Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Chief Risk Officer (CRO) o RISK MANAGER, cosa fa e perché è importante

Negli ultimi anni, per molte aziende si è rivelato vitale l’utilizzo della tecnologia per migliorare i processi decisionali e operativi, ivi inclusi il monitoraggio delle performance interne e lo sviluppo di canali digitali per la vendita o per facilitare la relazione con i clienti. Da questo nasce la necessità di gestire in sicurezza i dati aziendali e quelli dei clienti; le aziende si sono evolute e il cambiamento le ha mantenute competitive ma le ha anche rese più complesse e più vulnerabili sia dal punto di vista operativo che strategico. 

Per questo è cresciuta l’importanza di figure come il Chief Risk Officer (CRO) o il Risk Manager, che sono diventate fondamentali e a volte imprescindibili per il corretto funzionamento di un’azienda. 

Il compito principale del Risk Manager è quello di analizzare e definire quali sono i principali rischi per l’azienda e di mantenerla conforme a tutte le normative vigenti.

Oltre alla compliance, i Risk Manager si occupano di una molteplicità di altre attività come ad esempio individuare le polizze assicurative necessarie, garantire la sicurezza dell’IT, prevenire le frodi, attivare gli audit interni ed esterni, si tratta di attività importanti e interconnesse, tutte collegate alla mitigazione dei rischi.

È altresì compito del Risk Manager, offrire una consulenza a 360 gradi riguardo la gestione del rischio. Ad esempio migliorare la cybersecurity dell’azienda oppure prevedere qualsiasi cambiamento economico, sociale, legislativo che potrebbe mettere a rischio l’operatività e il business dell’azienda.  

La figura del Risk Manager è quindi per sua natura molto elastica, le sue funzioni si dilatano e cambiano in modo eterogeneo, a seconda delle esigenze aziendali. Questa elasticità del ruolo permette al CRO di svolgere con successo le sue mansioni sia come dipendente che come consulente esterno – specialmente nei casi in cui l’impresa non abbia le risorse per un manager interno oppure la necessità di internalizzare e/o formare una figura di questo tipo, ma anche quando non ci sia il tempo per cercare un professionista da integrare nel team.

Va detto che nelle realtà più consolidate e strutturate è ormai normale la presenza di un vero e proprio team a supporto del CRO, per individuare e analizzare il rischio, per scegliere le metodologie e gli strumenti più idonei e per aiutare a diffondere nell’organizzazione la cultura del rischio. 

 

Chief Risk Officer (CRO): chi è e cosa fa il risk manager

Il Chief Risk Officer (CRO) o il Risk Manager deve innanzitutto raccogliere dati per poter individuare i rischi interni ed esterni all’azienda. La fase di documentazione è quindi propedeutica e fondamentale per poter definire il profilo di rischio dell’azienda e programmare al meglio le attività future.

A seguire è necessaria un’analisi dei principali indicatori di rischio (KRI), valutando le conseguenze di diversi possibili scenari (what-if analysis), come ad esempio una violazione di dati, una perdita sostanziale di profitto, danni all’inventario ed ogni attività che sia riconducibile ad un danno economico – ma anche ad esempio reputazionale – per l’azienda. 

Nelle fasi successive il CRO valuta le politiche e le procedure di mitigazione del rischio in essere in azienda, prevedendo l’implementazione di ulteriori procedure in caso di criticità o di carenza in alcune aree (in questo caso si parla di vulnerability assessment), aggiornando di conseguenza la risk policy aziendale.

Al termine di tutti i controlli il CRO opera i cambiamenti necessari che possono consistere sia nell’istituzione di nuovi protocolli operativi che nella stipulazione di nuove coperture assicurative.

È possibile che alcuni rischi non possano essere evitati: un esempio è sicuramente il rischio legato all’andamento dei mercati finanziari. In questo caso il ruolo del CRO sarà quello di stabilire il livello di rischio che un’azienda è disposta a sostenere (risk appetite). In questo modo una possibile fluttuazione, pur non sempre prevedibile ed in alcuni casi non completamente gestibile, causerà dei danni calcolati, non mettendo a repentaglio altre funzioni aziendali. 

 

I vantaggi per l’azienda che sceglie di inserire nell’organizzazione il CRO

Il CRO o il Risk Manager può incidere positivamente in molte aree, ad esempio prevedendo i seguenti rischi:

  1. Strategia: A livello strategico avere un risk management efficace può migliorare la competitività e il posizionamento dell’azienda sul mercato. Avere un risk assessment completo può far acquisire un vantaggio competitivo, in caso di imprevisti, rispetto alla concorrenza.
  2. Finanza: A livello di finanza un buon risk management si traduce, in caso di un costo imprevisto, nel continuare ad avere a disposizione la liquidità sufficiente per il corretto funzionamento dell’azienda.
  3. Globalizzazione: A livello globale un risk management efficace calcola,, a seconda dell’azienda e del settore, le variabili e gli accadimenti che potrebbero impattare il modello di business, spaziando da aspetti economici, a quelli politici, tecnologici, e perfino sociali delle varie nazioni e aree geografiche 
  4. Operatività: A livello operativo un buon risk management prevede i nodi operativi più importanti e ne stabilisce un’alternativa in caso di necessità. Questo permette il corretto funzionamento dell’azienda in caso di imprevisti, problemi logistici e di forniture e guasti sulle linee produttive. 

 

Gestione dei rischi nell’era digitale

Molte aziende si sono dovute attrezzare per gestire i dati dei clienti seguendo una normativa che negli ultimi anni ha attraversato diverse fasi di cambiamento, fino alla recente introduzione di aggiornamenti fondamentali per normativa sulla GDPR 2022, allo stesso tempo le aziende hanno anche automatizzato e digitalizzato molti processi che storicamente venivano gestiti in altro modo.

Sono via via emersi nuovi strumenti come il cloud, i big data, l’ intelligenza artificiale, l’IoT (Internet of Thing), il machine learning, tutte tecnologie complesse che devono essere integrate correttamente nei sistemi e nei processi aziendali e che poi vanno anche protetti dalle aziende che li sviluppano o che li utilizzano come elementi fondamentali per l’innovazione dei loro modelli di business e per lo svolgimento di funzioni nuove o di quelle tradizionali che si sono digitalizzate. 

A una tale velocità dell’adozione di nuove tecnologie spesso però non è stata accompagnata da un eguale sforzo in tema di sicurezza e di gestione del rischio.

Le piccole medie imprese sono il cuore pulsante dell’Italia, ma sono spesso proprio quelle che faticano di più nell’adozione di misure di prevenzione del rischio digitale.A causa della scarsità e inadeguatezza delle risorse organizzative ed economiche viene spesso tralasciata l’importanza del tema del rischio digitale, rendendo quindi vulnerabili le PMI e i loro stakeholder. 

Molte aziende spesso a carattere familiare vedono ancora la tutela del rischio come un costo e non come un’opportunità e il cambio culturale non è semplice. 

Ci sono alcuni fattori critici riscontrati in modo diffuso:

  • Difficoltà nella raccolta e mappatura dei dati;
  • Mancanza di sensibilizzazione sul rischio da parte dei dipendenti;
  • Mancanza di sponsorizzazione da parte del top management;
  • Difficoltà di comprensione della normativa;
  • Mancanza di Risk Manager competenti;
  • Inadeguatezza del budget. 
  • Inadeguatezza delle soluzioni tecnologiche di protezione 

Il mondo sta cambiando, diventando sempre più tecnologico e sempre più globale. Di conseguenza le aziende devono aggiornarsi sempre più velocemente alle nuove normative ed ai macro fattori esterni. 

L’inserimento nell’organizzazione di una figura come il CRO o il Risk Management aiuta a prevedere questi fattori e a ridurre l’esposizione ai rischi, agevolando il corretto funzionamento dell’organizzazione e contribuendo alla longevità dell’azienda. 

Come illustrato la soluzione migliore non è sempre quella di reclutare un CRO a tempo indeterminato ma per molte PMI è quella di inserire un Interim CRO esperto in grado di colmare le lacune dell’azienda e di implementare velocemente ed in maniera efficace una corretta politica di gestione dei rischi aziendali e di sviluppare i processi e gli strumenti adatti a tenerla sempre sotto controllo, lasciando poi la gestione corrente del rischio al management interno.

TIM M. mette a disposizione il suo network di partner e manager esperti per identificare i migliori CRO sul mercato. Grazie all’ esperienza maturata in oltre 30 anni e alla qualità dei nostri partner, siamo in grado di supportare efficacemente l’imprenditore e i suoi advisor nella ricerca di un Chief Risk Officer (CRO) o di un Risk Manager esperto del settore e di renderlo operativo in azienda in tempi brevissimi.

 

Donne e temporary management: sfide e opportunità nel mercato italiano

Le aziende ripartono dalle soft skill

La classe dirigente, in Italia e negli altri Paesi, ha subito forti cambiamenti negli ultimi anni, sia in generale per l’evoluzione del mondo del lavoro sia in particolare per la difficile congiuntura economica che, con alterne vicende, a partire dal 2008 ha riguardato tutti i mercati più sviluppati. 

Se da un lato la crisi ha rappresentato uno stimolo per i manager verso l’acquisizione di nuove competenze e di nuovi stili di leadership – alle hard skill come quelle linguistiche, informatiche e tecniche si sono sempre più frequentemente affiancate le soft skill come la flessibilità, l’apertura mentale e la capacità di gestione della diversity – dall’altro è stata uno stimolo per le aziende verso il ricambio generazionale dei propri dirigenti e la valorizzazione di queste nuove competenze e questi nuovi stili. 

Dal punto di vista sociale, i manager si sono poi trovati tra l’incudine e il martello. 

La crescente incidenza della leva variabile sulla retribuzione, con l’obiettivo di incentivarli a lavorare per risultati e in una logica di breve termine, ha messo sempre più pressione e responsabilità sulle loro performance. 

Al contempo, la percezione da parte dell’opinione pubblica della figura dei manager – sia pubblici che privati – è decisamente peggiorata, anche a causa delle difficoltà economiche affrontate da milioni di persone.

In questo contesto, è oggi fondamentale per i dirigenti non solo aiutare le aziende ad agganciare la ripresa in maniera efficace ed efficiente, ma anche ricoprire un ruolo di guida all’interno della società.

 

I trend italiani

Il mercato del lavoro, in Italia, non permette ancora di gestire al meglio il collocamento delle figure manageriali. Molte PMI – la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale del nostro Paese – fanno ancora fatica a comprendere le proprie esigenze. Vige inoltre, soprattutto nella generazione storica di imprenditori e CEO, un’immagine stereotipata del manager, a fronte di una crescente varietà di figure con caratteristiche personali e professionali diverse.

Due però le tendenze recenti che sembrano “correggere”, almeno in parte, questi difetti strutturali. 

1) Il costante e progressivo aumento della presenza femminile

2) Il sensibile aumento di manager assunti con contratti da libero professionista e dei temporary manager

Partiamo dalla prima tendenza.

Secondo l’ultimo Rapporto Donne ManagerItalia, a partire proprio dal 2008, c’è stata una crescita del 49% delle donne manager in Italia, a fronte di un calo del 10% degli uomini. I numeri complessivi sono ancora bassi –  il 18,3% del totale, secondo i dati dell’Inps – ma è confortante il trend tra le generazioni più giovani: si passa al 28% tra le under 40 e al 32,3% tra le under 35. Il fenomeno è più avanzato nelle regioni con una maggior presenza di aziende di grandi dimensioni – come Lombardia e Lazio – e il vero fiore all’occhiello è il settore dei dirigenti privati, in particolare quello del terziario (con la città di Milano come capofila).

Nell’epoca post-pandemia, ci sarà probabilmente sempre più bisogno di incentivare la diversity nel management, anche nell’ottica di una produttività più smart, in grado di coniugare gli obiettivi di business delle aziende con una visione del mondo rinnovata e più attenta ai temi sociali e alla sostenibilità. 

 

Management al femminile tra realtà e aspettative

E qui entra in gioco la seconda tendenza, quella del temporary management.

Il punto di arrivo di una vera e propria rivoluzione nelle modalità di lavoro, figlia del digitale e dell’applicazione di metodologie come l’Agile, che permette ad organizzazioni grandi e piccole di applicare pensiero strategico e velocità di esecuzione ricorrendo a professionisti esterni. 

Se finora il Temporary Manager è stata una professione tipicamente maschile, soprattutto per motivi anagrafici, si sta assistendo anche in quest’ambito a una lenta inversione di tendenza. Un maggior equilibrio tra i generi – a parità di stipendio, si auspica – sarebbe d’aiuto non solo per le professioniste, ma anche per le stesse aziende. Ci sono molti studi, infatti, che mettono in evidenza i vantaggi di un manager donna: sensibilità nel percepire le sfumature nella cultura aziendale, capacità di comunicazione, abilità nel costruire relazioni e nel fare rete. Proprio quelle competenze che la crisi degli ultimi anni ha reso sempre più centrali.

Un ostacolo da superare, a questo scopo, è consentire alle donne Temporary Manager di bilanciare gli impegni professionali con quelli personali, facendo in modo che la famiglia non diventi un ostacolo alla loro carriera e all’espressione del loro potenziale. Un problema che però riguarda l’intera società e tutti i settori lavorativi. 

In TIM Management la presenza di donne manager è in aumento rispetto al passato, e per i prossimi anni puntiamo a un equilibrio sempre maggiore. Il nostro obiettivo è di fornire le condizioni necessarie affinché le Temporary Manager possano trovare le aziende più adatte con cui lavorare, aiutandole tramite le loro hard e soft skill.

Il Valore aggiunto di un Interim Manager

Una delle tante lezioni apprese dalla pandemia è senza dubbio la grande imprevedibilità ed incertezza del mercato odierno, che obbligano le imprese ad essere costantemente preparate a possibili imprevisti e cambiamenti di rotta.

Proprio per questo, i consigli di amministrazione e il management di numerose aziende hanno risposto alla pandemia con maggiore intensità di lavoro e collaborando nella gestione delle crisi e nella risposta alle emergenze.

Secondo un recente sondaggio, il 69% dei dirigenti d’azienda afferma che i cambiamenti più evidenti nelle azioni intraprese per colmare le lacune del personale riguardano una maggiore attenzione alla costruzione delle competenze, seguita dalla ridistribuzione di queste ultime (45%) e dall’assunzione di nuovo personale (42%). In generale, per avere successo durante e dopo la pandemia, le aziende hanno bisogno di un nuovo set di skill, non solo tecniche ma anche sociali, emotive e cognitive. (McKinsey)

La figura del manager ad interim acquisisce quindi sempre più rilievo nel panorama aziendale, italiano e internazionale, rappresentando un grande valore aggiunto per le imprese che decidono di affidarsi a risorse manageriali di alto profilo. 

Esistono diversi vantaggi che le aziende possono trarre dall’acquisizione di un temporary manager qualificato. Questi elementi di valore possono essere riassunti in tre macro-aree.

  1. Migliori risultati in un minor lasso di tempo

Un temporary manager focalizza il proprio lavoro sugli obiettivi aziendali prefissati e sulla scadenza di questi ultimi. Un buon manager ad interim si assicura innanzitutto che il brief iniziale sia chiaro e ben definito. Inoltre, è per lui fondamentale accertarsi di avere gli strumenti necessari per trasformare gli obiettivi in risultati concreti, rispettando i limiti temporali prefissati. 

Dato l’elevata  expertise del manager, le imprese hanno così la possibilità di affidarsi a un professionista altamente qualificato, in grado di gestire sfide già affrontate, e che ha già avuto occasione e tempo per comprendere le modalità migliori per superare gli imprevisti.

In questo modo, per l’impresa si riducono drasticamente i tempi necessari a trovare il giusto metodo e gli strumenti più efficaci a superare cambiamenti ed eventi complessi. 

  1. Maggiore stabilità dei periodi di cambiamento

Il tempo non è però l’unica variabile di risparmio per un’impresa che si affida a un temporary manager. Un altro contributo fondamentale di un manager ad interim è la stabilità offerta nei periodi di cambiamento o di transizione all’interno di un’organizzazione. Secondo un report di Harvard, la partenza di un dirigente può essere catastrofica per un’azienda, soprattutto per i dipendenti. Può infatti generare un effetto a catena con un grande impatto sul morale complessivo e, di conseguenza, sulla produttività. 

La stabilità garantita dall’assunzione di un temporary manager – grazie al suo bagaglio di esperienza e di risorse necessaria a calmare l’ambiente – porta quindi dei benefici al morale e alla produttività.

Il coinvolgimento di un manager ad interim rappresenta così un ulteriore spinta a raggiungere gli obiettivi minimizzando i costi per l’impresa.

  1. Valorizzazione dell’ecosistema aziendale

Meno misurabile – ma indubbiamente fondamentale – è il valore relazionale e culturale che un manager ad interim è in grado di apportare all’organizzazione, non solo in termini economici e temporali. La grande esperienza di un temporary manager è infatti un’importante occasione di crescita e di confronto per l’azienda e il suo management interno, che ha la possibilità di assorbire know-how e conoscenze specifiche nel settore di competenza del manager ad interim.

Inoltre, una figura esterna all’ecosistema aziendale permette di implementare una visione più lucida dell’organizzazione ed è in grado di individuare rapidamente le criticità, indicando poi in maniera oggettiva le migliori soluzioni per attuare il cambiamento.

Infine, l’azienda trae valore anche dal network offerto dallo stesso manager ad interim. Quest’ultimo, infatti, consolida negli anni un’ampia rete di relazioni che possono rivelarsi particolarmente interessanti nel momento in cui partecipa al cambiamento aziendale e condivide aggiornamenti e risultati sui propri canali digitali come Facebook, Twitter e Linkedin. 

In conclusione, il manager ad interim è ad oggi una figura chiave non solo per i risultati evidenti che è in grado di portare in termini di business, ma anche per le sue soft skills che aggiungono valore al servizio di temporary management.

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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Cresce l’utilizzo di Temporary Manager part time in Italia, scopriamo il perché

Le PMI italiane utilizzano sempre più di frequente il Temporary Management per aumentare la qualità del management e, allo stesso tempo, ridurre i costi.

 

E’ normale che in momenti di grande discontinuità, e purtroppo per molti di grandi difficoltà, le aziende che incontrino i problemi più gravi siano proprio quelle che soffrono strutturalmente, per dimensioni e storia, della carenza di un management all’altezza delle sfide. Le PMI italiane si trovano in molti casi in una situazione di questo tipo e, sempre più frequentemente, tendono ad affidarsi a un Temporary Manager, un professionista competente ed esperto, in grado di intervenire per riorganizzare e rilanciare l’azienda in un periodo di tempo limitato e, allo stesso tempo, formare ed elevare la qualità del management interno. Gli imprenditori si garantiscono così l’apporto nell’organigramma di risorse estremamente qualificate, pur mantenendo una grande flessibilità e contenendo i costi, elementi cruciali per la sopravvivenza dell’impresa, in una contingenza incerta come quella che stiamo attraversando da qualche tempo e che prolungherà i suoi effetti a lungo.

Un quadro confermato dall’indagine promossa da Inima, network internazionale che raggruppa le associazioni di temporary manager in Europa – condotta su 750 professionisti ad Interim, a inizio anno (gennaio 2021).

La ricerca mostra che ben il 41% degli Interim Manager italiani intervistati risulta occupato con un contratto part-time, dato nettamente superiore alla media europea (22%) e a paesi come la Germania (13%) e la Francia (14%). Se aggiungiamo che il 60% degli Interim Manager nel nostro paese sono impiegati in aziende con meno di 100 dipendenti, contro il 31% della media europea, il 9% della Germania e il 31% della Francia, ricaviamo una fotografia dell’impiego dei Temporary Manager in Italia che è sempre più orientato a un incarico part time in una PMI.

“Il dato che emerge nell’indagine promossa da Inima a livello europeo”, afferma Jonathan Selby, presidente di Inima e consigliere di Leading Network, l’Associazione Italiana dei Temporary Manager, “è che sempre di più l’utilizzo dei manager va verso un aumento della flessibilità. Ma mentre nel nord Europa questo si concretizza in una riduzione dei tempi degli incarichi, che sono in prevalenza full time, in Italia si registra un progressivo aumento delle missioni di Temporary management part-time, che ormai hanno superato il numero di quelle full-time”.

Il profilo professionale del Temporary Manager in Italia non si discosta molto da quello europeo: è un manager di 56 anni (in linea con l’Europa), i Temporary Manager più giovani sono in Austria e Polonia, dove la media è di 49 anni. Ha maturato un’esperienza di 6,5 anni come professionista ad interim, ricoprendo ruoli da Top manager, C-level o superiore. Significa che la gran parte dei Temporary italiani ha intrapreso questa professione dopo una lunga carriera aziendale che lo ha portato a ricoprire con successo ruoli apicali.

La durata media di un incarico a tempo in Europa è di 11,4 mesi, mentre in Italia è di 14,4 mesi, anzi alcuni estendono la loro durata a oltre 2 anni, soprattutto utilizzando la formula part-time. Dalla ricerca emerge la prevalenza nel nostro paese degli incarichi di business development, aiutati anche dagli incentivi statali. 

I Temporary Manager, in Italia e in Europa, sono chiamati soprattutto per la Gestione del cambiamento, indicata come attività prevalente dal 15% degli intervistati. Da noi i C-Level rappresentano la percentuale maggiore, ben il 72%, rispetto al 56% della media europea e valori in linea con la media europea in Francia e Germania.

L’industria privata rappresenta il 90% degli incarichi temporanei in Europa; da registrare che in Italia il settore pubblico e non profit rappresenta solo il 2% (ultimo tra tutti i paesi). Tra i settori principali di attività, il Bel Paese si distingue per la percentuale più alta nella Metalmeccanica (35%), contro una media europea dell’11%.

La notizia che colpisce di più gli operatori del settore come TIM Management è che il canale prevalente di ricerca e reclutamento dei Temporary Manager europei è largamente il network personale dell’imprenditore e / o dei suoi advisor con il 48% degli incarichi, seguito, ma a buona distanza, dalle società di Interim Management con il 24%; dati confermati dal mercato italiano con, rispettivamente il 41% e solo il 17% per le società di Interim Management.  E’ una tendenza al fai da te che potrebbe penalizzare lo sviluppo di un’offerta selezionata e di alto livello manageriale, senza trascurare il fatto che chi si propone come un operatore specializzato ha un network ampio e qualificato da cui identificare e selezionare la risorsa più in linea con le esigenze dell’imprenditore, che può altresì ottenere una flessibilità maggiore nell’utilizzo della risorsa e nella durata dell’incarico. 

Un ultimo dato legato alla domanda di Temporary Manager è quella della tariffa giornaliera media che in Italia è di 674 euro al giorno, siamo uno dei paesi con il costo più basso; un valore nettamente inferiore alla Svizzera (1.385 euro) e alla Germania (1.198 euro), ma anche a Francia (1.048 euro) e UK (873 euro); una valorizzazione inferiore che è per un verso legata al mercato del lavoro ma che sconta pesantemente il profilo dimensionale medio delle aziende clienti che è nettamente inferiore a quello estero.

 

SCARICA il report completo della Survey 2021 sull Interim Management europeo di INIMA 

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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Nuove professioni digitali: quando e perché è meglio affidarsi a un Interim Manager

Con l’incedere sempre più rapido della digital transformation, alcune professioni sono scomparse, mentre molte altre si sono dovute adattare, modificando in maniera significativa il loro contenuto e la loro operatività.

L’ascesa dei Social Network, del Social Media Marketing e, più recentemente, del Social Selling; il Cloud sempre più universalmente adottato dalle aziende; l’utilizzo di Analytics e dei big data per il controllo di gestione e lo sviluppo dei mercati e le modalità di sviluppo dei progetti Agile sono tutti fattori, sempre più pervasivi, che stanno generando nuove professionalità al 100% digitali; sono job che richiedono competenze specifiche e sofisticate che raramente si possono trovare all’interno delle organizzazioni aziendali. La presenza di manager competenti ed esperti è diventata rapidamente un’esigenza sempre più cruciale per il futuro delle aziende e il loro sviluppo e costituisce una nuova opportunità molto indicata per l’inserimento di Interim Manager qualificati.

Questo è ancora più valido per aziende tradizionali e con una struttura manageriale orientata alla gestione del business esistente; la digital transformation per queste aziende sta creando un contesto inedito, sconosciuto e potenzialmente dirompente.

L’ambiente digitale implica la crescita di aree di conoscenza e sperimentazione inesplorate all’interno dell’azienda; sono cambiamenti spesso realmente dirompenti per lo status quo, che possono creare uno stato d’animo di insicurezza e confusione nel management, che viene messo di fronte alla necessità di virare verso una nuova organizzazione del lavoro che sia sempre più reattiva e flessibile, con contenuti a loro pressoché sconosciuti. 

Ma è un passaggio inevitabile! Oggi, più che mai, la trasformazione digitale è un fattore determinante per la sopravvivenza dell’azienda in un mondo particolarmente competitivo, sia sul mercato locale che su quello globale. Si può certamente sostenere che la trasformazione digitale dell’azienda non significa solo per l’azienda acquisire nuovi strumenti, ma anche e soprattutto creare e inserire nuove professioni digitali all’interno dell’organizzazione.

 

L’emergere di nuove professioni

Questa necessità imperativa di trasformazione e riorganizzazione dell’organizzazione aziendale ha portato all’emergere di nuove professioni al 100% digitali come ad esempio:

 

Il Chief Digital Officer o Direttore della strategia digitale, è un C-Level che supporta e guida l’azienda nell’adozione di modelli di business basati sul digitale, con l’obiettivo di conseguire una maggiore efficienza, un controllo più efficace e pervasivo dei risultati e delle performance, basato sull’analisi dei dati e l’ottimizzazione dei processi operativi e gestionali. Molto spesso i suoi compiti principali sono l’implementazione di un e-commerce efficace, in affiancamento ai canali di vendita tradizionali, e la gestione delle digital properties aziendali (sito, pagine social, canali di e-commerce, digital PR, content media) e dell’acquisizione di nuovi clienti attraverso l’utilizzo di digital marketing, social media marketing e inbound marketing.

 

Il Chief Data Officer è responsabile dell’identificazione, della raccolta e dello sfruttamento dei dati generati dai sistemi di monitoraggio e analisi delle performance. Sono sistemi complessi, gestiti internamente all’azienda, che partecipano (e migliorano) attivamente al suo funzionamento e alle catene produttive (ad esempio l’adozione di robot negli stabilimenti produttivi, i sistemi automatizzati di analisi e visualizzazione dei dati che migliorano i flussi di acquisto o il controllo di gestione, ecc.) La sua responsabilità si estende ai sistemi di monitoraggio e feedback dei dati, integrati nei prodotti forniti al cliente finale (contatori, IoT, black box, internet of things etc.).

 

Il Chief Security Officer è il responsabile della sicurezza informatica dell’azienda; i servizi offerti e le piattaforme di comunicazione con il cliente sono necessariamente sempre più connessi alla rete e, per questo motivo, rappresentano potenzialmente un pericolo per i sistemi aziendali, dato che  possono offrire porte di ingresso a persone o organizzazioni malintenzionate. Il CSO organizza la sicurezza ed è responsabile dell’educazione digitale di tutta l’organizzazione, interna ed esterna, collegata all’azienda. Si tratta di promuovere comportamenti e attitudini volte alla massima prudenza nell’utilizzo dei sistemi informatici e dei software aziendali e all’aggiornamento continuo di tutti gli operatori coinvolti.

 

Il Cloud Architect deve definire e gestire l’architettura dei sistemi informativi, tenendo conto delle possibilità sempre più evolute, offerte dai  servizi tecnologici di Public Cloud (AWS, ARUBA, AZURE, Microsoft etc.), Private Cloud e On-Premise (on-site), in modo che ogni applicazione possa operare in continuità, con la massima efficienza e sicurezza, tenendo conto dei suoi vincoli tecnici, di vulnerabilità e di necessaria disponibilità per gli utilizzatori.

 

Il Technical Support Leader si occupa di guidare lo sviluppo dei progetti aziendali in modalità Agile garantendo il corretto funzionamento e utilizzo degli strumenti necessari allo sviluppo in parallelo di micro-servizi; deve garantire che le migliori pratiche di “DevSecOps development + security + operations ” siano applicate da tutti gli attori coinvolti nello sviluppo, in modo da garantire sempre che ognuno si assuma pienamente la responsabilità di sviluppare applicazioni operative, efficienti e sicure, nei tempi concordati.

 

L’Interim Manager: un modo smart per l’imprenditore di guidare la trasformazione digitale

Di fronte alle sfide poste all’imprenditore e al suo management dalla trasformazione digitale, l’Interim Management  si può rivelare una risorsa estremamente preziosa per l’azienda. E questo perché una risorsa esperta può supportare e guidare l’organizzazione verso la digital transformation senza richiedere investimenti importanti, e potenzialmente rischiosi, in management permanente o attività di consulenza esterna:

 

  • Aiutando a ripensare l’organizzazione dell’azienda su nuovi parametri e processi, basati su data mining, implementazione cloud e sviluppo Agile, il tutto con estrema competenza e professionalità, sviluppata nelle sue esperienze precedenti.
  • Accompagnando la scelta delle piattaforme e dei software più adatti a semplificare i processi e la gestione del cambiamento, senza il rischio di perdersi nel labirinto digitale di un’offerta sconfinata. 
  • Collaborando serenamente con la direzione e con tutti i reparti, sia funzionali che operativi, non essendo in competizione con il management ma orientato al risultato.
  • Infine, assicurando che tutti i “poli” dell’azienda siano coinvolti nell’adozione e nell’implementazione del nuovo paradigma ‘digital’, elevando al tempo stesso le competenze del management interno che, alla fine del suo incarico, sarà meglio attrezzato per gestire il cambiamento e guidare lo sviluppo .

 

Nuove professioni per nuove ambizioni

Il ruolo di un Interim Manager diventa essenziale quando l’azienda decide di approcciare seriamente la trasformazione digitale, rendendosi conto che sta intraprendendo una riorganizzazione globale, e, molto spesso, adottando una nuova visione e definendo nuovi obiettivi a medio termine. 

L’obiettivo fondamentale è sempre quello di avvicinarsi di più ai propri clienti, conoscendone a fondo i desideri e le aspettative, e implementare nuovi canali di ingaggio e comunicazione con loro.

Affidandosi alle competenze tecniche e gestionali di un Interim Manager specializzato nelle nuove professioni digital, l’azienda si porta in casa competenze preziose e, al tempo stesso, una visione fresca, neutra, totalmente oggettiva, che le consente un salto di qualità nel mondo digitale, al servizio dei clienti e del successo duraturo dell’impresa.

 

“Niente è permanente tranne il cambiamento” disse molto tempo fa Eraclito, una massima che qualsiasi Transition Manager potrebbe usare, a maggior ragione chi si occupa di digital.

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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