. Il piano serve sia a consolidare il consenso della famiglia attorno al progetto, che per ottenere un corretto abbinamento tra le competenze strategiche richieste dal piano e quelle delle risorse disponibili nella famiglia.

La carenza di formalizzazione è più frequente nelle imprese familiari, dove spesso le decisioni più importanti vengono prese all’interno della famiglia in maniera informale. E’ importante quindi formalizzare questo processo decisionale, attraverso la cosiddetta costituzione o patto di famiglia; non importa tanto quanto è formalizzato in un documento preciso, ma è importante il raggiungimento di un consenso unanime sui contenuti, deve rappresentare una sorta di guida per arrivare a realizzare il passaggio generazionale.

Il patto di famiglia serve a chiarire le regole, le ragioni e i valori che i familiari osservano o devono osservare nei rapporti con l’impresa. A livello di contenuto non esistono regole rigide: si possono mettere in evidenza i valori aziendali e quelli di famiglia, si possono anticipare delle linee guida per la risoluzione dei conflitti, i livelli retributivi e i benefit, e via dicendo. Un fattore a cui fare attenzione, che spesso passa in secondo piano, è rappresentato dalle modalità di uscita dell’imprenditore che termina di operare in azienda. 

L’azienda rappresenta un’estensione della persona che l’ha creata, una casa, il coronamento delle fatiche e dei sogni del fondatore. Appare chiaro quanto possa essere destabilizzante il passaggio del testimone, che, se non gestito correttamente anche a livello psicologico, può impattare in modo traumatico sull’impresa.

Al fine di evitare che l’attaccamento dei fondatori, rispetto alla loro creatura, rischi di portare al collasso della stessa, diventa fondamentale che l’imprenditore – o chi sia in linea di successione il futuro imprenditore – viva in modo sano la pianificazione del passaggio. Solo in questo modo è possibile garantire la continuità aziendale. 

Fondamentale è che, tale momento, non venga a coincidere con una situazione di spaesamento generale: TIM Management, con il suo ampio network di professionisti selezionati nel tempo ed esperti in ogni settore, può offrire la migliore assistenza, assicurando un clima più sereno tra tutti; in particolare tra il successore e l’imprenditore, contribuendo così ad aumentare la competitività dell’impresa, garantendo una continuità di successo.

 

 

 

Il ruolo del Sustainability Manager

L’evoluzione vorticosa dello scenario economico e politico e le trasformazioni del tessuto socio-economico sempre più rapide, sono il terreno su cui nascono nuove – in alcuni casi nuovissime – figure professionali che le aziende sempre più frequentemente integrano nel loro organigramma in ruoli manageriali, spesso anche apicali. 

Il tema della sostenibilità, ad esempio, è decisamente ‘caldo’ nel contesto attuale: le aziende e i mercati si trovano, a volte loro malgrado, nel bel mezzo di un processo di transizione ecologica e digitale, avviato con l’obiettivo di riequilibrare l’ecosistema, non solo inteso come ambiente, ma anche come società (qualità ed etica del lavoro) ed economia (processi produttivi ottimizzati).

Il fine ultimo è quello di arrivare a perseguire uno “sviluppo sostenibile” che soddisfi le necessità del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni.

 

Chi è il Sustainability Manager

 

Questa figura, ha come focus del proprio mandato quello di gestire con successo la sfida della sostenibilità, ricavandone, quando possibile, nuove opportunità per l’azienda e riducendo al contempo quei costi che nel medio termine potrebbero divenire insostenibili. La crescente consapevolezza del tema della sostenibilità comporta modifiche profonde nel business di molte aziende che sono determinate a modificare radicalmente il modo di relazionarsi al contesto in cui operano.

Il Sustainability Manager, è una figura altamente specializzata, che aiuta le aziende ad individuare e perseguire pratiche e azioni sostenibili sia dal punto di vista ambientale che da quello dei processi di operations e innovazione. Una delle sue caratteristiche è l’alto profilo manageriale (Il 53% dei professionisti assunti in grandi e medie imprese per questo ruolo rivestono ruoli dirigenziali),nella vasta maggioranza dei casi opera con responsabilità dirette sui cambiamenti da implementare, coinvolgendo tutte le linee di business. Ogni attività, dalla produzione alla distribuzione, verrà valutata in ottica ESG, e verrà analizzato il suo allineamento, operativo e strategico, con le più recenti normative ambientali, energetiche e di sicurezza. 

Per questo motivo il Sustainability Manager supporta attivamente le politiche e le iniziative sostenibili nell’organizzazione, persegue il monitoraggio e il raggiungimento di obiettivi di performance concreti e misurabili e stimola la sensibilizzazione alla sostenibilità, per poter raggiungere un impatto positivo, non solo per l’azienda ma anche per le persone e l’ambiente.

 

La missione del Sustainability Manager 

 

Si sviluppa in queste aree:

  • Studio fattori ESG, deve monitorare l’evoluzione dei fattori ESG e il loro impatto sulle dinamiche dei mercati dove opera l’azienda, oltre a valutarne l’impatto in termini di rischio e sulle prospettive di redditività dei business.
  • Stabilire obiettivi di performance di sostenibilità, deve guidare con obiettivi condivisi, concreti e misurabili lo sviluppo del sistema aziendale verso una gestione sostenibile, creando valore in ambito ambientale, sociale e di governance.
  • Ideare programmi di sensibilizzazione alla sostenibilità, deve gestire e implementare le iniziative di sensibilizzazione all’interno dell’organizzazione, misurando e comunicando la loro efficacia, sia all’interno dell’azienda che all’esterno, così che i principi della gestione sostenibile e dell’economia circolare siano diffusi e concretamente condivisi.
  • Essere un challenger, l’area di lavoro più importante per chi deve attuare il cambiamento: operare in maniera smart, usando il pensiero laterale e portando prospettive e punti di vista diversi. Il Sustainability Manager è chiamato a sfidare i comportamenti e le convinzioni consolidate, agendo da outsider.

 

Le competenze del Sustainability Manager 

 

Le competenze e le capacità richieste al Sustainability Manager sono eterogenee e multidisciplinari, ma, tra queste sono senz’altro fondamentali: 

– Skills organizzative 

– Competenze analitiche e forma mentis data driven 

– Attitudine al problem solving   

– Eccellenti capacità relazionali e di comunicazione, sia verso l’interno che verso l’esterno

 

Il ruolo non presuppone di operare unicamente sul piano strategico, tenendo in considerazione gli aspetti legati ai consumi, al mercato e alle tecnologie, ma deve arrivare ad impattare anche sulla consapevolezza e conoscenza aziendale* riguardo ai temi ESG. L’obiettivo è anche quello di diffondere i concetti legati alla sostenibilità, portando punti di vista differenti, provenienti dall’azienda ma anche esperienze esterne significative. 

 

*Secondo la ricerca Luiss Business School, l’81% dei Sustainability Manager ha prodotto una crescita della cultura interna riguardo la sostenibilità. 

 

Cosa fa il Sustainability Manager

 

Può svolgere molte differenti mansioni, in base al contesto in cui l’azienda opera. 

Alcune, tuttavia, sono trasversali, tra segnaliamo alcune delle sue mansioni specifiche: 

  • La valutazione e l’elaborazione di una road map strategica per il raggiungimento degli obiettivi e la redazione di un piano di sostenibilità con KPI specifici per misurarne l’efficacia. 
  • Sviluppo di azioni volte a migliorare la sostenibilità Sociale e Ambientale, in linea con le normative attuali e monitorate attraverso audit specifici. 
  • Programmazione, analisi e aggiornamento di un piano strategico di sostenibilità dell’organizzazione in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i suoi 17 obiettivi (SDGs). 

 

Le sfide sono ambiziose, gli obiettivi sono complessi, ma se si vuole che la sostenibilità diventi un approccio comune a tutte le imprese, dalle PMI sino alle multinazionali, è necessario che nell’organizzazione sia presente un Sustainability Manager per sviluppare iniziative e progetti all’interno dell’impresa, ma ottenere anche un impatto all’esterno e aumentare la sensibilità collettiva in chiave ESG. 

 

La figura di un Interim Manager esterno esperto, in particolare per le PMI, può essere la modalità ottimale per inserire all’interno dell’organizzazione un Sustainability Manager che possa facilitare il cambiamento e formare il management interno in funzione di una gestione dei fattori ESG. TIM Management, con il suo ampio network di professionisti selezionati nel tempo ed esperti in ogni settore, può offrire la migliore assistenza, rendendo operative le risorse necessarie in tempi brevissimi.