Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Interim Management, una soluzione manageriale sempre più popolare

L’utilizzo di Interim Manager è in forte crescita, in Italia e in Europa.

È una tendenza che si è rafforzata in presenza di uno scenario economico sempre più incerto e sfidante per le imprese che le porta a dover affrontare cambiamenti sempre più repentini e a modificare strategie e organizzazione molto più spesso che in passato.

La necessità di cambiamento organizzativo è diventata ancora più pressante per la necessità di innovare e digitalizzare strumenti e processi e di acquisire nuove competenze all’interno del team per gestire l’innovazione; sono competenze raramente presenti nel management delle aziende, soprattutto nelle PMI che hanno l’esigenza di acquisire velocemente le skills necessarie per gestire con successo il cambiamento e mantenere una posizione competitiva sul mercato.

In questa situazione di tensione, ricorrere all’Interim Management può essere la maniera più veloce ed efficace di rispondere all’esigenza di cambiamento e supplire ai gap di competenze interne. Gli Interim Manager offrono una soluzione flessibile alle aziende, sono professionisti di grande esperienza che operano nell’organizzazione con ruoli e deleghe apicali per un periodo di tempo limitato, tipicamente da 6 a 18 mesi. Reclutare manager temporanei offre alle società benefici tangibili: una disponibilità praticamente immediata, esperienza consolidata e profonda conoscenza del settore e del mercato. Sono figure in grado di offrire formazione e sviluppo di nuove competenze alle risorse manageriali presenti in azienda, che, una volta concluso l’incarico del manager ad interim, potranno proseguire nella gestione del cambiamento e implementare con successo la strategia aziendale concordata.

Interim Management in Europa: la survey INIMA 2024

È appena stata pubblicata l’edizione 2024 della ricerca annuale di INIMA, il network internazionale delle associazioni di Interim Manager, che ci offre lo spunto per analizzare alcuni dati sull’evoluzione dell’interim management, in Europa e in Italia. Le conclusioni di INIMA sono molto positive e sottolineano un trend stabile di crescita per quanto riguarda il tasso di impiego degli Interim Manager (sono mediamente utilizzati per il 70% della loro disponibilità) e per il loro compenso giornaliero (+5% vs. LY). Le società di consulenza che forniscono servizi di Interim Management segnalano una forte richiesta e, in molti casi, lamentano la sempre crescente difficoltà di reperire Interim Manager esperti e disponibili ad assumere nuovi incarichi.

Vediamo una fotografia dell’Interim Manager europeo: 57 anni, prevalentemente maschio (oltre l’80% degli interim manager), opera come Interim da più di 8 anni. Sono dati che, in questo caso, non si discostano significtivamente da quelli italiani.

In termini di ruolo, gli Interim Manager sono occupati soprattutto in ruoli apicali, con il 30% di loro che occupa posizioni di CEO o Direttore Generale, lo stesso accade on Italia con una presenza un po’ sopra la media europea di finance manager ad interim.

A gennaio 2024 ben l’85% degli Interim Manager italiani stava svolgendo un incarico, di gran lunga la media più alta in Europa, dove, nello stesso periodo, si registra un dato del 69% medio. È un dato strutturale per il nostro paese perché legato alle caratteristiche peculiari del mercato dell’interim management; infatti, la ricerca mostra che più della metà degli Interim Manager italiani intervistati risulta occupato con un contratto part-time, dato nettamente superiore alla media europea (26%) e a paesi come la Germania (19%) e la Francia (16%). In Italia gli Interim sono impiegati solo per il 9% dei casi da aziende sopra i 1000 dipendenti, in Europa il dato corrispondente è il 32%.

Sono dati che si possono comprendere esaminando la struttura dell’impresa italiana, composta da migliaia di PMI di dimensioni ben più contenute rispetto agli altri grandi paesi europei. Il 51% degli Interim Manager del nostro paese sono impiegati in aziende con meno di 100 dipendenti, contro il 24% della media europea, l’8% della Germania e il 21% della Francia. È una fotografia dell’impiego degli Interim Manager in Italia posizionati in PMI di dimensioni medio / piccole con un incarico sempre più spesso fractional, cioè per 2 o 3 giorni alla settimana.

Un altro dato interessante che riguarda il nostro paese è la tipologia di aziende che si rivolgono agli Interim Manager; in Italia sono praticamente assenti le aziende pubbliche, il partenariato pubblico-privato e il settore no-profit che in Europa pesano per il 14% degli incarichi, con un picco di ben il 39% in UK, e le PMI sono oltre la metà, mentre in Europa di fermano al 29%.

Gli Interim Manager sono chiamati soprattutto per la gestione del cambiamento, seguita dall’ottimizzazione dei processi e dai ruoli di General Management. Il job più frequente rimane quello di C-Level membro di board, il 60% del totale in crescita, soprattutto CFO e COO, seguiti dai CEO e dai GM.

La durata degli incarichi ad interim è di circa un anno in Europa, nel nostro paese gli incarichi tendenzialmente durano un po’ di più, quasi 15 mesi, anche questo probabilmente legato alla dimensione più limitata delle aziende clienti che, tipicamente, necessitano di un supporto dei Senior Manager più esteso nel tempo.

In Italia gli incarichi inferiori ai sei mesi di durata rappresentano solo il 16% e sono in calo, mentre in Europa, Germania e Francia sono attorno al 30%, a conferma della natura più strutturale e meno emergenziale degli incarichi nel nostro paese.

Il canale prevalente di ricerca e reclutamento degli Interim Manager europei rimane il network personale dell’imprenditore e / o dei suoi advisor con il 43% degli incarichi (il 56% in Italia), ma c’è da registrare l’ottima progressione delle società di Interim Management con il 32% degli incarichi, in crescita esponenziale rispetto al 20% del 2021, e questo vale anche per l’Italia.

Per concludere uno sguardo al futuro: l’utilizzo di Interim Manager in Europa è da molti trimestri in crescita; citiamo i recenti report di KPMG e REC pubblicati in UK che mostrano una tendenza consolidata verso il reclutamento di interim a livello manageriale, a scapito delle assunzioni a tempo indeterminato. Il mercato del lavoro manageriale spinge molte aziende ad

aumentare l’utilizzo del talento in modalità temporanea o a cominciare a considerare seriamente questa alternativa. In un mercato incerto e volatile, può essere molto più conveniente ed efficace affidarsi a risorse flessibili e molto esperte.

Scarica la ricerca INIMA 2024

Anche nel nostro paese cresce l’utilizzo di Interim Management, ma la conoscenza di questo strumento è meno diffusa e consolidata, rispetto ad altri paesi europei. TIM Management, che dal 1987 fornisce risorse manageriali esperte per incarichi temporanei, ha aggiornato la sua ‘Guida all’Interim Management’. Uno strumento prezioso per conoscere l’Interim Manager, quali sono i vantaggi del suo utilizzo per imprenditori e aziende e quando è opportuno considerare questa soluzione per le organizzazioni aziendali.

Contattaci per un approfondimento: info@tim-management.com

 

Interim Manager : Architetti del Cambiamento nell’ecosistema Aziendale Contemporaneo

Il webinar del 14 marzo organizzato da Tim Management in collaborazione con Profexa Consulting, intitolato provocatoriamente “Oggi i Manager sono inutili per le imprese”, si è rivelato un terreno fertile per riflessioni di vasto respiro sul ruolo cruciale degli Interim Manager nell’ecosistema aziendale moderno e sugli strumenti necessari per mandarli a successo nel minor tempo possibile.

Gli Interim Manager, professionisti dall’approccio dinamico e dalla vasta expertise, emergono come figure chiave in grado di affrontare e superare sfide complesse quali la riorganizzazione aziendale, il miglioramento dei margini di profitto, la delicata fase del passaggio generazionale, l’implementazione di sistemi informatici avanzati come il SAP e l’interruzione progressiva della produzione assicurando continuità ai dipendenti.

In questo contesto, gli Interim Manager hanno sempre meno tempo, le aspettative nei loro confronti sono esponenzialmente più alte e richiedendo una combinazione di competenze tecniche, umane e attitudinali di alto livello.

“Più conosco, prima conosco, meglio riesco ad andare a successo”: oggi sempre più questa filosofia deve guidare gli Interim Manager nel loro iter professionale, enfatizzando l’importanza di una profonda comprensione delle dinamiche umane e professionali dei team con cui collaborano.

Raffaele Ferragina, General Manager di Profexa Consulting, ha sottolineato l’importanza di adottare strumenti scientifici avanzati per analizzare in profondità competenze e attitudini dei team. Avere questa fotografia delle persone con cui si affronteranno le sfide e si raggiungeranno obiettivi cambia completamente lo scenario e permette non solo di comprendere, ma anche di anticipare le dinamiche del proprio team, allenarlo ad essere più performante raggiungendo così, come Interim Manager, traguardi in maniera più efficace e innovativa.


Raffaele Ferragina ha portato un esemplificativo caso di studio, che ha visto Profexa al fianco di un Direttore di Produzione Temporary durante la sua integrazione in una nuova organizzazione. Una volta assunto il ruolo, il nuovo Direttore di Produzione ha beneficiato delle analisi dettagliate fornite da Profexa, come la WPA (Well Being Performance Analysis), ovvero l’analisi del clima organizzativo, e i P.D.A. (Potential Development Analysis) dei membri della nuova squadra che gli era stata assegnata. Questi dati hanno identificato con precisione le aree di intervento prioritario, permettendo al Direttore di Produzione di agire in modo mirato ed efficace. All’interno della struttura, uno specifico reparto mostrava un basso rendimento produttivo. Grazie alle analisi di Profexa, è emerso che tale carenza era legata al basso coinvolgimento degli operatori. Attraverso un’analisi attitudinale dei capi reparto, è emerso che il capo reparto del gruppo meno performante aveva un profilo attitudinale meno centrato rispetto al ruolo ricoperto. Si è così scelto di valorizzare quel capo reparto con un ruolo più adatto alle sue attitudini, assegnandogli un ruolo più tecnico, e si è individuato tra i membri del suo team il profilo più adatto per mandare a successo la squadra. In breve tempo, grazie alla sostituzione del capo reparto con una figura più centrata per quel ruolo, ciò ha portato a risultati tangibili, inclusa una significativa riduzione sia nel tasso di assenze per malattia (dal 4,47% al 2,43%) sia nel volume di reclami dei clienti nel reparto di competenza (dal 20% all’8,26%).

Durante il webinar, l’Interim Manager Alessandro Vannucci ha portato un caso di successo realizzato in stretta sinergia con Profexa Consulting. Quando, tra le sue varie esperienze, Alessandro Vannucci è stato integrato come Interim Manager in un cantiere nautico, si è trovato di fronte a una sfida significativa: un processo produttivo orgogliosamente sviluppato dai capi reparto, ma che presentava notevoli disomogeneità, causando problemi di tempistiche e coerenza nella qualità del prodotto finale. Questi processi, radicati nella tradizione e nell’orgoglio dei capi reparto, avevano creato un ambiente resistente a qualsiasi forma di cambiamento.

Deciso a introdurre la lean production per rivoluzionare il sistema produttivo, Vannucci si è scontrato con diverse forme di opposizione.  PI capi reparto, temendo sia la perdita della loro identità professionale sia la possibilità di essere sostituiti, hanno inizialmente ostacolato il processo di cambiamento. Tuttavia, l’intervento di Vannucci, supportato dall’expertise di Profexa Consulting, ha segnato una svolta decisiva.

Partendo da un Check Up del Potenziale Attitudinale, Profexa ha fornito le caratteristiche sulle persone su cui puntare e come allenarle, implementato un percorso di Form-Azione su misura che ha fatto crescere il Team dal punto di vista della comprensione e dell’interiorizzazione dei valori aziendali, così come delle metodologie della nuova direzione produttiva.

Il risultato di questo percorso di crescita è stato straordinario. I capi reparto, inizialmente scettici e resistenti, hanno iniziato a percepire i benefici tangibili del nuovo approccio, sia in termini di efficienza che di qualità fino a diventare, loro in primis, i sostenitori di questo approccio.

In tempo relativamente breve, la strategia adottata da Vannucci, con il supporto di Profexa, ha portato a un notevole miglioramento nelle performance produttive del cantiere, riducendo i tempi di realizzazione, elevando la consistenza della qualità e, soprattutto, costruendo un team più coeso, motivato e allineato ai nuovi obiettivi aziendali.

Questo caso di successo non solo evidenzia l’importanza di un approccio scientifico e personalizzato nella gestione del cambiamento e dello sviluppo delle competenze ma sottolinea anche il valore intrinseco degli Interim Manager nel guidare le aziende attraverso periodi di transizione critici, trasformando le sfide in opportunità di crescita e innovazione.

Grazie al supporto di Profexa, gli Interim Manager vengono dotati di strumenti che facilitano il loro compito e consentono loro di raggiungere i propri obiettivi in modo più veloce, preciso e significativo, contribuendo così in modo più efficace alla crescita e al progresso delle aziende in cui operano.

Da questo questionario è emerso un messaggio inequivocabile: nell’odierno panorama imprenditoriale, ben lontani dall’essere “inutili”, i manager rappresentano una risorsa più indispensabile che mai, pronti a guidare le loro organizzazioni verso nuovi orizzonti di efficienza e prosperità.

Un CdA con potere decisionale limitato non è mai una buona idea

Prima di formare, o anche mutare la composizione del Consiglio di Amministrazione, è essenziale stabilire il suo perimetro decisionale e le responsabilità dei membri. Un board competente, infatti, è capace di affrontare con successo tutte le sfide strategiche, ma il suo ruolo riesce a essere determinante solo se sono stati definiti, con chiarezza, ambiti e poteri.

Collaborare. È la parola d’ordine per attuare una strategia efficace per qualsiasi tipologia d’azienda.  E rendere la collaborazione quanto più efficace possibile deve essere un mantra per tutte le imprese, specialmente per quanto concerne i profili gestionali. Tuttavia, spesso, questa priorità rimane più un vuoto proclama che una realtà concreta e attuata, soprattutto per quanto riguarda il concreto impegno nel formare un board competente e in grado di agire con autonomia e tempestività.Un grave errore, che si rivela ancora più pesante e problematico quando si tratta di sviluppare nuovi prodotti o servizi, offrire soluzioni per ampliare la clientela o esplorare nuovi mercati, o magri quando si decide di porre l’accento sulla sostenibilità aziendale.

Ma quali sono le radici di questo problema? Alcuni ancora considerano imprescindibile la figura del leader solitario, accentratore di deleghe e decisioni, mentre, in altri casi, la composizione del consiglio è determinata da dinamiche relazionali che trascurano i principi fondamentali alla base di sistemi di governance veramente efficaci. Ciò che viene tralasciato – talvolta dimenticato, altre volte appositamente eluso – è che questo aspetto, cruciale soprattutto per le piccole e medie imprese, costituisce il prerequisito per affermarsi in mercati sempre più competitivi; oltre a rappresentare uno strumento di emancipazione culturale, strategica, organizzativa e operativa per le imprese a conduzione familiare che ambiscono – o vorrebbero ambire – a una crescita rapida. Un CdA inerte, scarsamente coinvolto nei processi, che svolga un ruolo prettamente formale, non è solo un’occasione persa, ma rischia di essere un freno alla crescita aziendale. Per molte imprese, il CdA ha un ruolo periferico: viene informato e tenuto al corrente (sempre successivamente) delle decisioni prese dagli azionisti e dalla direzione, e si ritrova ad avere un ruolo decisionale relegato a mere approvazioni formali, e, al massimo, di richiamo e monito, verso coloro che le decisioni le hanno prese in modo pratico, sui possibili rischi a esse associati.

L’importanza strategica del CdA

L’unico modo di cambiare prospettiva è comprendere l’importanza strategica e operativa che riveste il CdA, ma questa presa di coscienza spetta all’azionista di maggioranza, la cui determinazione a compiere un balzo in avanti in questo ambito, deve essere frutto di un’audacia intellettuale non comune (quantomeno nello scenario aziendale italiano). Un atto di consapevolezza che porterebbe vantaggi per tutti, poiché un board efficace può contribuire in modo significativo ad affrontare con successo le questioni più intricate, incidendo sia su temi strutturali che su ambiti più operativi. Questo, ovviamente, a condizione che vengano precisamente definiti i campi di intervento e le competenze del board stesso e dei suoi membri. Prima ancora di costruire un team, o anche di rimpiazzarlo, è essenziale tracciare i confini entro cui il board dovrebbe operare (cercando di renderli quanto più estesi possibile), e quindi, in particolare: 

  • Quali argomenti possono e devono essere trattati dall’organo direttivo
  • Quali decisioni rientrano nella sua esclusiva competenza e quali sono di competenza mista con altri organi
  • Quali responsabilità sono esclusive del board e quali sono diffuse 
  • Che metodologia di giudizio e decisione utilizzare, in base alle questioni affrontate 
  • Che regole e processi seguire 

Una volta definiti questi aspetti è possibile – ed è senz’altro più corretto – identificare i professionisti che possiedono le qualità e l’esperienza necessarie per costruire un CdA competente, efficace, solido. 

È ovvio che se un’azienda si pone come obiettivo principale quello di potenziare l’efficacia del sistema di governance aziendale, il Consiglio di Amministrazione non potrà riunirsi soltanto quattro volte all’anno, come peraltro spesso accade. Il board dovrà essere attivo e dinamico, con una frequenza di riunioni ben maggiore, poiché sarà chiamato a contribuire attivamente al raggiungimento degli obiettivi strategici.

Il ruolo del Consiglio e gli obiettivi strategici 

Una volta definito questo perimetro, ci si potrà porre la domanda: quali sono gli obiettivi strategici da perseguire attraverso un board qualificato? Primo fra tutti, disegnare e attuare un piano d’azione per raggiungere una crescita sostenibile, specialmente in mercati stagnanti; il che equivale all’applicazione di strategie che portino l’azienda ad acquisire terreno nei confronti dei competitor. Il secondo obiettivo, in molti casi, dovrà essere quello di attuare un’espansione a livello internazionale, o quantomeno ragionare sulla possibilità di farlo, migliorando (o anche creando) la presenza dell’azienda su mercati esteri: e questo evitando di portare avanti delle micro strategie che tendono a tradursi in attività a singhiozzo, sia a livello industriale che commerciale. Terzo, ma non meno rilevante, obiettivo, è quello di individuare e sfruttare le opportunità di efficientamento operativo: attraverso una profonda revisione dei costi , attuando una verifica della qualità dei prodotti e servizi offerti, e ovviamente dei processi di innovazione, mantenendo sempre un costante contatto con la clientela e raccogliendo feedback. Da non tralasciare in questo contesto, la determinazione di puntare ad una reale sostenibilità: non solo aziendale, ma anche etico-sociale, che porti l’azienda a rappresentare un modello virtuoso, caratterizzato da regole, comportamenti e processi allineati al ruolo che l’impresa svolge nella sua comunità di riferimento e per gli stakeholders. 

Una volta stabiliti gli obiettivi, si potrà porre il tema di quali siano le responsabilità del board. E, in particolare, la domanda: quando il consiglio d’amministrazione deve essere chiamato a prendere decisioni o a fornire supporto concreto alle scelte della governance aziendale? Le mansioni di un board spaziano da decisioni sull’opportunità di una fusione aziendale o di un’acquisizione, fino al posizionamento delle infrastrutture produttive e commerciali, passando per le fonti e le modalità di finanziamento, il lancio di nuovi prodotti e servizi e l’espansione verso nuovi mercati. Uno spettro di competenze, responsabilità e operatività che in sostanza copre il 100% della vita di un’azienda. Negli ultimi anni, peraltro, l’ambito di azione si è ulteriormente ampliato, e questo per includere temi di CSR, la promozione della trasparenza interna ed esterna, la sostenibilità ambientale ed etica, la parità di genere e la sicurezza informatica. Inoltre, al consiglio d’amministrazione possono essere attribuite decisioni riguardanti la struttura organizzativa, l’allineamento tra strategia, processi, organizzazione e risorse umane, nonché tutto ciò che concerne la valutazione, la valorizzazione e lo stimolo (anche economico) nei confronti della dirigenza aziendale.

Le competenze di un CdA efficace 

Le persone del board devono senz’altro possedere esperienza e competenza nel loro campo ma devono anche garantire una visione d’insieme e una conoscenza – se non competenza – multidisciplinare. Ciascun membro del board deve essere dotato di pensiero critico e di quella che si può definire intelligenza emotiva e relazionale, apportando una prospettiva internazionale e condividendo best practices acquisite in vari contesti ed esperienze. Inoltre, è fondamentale che i membri del CdA dimostrino flessibilità e capacità di sintesi per affrontare in modo collaborativo e competitivo una serie di tematiche complesse ed eterogenee. In molte realtà aziendali, la strategia è spesso di competenza esclusiva del CEO. Quando cambia il CEO, si assiste a un cambiamento di strategia. Un board passivo accetta e ratifica tale cambiamento senza sollevare obiezioni, anche se questo può voler dire perdita di tempo, frizioni aziendali e dispersione di risorse e investimenti. Un organo efficace riesce invece a rompere questo circolo vizioso, analizzando, insieme con la dirigenza – nuova o storica – i punti critici e di forza,  alimentando un dialogo costruttivo per l’azienda; fornendo inoltre indicazioni precise al management su come perseguire gli obiettivi e in quale tempistica. È compito proprio del consiglio d’amministrazione definire i criteri per valutare il raggiungimento degli obiettivi aziendali: quali obiettivi sono stati raggiunti? E in quale misura? In che tempi? Con quali mezzi e nel confine dei costi preventivati? Il management partecipa a questo processo, offrendo idee e proposte, mettendo in atto azioni e riportando al board sui risultati ottenuti. Si tratta di un lavoro di squadra, e non del lavoro di un singolo. 

TIM Management da anni si occupa di supporto alle aziende, fornendo consulenza strategica e soluzioni manageriali alle imprese che vogliono intraprendere un percorso di crescita. Il giusto partner per una composizione o una ristrutturazione del consiglio d’amministrazione e, in generale, per la definizione degli organi direttivi e del management aziendale. La sua rete di professionisti esperti dotati di una visione a lungo termine e di competenze multi-settoriali, rappresenta la soluzione ideale per supportare l’azienda nel percorso di trasformazione e cambiamento. Contattaci per costruire insieme un futuro aziendale vincente e durevole.

Il Ruolo Centrale della Tecnologia nell’Integrazione Post-Fusione aziendale

Nell’integrazione post-fusione la tecnologia è diventata essenziale quanto le considerazioni finanziarie e sul personale. Le aziende danno sempre una priorità crescente alla gestione dei dati, e, in generale, al livello della tecnologia, per garantire la continuità aziendale e raggiungere gli obiettivi della fusione, a partire da quelli di breve termine.

Le aziende che non investono, tempo e risorse, in tecnologia, specialmente in riferimento alla gestione dei dati, rischiano di compromettere persino la continuità operativa a breve termine, ostacolando gli sforzi per raggiungere gli obiettivi a lungo termine della fusione.  Citiamo un obiettivo tra tutti: promuovere la competitività attraverso la ricerca di efficienza e l’innovazione. La soluzione logica sembrerebbe quella di mettere al centro della propria azienda la tecnologia. Ma sebbene possa sembrare semplice, questo processo richiede alle aziende di adattare processi e funzioni. Un primo passo è senz’altro stabilire una leadership che guidi le iniziative di integrazione tra le funzioni aziendali e tecnologiche, allineando le loro priorità strategiche. Ma non basta. Per sostenere gli sforzi di integrazione, le aziende devono istituire una governance robusta con il giusto modello operativo, per favorire una cultura orientata ai dati, di modo che questi ultimi possano guidare le decisioni aziendali.

Cosa determina il ruolo centrale della tecnologia?

L’imperativo, secondo cui la tecnologia debba avere un ruolo centrale nella fase post- fusione, è ancora più rilevante se si considera il post-fusione non come una singola fase, bensì come una serie di fasi, anzi di orizzonti temporali: 

Orizzonte 1 (fino al giorno 100). Nella fase iniziale, l’azienda nata dalla fusione dovrebbe dare priorità alla continuità operativa. Fin dal primo giorno della fusione, le attività aziendali dovrebbero procedere come al solito, senza interruzioni o cambiamenti, con la tecnologia in grado di funzionare a livelli pari o superiori a quelli precedenti alla fusione. I dipendenti di entrambe le organizzazioni dovrebbero avere un’esperienza coesa di un’unica azienda.La tecnologia ci viene in aiuto: una rete unica e connessa, in luogo di tante reti aziendali; strumenti e piattaforme comuni; accesso diffuso a file e materiale, sono solo alcune delle scelte da intraprendere per un percorso di fusione fluido ed efficace. Ma è anche essenziale adottare al più presto misure di sicurezza informatica unificate: si registra un costante aumento degli attacchi informatici e di phishing nei periodi immediatamente successivi alle fusioni aziendali. Durante il primo periodo è essenziale che tutte le funzioni comprendano e gestiscano correttamente i dati, in modo da favorire una condivisione ampia, ma anche per permettere di segnalare eventuali criticità al management. Appare inevitabile, poi, che sin dall’Orizzonte 1 i team debbano iniziare a tenere presente gli obiettivi degli orizzonti 2 e 3. 

Orizzonte 2 (dal giorno 100 ai 2-3 anni dopo la fusione). Ovvero la fase di consolidamento, quando l’integrazione dei processi aziendali e dell’operatività deve essere perfetta. Per le funzioni tecnologiche ciò comporta la fusione delle piattaforme e del supporto per consentire una standardizzazione dei processi. Allo stesso tempo, i team che si occupano di tecnologia dovrebbero progettare prodotti aziendali pensati per supportare la strategia dell’azienda risultante dalla fusione e gettare le basi per le sinergie aziendali da ricercare nell’orizzonte 3. 

Orizzonte 3 (dai 2-3 anni ai 4-5 anni dopo la fusione). Nella fase finale, l’attenzione si allarga all’ambizione aziendale di più lunga durata, mirando a raggiungere i benefici strategici della fusione su scala più ampia. I team tecnologici e di gestione dei dati dovrebbero lavorare in stretta collaborazione con i team aziendali per trasformare i processi e potenziare le capacità. Tali collaborazioni dovrebbero indirizzare strategicamente gli investimenti verso:

  • Una trasformazione dei processi aziendali. Utilizzare i dati e l’IA per prendere decisioni e automatizzare le operazioni.
  • Un rinnovamento dei modelli operativi. Trasformare il modello operativo tecnologico e aziendale per aumentare la produttività organizzativa.
  • L’adozione di pratiche e strumenti scalabili che consentano la rapida integrazione nel modello aziendale di nuove tecnologie.

Come mettere la tecnologia al centro dell’azienda

Per mettere la tecnologia al centro della pianificazione e della gestione dell’integrazione post-fusione, le aziende dovrebbero sin da subito: 

  1. Instaurare una collaborazione tra i leader dell’area business e quelli dell’area tecnologica, per sviluppare congiuntamente l’agenda di integrazione e prendere decisioni in linea con i tre orizzonti. Le integrazioni di maggior successo si basano sempre su solide relazioni di lavoro tra i team che permettono e incoraggiano un dialogo costante. Principi condivisi, obiettivi comuni e modelli di collaborazione sono essenziali per un processo decisionale efficace e una corretta prioritizzazione degli obiettivi.
  2. Definire chiaramente i principi decisionali e le linee guida, adottando un approccio che stabilisca i criteri per valutare il raggiungimento degli obiettivi – di breve, medio e lungo termine – durante ogni fase dell’integrazione. E’ spesso più efficace concentrarsi pragmaticamente su ciò che è necessario raggiungere durante ciascun orizzonte, piuttosto che puntare alla perfezione.
  3. Integrare tecnologia e gestione dei dati nei meccanismi formali di governance, istituendo un team dedicato all’interno dell’ufficio di gestione dell’integrazione. Questo team sarà incaricato,in collaborazione con gli stakeholder aziendali, di identificare e coordinare tutte le aree su cui la tecnologia avrà un impatto, garantendo che la tecnologia utilizzata sia in grado di supportare con successo la visione aziendale. 
  4. Creare un modello operativo integrato con team multidisciplinari, composti da personale altamente qualificato dell’area business e dell’area tecnologica. I team seguiranno linee guida concordate per sviluppare e implementare un insieme integrato di processi aziendali, supportati dall’ambiente tecnico e tecnologico necessario. Un modello, quindi, che promuova una chiara distribuzione delle responsabilità all’interno dei team, con il personale dell’area business che definisce la direzione e il personale tecnico responsabile del raggiungimento degli obiettivi.
  5. Favorire un approccio data-oriented, incoraggiando e celebrando le scelte basate sull’analisi dei dati. Nel contesto emotivamente carico della post-fusione, il management può aggrapparsi alle strutture e ai processi ereditati dalle precedenti organizzazioni. È quindi essenziale assicurare che i fatti, non i pregiudizi personali o altri fattori emotivi, guidino le loro decisioni. Ad esempio, comprendere i punti di forza e le lacune esistenti nei processi, a prescindere dall’eredità aziendale, è fondamentale perché fornisce una solida base per le analisi e per prendere le decisioni su quali asset mantenere, migliorare o sostituire in futuro.

La tecnologia sta diventando sempre più integrata nelle operazioni aziendali, e questo la porta ad essere di per sé un fattore che apporta valore all’azienda. Questo è particolarmente accentuato nelle PMI, dove i problemi legati all’integrazione tecnologica possono diminuire il valore dell’azienda, aumentare i costi e portare a soluzioni di qualità inferiore, che possono persistere per anni. Mettendo la tecnologia al centro della PMI, le aziende possono evitare complessità e ritardi che ostacolano l’integrazione aziendale e la realizzazione degli obiettivi. Peraltro, molte delle azioni necessarie non sono né complesse né eccessivamente costose, ma richiedono un intervento tempestivo per evitare ripercussioni in futuro. In definitiva, adottare la giusta strategia, scegliere i giusti strumenti tecnologici, all’inizio di un processo di integrazione, è fondamentale per garantire il pieno raggiungimento degli obiettivi della fusione.

TIM Management da anni si occupa di supporto alle aziende, fornendo consulenza strategica e soluzioni manageriali esperte alle imprese che vogliano intraprendere un percorso di crescita, anche in contesti di fusione o post-fusione aziendale. La sua rete di professionisti esperti dotati di una visione a lungo termine e di competenze multi-settoriali, rappresenta la soluzione ideale per supportare l’azienda nel percorso di trasformazione e cambiamento. Contattaci per costruire insieme un futuro aziendale vincente e durevole.

 

Come sarà il lavoro nei prossimi 50 anni?

Nel corso dei prossimi anni, le tecnologie emergenti e le trasformazioni culturali, legate all’adozione dell’IA generativa e all’influenza crescente delle generazioni più giovani, continueranno a cambiare ed evolvere l’esperienza quotidiana dei lavoratori. Tuttavia, non è inevitabile che organizzazioni e comunità possano guidare e orientare l’impatto di queste sfide globali.

Come sarà il lavoro del futuro? Dalla risposta a questa domanda dipendono molte decisioni, del singolo ma anche delle organizzazioni e delle comunità. Secondo alcuni punti di vista le prospettive per i prossimi 50 anni possono suggerire un ottimismo prudente, ma ci sono diversi fattori da tenere in considerazione per effettuare scelte che siano realmente consapevoli. 

Boston Consulting Group ha coinvolto più di 150 esperti in diversi campi, che, attraverso discussioni e sondaggi di opinione, hanno provato a costruire una visione del lavoro da ora a cinquant’anni. Contrariamente alle paure diffuse, secondo cui il futuro offrirà meno opportunità di lavoro per le persone, la maggior parte degli esperti prevede che le opzioni di lavoro – a condizioni anche migliori e più gratificanti – saranno numerose. Individui, organizzazioni e comunità che saranno capaci di sviluppare nuove competenze si potranno adattare meglio ai cambiamenti, con stime di crescita del lavoro qualificato davvero notevoli. Ad esempio, i settori economici che stanno già oggi utilizzando strumenti di Generative AI, o le professioni che richiedono una creatività elevata, offriranno nuovi percorsi di carriera che impatteranno positivamente sulla sostenibilità aziendale e sulla soddisfazione personale.

Quattro confini per disegnare il Futuro

Nei prossimi anni, tecnologie emergenti e trasformazioni culturali continueranno a cambiare ed evolvere l’esperienza quotidiana dei lavoratori. Tuttavia, non è da escludere che queste sfide globali possano impattare negativamente su alcune organizzazioni e comunità.

I manager, gli imprenditori e i leader che vogliono costruire politiche occupazionali e strategie aziendali in grado di creare e mantenere posti di lavoro a lungo termine, devono tenere conto dell’evoluzione degli scenari e rispettare i confini disegnati dall’evoluzione del contesto. Rimanere entro questi “confini” sarà la via maestra per conservare un ambiente lavorativo sano e positivo per le comunità e per le aziende. Al contrario, non tenerne conto potrebbe portare a esiti dannosi. Ma quali sono questi confini:  

  • Confine Planetario. Riferito, ovviamente, alla sostenibilità ambientale. Un confine invalicabile se si vuole continuare a migliorare la situazione dell’umanità. L’economia attuale sta violando costantemente questo limite con alte emissioni di carbonio e processi di produzione insostenibili per l’ambiente, e la situazione, in presenza di forti tensioni sociali o economiche,  potrebbe anche peggiorare. 
  • Confine Tecnologico. Con l’AI che evolve a un ritmo frenetico, il confine sempre mutevole tra l’uso sicuro e quello pericoloso della tecnologia può essere difficile da definire. Se l’uomo perde il controllo dei suoi asset tecnologici, tra cui, ad esempio,  la robotica, l’ingegneria geotermica o la biotecnologia – o ne propone un utilizzo errato – c’è il serio rischio di andare verso uno scenario di crisi profonda e forse irreversibile. 
  • Confine Sociale. Il mondo del futuro deve fornire risorse e condizioni di vita adeguate – acqua, cibo, riparo e pace – a soddisfare i bisogni fondamentali dell’essere umano. Non ci sarà stabilità se non ci sarà anche una reale disponibilità diffusa delle risorse a livello mondiale. E senza stabilità, non ci potrà essere prosperità. 
  • Confine Socio-cognitivo. Verità, fiducia,creatività sono alcuni degli elementi essenziali che sostengono la nostra salute mentale collettiva. Le fake news, la disinformazione e tendenze verso l’estremismo e la contrapposizione spingono l’umanità al di là di questo limite, distruggendo la coesione sociale e ostacolando la collaborazione su larga scala.

Il futuro può svilupparsi verso modelli economici positivi che devono necessariamente muoversi entro questi confini, e i leader devono comprendere quali possano essere i modelli di sviluppo più adatti a rientrare in questi limiti. Ad esempio, le economie possono tendere verso modelli circolari e rispettosi dell’ambiente e la transizione energetica deve essere considerata un processo di miglioramento continuo, perché permette di bilanciare la sostenibilità con le performance aziendali (un’azienda che non dipende più da sistemi antiquati è per definizione più affidabile e profittevole). 

Le aziende possono ridurre i rischi associati all’adozione diffusa della tecnologia scegliendo modelli di produzione e distribuzione più orientati alle filiere locali e, in qualche caso, all’autoproduzione. Una risposta sorprendente ai disagi delle catene di approvvigionamento di oggi e all’alto livello di emissioni di CO2, ad esempio, potrebbe essere un modello di produzione fai-da-te. Nel quale un’azienda vende disegni digitali per la stampa 3D e l’assemblaggio fai-da-te di prodotti, lasciando agli utenti finali la costruzione del prodotto stesso, invece di fornire macchine, apparecchiature, abbigliamento e in generale prodotti finiti. Risultato: un impatto ambientale ridotto e catene di approvvigionamento più flessibili e adattabili ai cambiamenti.

L’innovazione è un elemento fondamentale per garantire la disponibilità adeguata di beni primari come cibo e acqua. Ad esempio, per garantire una maggiore sicurezza alimentare alla popolazione mondiale sarebbe necessario eliminare le perdite evitabili che, secondo l’ONU, ammontano al 30% di tutti gli alimenti prodotti. Progetti come ZeroW, un’iniziativa dedicata al raggiungimento della sostenibilità senza sprechi, incoraggiano le imprese ad adottare concetti come le serre senza sprechi e l’imballaggio intelligente per produrre cibo in modo redditizio, consentendo a più larghe fette della popolazione di avere piena disponibilità dei beni necessari.

I Settori più promettenti nell’economia del futuro

Nuovi modelli economici, basati su queste opportunità, potrebbero far emergere una serie di aree e settori con un significativo potenziale di creazione di posti di lavoro. Diversi settori mostrano già alcuni segnali degni di nota in questa direzione.

 

  • Assistenza alle persone. Il rapporto tra le persone diventerà centrale in un’economia che mira al benessere collettivo. Alle forme tradizionali di assistenza alle persone anziane, ai bambini e ai gruppi sociali svantaggiati, si affiancheranno nuove forme di assistenza, come quelle legate alla salute mentale. Dalla ricerca di BCG emerge che il settore dell’assistenza è quello con il più alto potenziale di creazione di posti di lavoro.
  • Industrie e Infrastrutture che si occupano di rigenerazione. Ovvero l’impiego di materiali naturali e processi circolari nella costruzione e nella produzione, come le infrastrutture urbane che utilizzano soluzioni basate su materiali naturali o di riutilizzo nella costruzione delle opere. Includiamo in quest’area anche le energie rinnovabili. 
  • Sicurezza Olistica. Un approccio olistico alla sicurezza affronta i rischi in modo sistematico e preventivo. Ad esempio, una strategia di sicurezza olistica per una società globale, sottoposta ai rischi legati a una supply chain complessa, include la sicurezza informatica (specialmente legata allo IOT), la sicurezza individuale (proteggendo i lavoratori dalla disinformazione sugli eventi politici) e la sicurezza climatica. Poiché la gamma di minacce alla sicurezza cambia costantemente, la sicurezza olistica diventerà uno dei settori chiave di creazione di posti di lavoro, offrendo molte opportunità a lavoratori che svilupperanno le competenze necessarie per gestire in nuovi fattori di rischio
  • Agricoltura, Pesca e Silvicoltura Rigenerative. Questi settori utilizzano nuove modalità di produzione del cibo e di materiali di origine naturale. I posti di lavoro saranno abbondanti nell’agricoltura biologica rurale e urbana, ad esempio nelle vertical farm costruite all’interno del contesto urbano grazie alla riqualificazione di spazi di diversa natura. 
  • Gestione delle informazioni locali. Le organizzazioni formeranno team e collaboreranno per fornire letture del contesto sempre più precise. Questo verrà fatto condividendo obiettivi e pratiche, partecipando agli ecosistemi di apprendimento locali e impegnandosi nell’apprendimento permanente. Ad esempio, reti di comunità agricole rigenerative come Herenboeren nei Paesi Bassi e l’iniziativa Regenerate Cascadia negli Stati Uniti e in Canada hanno creato centri comunitari per coordinare le attività commerciali e scambiare informazioni sulle migliori pratiche. La creazione di conoscenza localizzata richiederà l’introduzione di nuovi ruoli per integrare i tradizionali canali di condivisione della conoscenza.
  • Prosumerismo. Dalla crasi tra “producer” e “consumer”: produzione e consumo saranno sempre più collegati, in molte comunità nasceranno economie in cui i consumatori produrranno beni che poi utilizzeranno direttamente o venderanno all’interno della comunità. I sistemi su piccola scala, gestiti e supervisionati da chi appartiene a quella comunità finiranno per toccare i settori più disparati: dall’elettronica, alle apparecchiature mediche, dai mobili, all’abbigliamento e prodotti per la mobilità sostenibile. I lavoratori esperti in tecnologie come l’AI e la stampa 3D troveranno molte opportunità per contribuire a questo processo.
  • Intrattenimento e Arte partecipativa. Gaming, intrattenimento e arte saranno sempre più importanti per le comunità future. Il tempo che le persone trascorreranno insieme, condividendo nuove esperienze, avrà un impatto positivo per la nascita di n

Per sfruttare al massimo le nuove opportunità emergenti in questi settore e, in generale, nelle aree che subiranno le trasformazioni più rilevanti, come i trasporti, l’energia e l’assistenza sanitaria, le aziende devono coltivare competenze e mentalità orientate al futuro e non farsi trovare impreparate di fronte al cambiamento. 

Il set di Competenze per il futuro

Nei prossimi anni i manager saranno chiamati a migliorare alcune delle competenze che già possiedono, e parallelamente a svilupparne altre completamente nuove. La gamma di competenze rilevanti è ampia, ma ce ne sono alcune di particolare importanza:

  • Capacità Esistenziali, Mentalità, Abitudini. Affrontare dei cambiamenti così rilevanti, in ambito professionale richiede consapevolezza, auto-regolazione fisica ed emotiva, adattabilità e una buona dose di ottimismo. 
  • Competenze “Bioniche”. Le persone sentiranno sempre di più il bisogno di migliorare la loro “alfabetizzazione” tecnologica, prendendo decisioni basate sui dati, facendo scelte creative potenziate dall’AI, e, in generale, adotteranno modelli e strumenti di collaborazione più stretta e naturale tra uomo e macchina. 
  • Creatività. Anche se l’AI rappresenta una sfida per alcuni lavori creativi, la creatività dell’essere umano resterà insostituibile. Non smettere di coltivare l’immaginazione, non trascurare la capacità di risolvere problemi in modo non convenzionale, non nascondere il talento, saranno gli imperativi per migliorare le competenze da applicare nelle varie forme artistiche e di intrattenimento. 
  • Competenze umane-umane, orientate al Team e alla Comunità. Il successo di un individuo dipende non solo dall’interazione efficace persona-persona, ma anche dalla capacità di partecipare produttivamente a team, comunità e organizzazioni. Le organizzazioni dovranno imparare a sfruttare l’intelligenza e la saggezza dei loro membri per la risoluzione collettiva dei problemi. La comunicazione, l’intelligenza emotiva, la capacità di empatizzare, la capacità di lavorare con altri portano prospettive culturali e culturali diverse sul luogo di lavoro e la competenza nella facilitazione e nella co-creazione: sono tutti elementi essenziali perché un’azienda possa funzionare e adattarsi ai cambiamenti.

Il futuro del lavoro 

Le politiche pubbliche e le iniziative aziendali sono potenti strumenti per guidare la forza lavoro verso il giusto insieme di competenze e opportunità. E’ importante, per individui, imprese e enti pubblici abbracciare una visione a lungo termine e accogliere le trasformazioni tecnologiche e sociali come un naturale ponte verso un futuro di successo e prosperità, rendendole parte di un unico grande percorso di sviluppo delle competenze e di transizione verso modelli economici più sostenibili e inclusivi. 

Adottare un atteggiamento proattivo verso il futuro è il passo iniziale per prepararsi a uno scenario ricco di opportunità economiche, che produrrà nuove aree occupazionali e in maggior benessere diffuso. 

TIM Management può offrire consulenza strategica e soluzioni manageriali esperte alle imprese. La sua rete di professionisti esperti dotati di una visione a lungo termine e di competenze multi-settoriali, rappresenta la soluzione ideale per supportare l’azienda nel percorso di trasformazione e cambiamento. Contattaci per costruire insieme un futuro aziendale vincente e durevole.