Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

L’IPO (Initial Public Offering), una grande sfida per la media azienda

Dopo i fuochi d’artificio del 2019 con 35 ingressi al listino di Borsa Italiana, secondo miglior risultato dopo il record del 2000, e un rialzo di quasi il 29%, che ha portato la capitalizzazione a 651 miliardi di euro,il 37% del Pil, il 2020 ha dovuto subire una brusca frenata, con sole 15 IPO portate a termine alla fine di novembre. 

La frenata è legata alla crisi del Covid-19 e tutto fa pensare che, una volta superata la crisi, la corsa al mercato delle aziende italiane possa riprendere con pieno vigore. E sono proprio le medie aziende, con fatturato tra i 50 e i 200 milioni di euro, che possono trarre i vantaggi maggiori da un’apertura al mercato.

 

Aprirsi al mercato dei capitali può rappresentare una tappa fondamentale  percorso di crescita della media azienda: dopo aver raggiunto una buona solidità sul mercato di riferimento una IPO di successo permette di affrontare nuove sfide, concretizzando potenzialità di sviluppo non ancora espresse per mancanza di risorse. 

L’IPO non è solo lo strumento per acquisire fonti di finanziamento, ma anche un momento di upgrade per l’impresa e per l’imprenditore che ha deciso di evolvere la sua azienda, facendola diventare una “Public Company”, aperta al  mercato dei capitali e pronta a una crescita culturale e organizzativa.

I vantaggi della quotazione sono molteplici: la raccolta di risorse finanziarie permette di espandere rapidamente l’azienda e attivare nuovi progetti di ricerca e sviluppo, di rafforzare la posizione nel mercato di riferimento e accedere a nuovi mercati, in particolare quelli internazionali. Ma non solo, la quotazione attira nuovi clienti e business partner, rafforzando l’immagine, la credibilità e lo status dell’azienda, in Italia e all’estero. 

In sintesi un salto qualitativo e quantitativo nella disponibilità di risorse per la crescita, ma anche una migliore visibilità e un accesso più ampio alle opportunità offerte dai mercati globali.

Senza peraltro dimenticare che l’accesso al mercato offre agli azionisti la possibilità di ottenere una valutazione oggettiva del valore dell’azienda sul mercato e la possibilità di realizzare una parte del valore creato negli anni; oltre a dare loro la possibilità di ampliare la compagine azionaria, agevolando il passaggio generazionale e la managerializzazione dell’azienda.

Grandi opportunità, grandi sfide

 

Tutto fantastico, però…la complessità di un progetto come quello di quotazione nonché la sua rilevanza sia in termini di immagine, sia in termini di conseguenze sul futuro dell’azienda, sia infine in termini di raggiungimento degli obiettivi finanziari sottostanti alla quotazione stessa, pongono l’imprenditore di fronte alla necessità di affidarsi a interlocutori esperti e competenti; interlocutori che, spesso non sono presenti all’interno dell’organizzazione aziendale o dei suoi partner di riferimento. 

Prima di affrontare un progetto di quotazione è infatti fondamentale per l’imprenditore dotarsi delle competenze adeguate per supportare le principali attività necessarie per la preparazione e l’implementazione del progetto di IPO quali:

identificare la reale situazione aziendale;

“misurare” la distanza tra le aspettative del mercato e lo stato industriale, organizzativo, finanziario e di governance dell’azienda;

identificare il percorso di crescita e di valorizzazione post IPO

identificare le strategie e le risorse necessarie per garantire la fattibilità di tale percorso;

ponderare i costi  e le opportunità sottostanti a tale scelta;

identificare i principali partner del progetto.

 

Qualora le competenze necessarie per tali attività non siano presenti all’interno dell’organizzazione aziendale, la soluzione più sicura è affidarsi a un professionista esperto, un IPO Advisor che possa affiancare l’imprenditore e la struttura aziendale garantendo, oltre al corretto svolgimento delle attività propedeutiche alla quotazione, il rispetto delle aspettative e il governo dei vari soggetti coinvolti. 

Un problema semmai è la non  facile reperibilità di una figura che sappia dimostrabilmente coniugare esperienza nelle operazioni di IPO, conoscenza delle regole di quotazione ed una adeguata  esperienza aziendale accompagnata da una certa seniority e da una riconosciuta indipendenza

La presenza di un Advisor d’esperienza, con le caratteristiche sopra descritte, al fianco dell’imprenditore e dei suoi partner, ai quali non si sostituisce ma si integra con competenze specifiche, è opportuna  anche per svolgere un ulteriore duplice, fondamentale ruolo: 

  1. a) rappresentare all’interno del sistema aziendale un unico punto di accesso e riferimento per i soggetti esterni coinvolti nella quotazione, diventando così il responsabile primo della “delivery” di quanto necessario ad un efficace ed efficiente svolgimento del loro incarico; 
  2. b) gestire le attività connesse con il raggiungimento dello status di società quotata, senza alterare gli equilibri organizzativi aziendali ma, al contrario, aiutando lo sviluppo e la crescita delle risorse interne.

 

Scendendo nel concreto, analizziamo quali sono le  aree di intervento dell’Advisor, a supporto dell’imprenditore:

  • In primo luogo, valutare e verificare con l’imprenditore l’effettiva validità / opportunità della possibile quotazione; potrebbe infatti emergere dal percorso di verifica che la quotazione non rappresenti la scelta migliore in un determinato momento e / o che il percorso per raggiungerla si riveli più lungo e costoso di quanto inizialmente immaginato. In tal caso, uno studio delle possibili concrete alternative costituisce un innegabile valore ( e un significativo risparmio di costi) per l’azienda e l’imprenditore;
  • affiancarlo nella preliminare e riservata relazione con la struttura di Borsa Italiana, deputata alla verifica dei requisiti di quotabilità;
  • aiutarlo nella scelta del mercato e del segmento più adatto alle caratteristiche ed alle aspettative dell’azienda nonché alle motivazioni della quotazione;
  • supportare la scelta del Legal e del Financial Advisor, di un eventuale Industrial Advisor, di un Global Coordinator e Book Runners, dell’Investor Relator, della Società di revisione e degli altri soggetti potenzialmente coinvolti nell’operazione;
  • aiutarlo nell’implementazione di quanto necessario in termini di governance, di controllo di gestione, di comunicazione, gestendo in modo ponderato ogni altra richiesta avanzata  dalle autorità di governo del mercato.

 

Il tutto, fornendo all’azienda, anche con l’eventuale supporto di una struttura a progetto, le competenze specifiche per la realizzazione e / o la messa a punto dei principali processi e sistemi aziendali.

 

Per dare un’idea del numero e del ruolo dei soggetti coinvolti nel processo di IPO, e quindi della necessità di una specifica expertise e disponibilità di tempo per la loro gestione e per il loro coordinamento, di seguito riportiamo più in dettaglio chi sono, oltre alle strutture aziendali, i principali player del processo di quotazione:

Financial Advisor: è il soggetto indipendente, esperto del mercato dei capitali, che affianca la PMI nel progetto di quotazione. E’ il Financial Advisor che valuta la fattibilità dell’IPO ed esprime la valutazione di base della società. E’ il soggetto chiave di tutto il processo, va gestito e supportato in maniera molto attenta, pena il fallimento dell’intero progetto;

NomAd: operatore finanziario autorizzato da Borsa Italiana. Ha il compito di valutare l’adeguatezza della società per l’ammissione al listino e garantire il rispetto dei requisiti formali e l’esecuzione degli adempimenti e delle procedure necessarie; certifica inoltre la valutazione della società, esegue la Due Diligence, verifica il Piano Industriale, elabora l’Information Memorandum e il Documento di Ammissione; infine gestisce il processo di quotazione e la relativa tempistica. Il NomAd può svolgere anche il ruolo di Global Coordinator e Specialist;

Global Coordinator: è l’intermediario che si occupa della fase di collocamento degli strumenti finanziari sul mercato azionario, del book-building e della definizione del prezzo di offerta. Insieme al Financial Advisor e alla società seleziona i potenziali investitori;

Fiscal Advisor: si occupa della parte fiscale della Due Diligence attraverso l’analisi della situazione contabile dell’azienda, accerta la conformità del Bilancio e la regolarità dei libri contabili;

Legal Advisor: svolge attività di due diligence legale. Si occupa dell’implementazione delle procedure interne e della Governance. Fornisce consulenza legale per l’operazione di quotazione;

Società di revisione: verifica la correttezza del Bilancio e delle scritture contabili, realizzando un’attività di auditing e di certificazione delle informazione finanziare storiche;

Investor Relator: ha il compito di promuovere l’azienda come opportunità di investimento nei confronti degli investitori e, una volta completato il progetto di quotazione, di garantire al mercato un’informazione corretta, completa e tempestiva.  

 

Un piccolo esercito di soggetti che, per arrivare ad una IPO di successo, vanno coordinati e diretti, compito che per l’imprenditore e i manager aziendali potrebbe rivelarsi molto complesso e non compatibile con la gestione corrente del business.

Per questi motivi, la scelta di affiancare alla struttura aziendale un Advisor esperto di azienda e di IPO si rivela sempre vincente e porta a un accesso al mercato più efficace e veloce, contribuendo anche a dotare l’azienda di un’organizzazione più solida ed efficiente per affrontare il progetto  di crescita, sottostante al progetto di quotazione.

 

Infine, un’ultima osservazione relativa al “fattore tempo”: la scelta del momento della quotazione è un elemento fondamentale nella pianificazione di una IPO. La possibilità di cogliere il momento più favorevole (la cosiddetta “window opportunity”) si traduce infatti in una migliore valorizzazione dell’azienda e in maggiori possibilità di successo. Per questo, una volta valutata la possibilità di una quotazione, prepararsi in anticipo rappresenta un vantaggio competitivo di grande importanza, sia nella scelta dei supporti professionali, che per essere pronti a cogliere tempestivamente le opportunità offerte dal mercato. 

Da questo punto di vista, va osservato che, date le caratteristiche strutturali tipiche delle medie aziende italiane, il tempo di preparazione dell’IPO di una media PMI italiana può variare dai dodici ai diciotto mesi; la decisione di valutare per tempo l’attivazione di un’attività di IPO Advisory è quindi condizione essenziale per poter essere pronti nel momento in cui il mercato o le condizioni dell’azienda saranno tali da suggerire la realizzazione di un  progetto di quotazione o di apertura a terzi del capitale.

Al contrario, partire in ritardo o solo dopo aver sperimentato la complessità del processo, metterebbe fortemente a rischio il suo risultato.

 

Anche qualora, nel corso del progetto la società decidesse di rinunciare alla quotazione, l’investimento fatto nella preparazione alla IPO e nel supporto professionale di un IPO Advisor non sarebbe inutile; si tradurrebbe infatti in una sostanziale “messa a punto” della macchina organizzativa aziendale volta a migliorarne l’efficienza e quindi, in ultima analisi, aumentando il valore per gli stakeholders.

 

Paolo Ciccarelli, fino al 2008 è stato CFO del Gruppo Borsa Italiana e Director of Finance del London

Stock Exchange. Dal 2008 al 2010 è stato CFO di Barclays Italy e dal 2011 svolge attività di

consulenza manageriale e di management in attività di Turnaround e di gestione

della discontinuità aziendale. Ha ricoperto la carica di CEO in alcune PMI italiane, attualmente è Presidente di PFE SpA ( Facilty management) e Consigliere indipendente di Almaviva SpA e di alcune controllate.

E’ Partner di Tim Management e responsabile della Practice di IPO & Capital Advisory.

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nella preparazione dell’IPO con una consulenza di alto profilo, che ha maturato una profonda ed unica esperienza specifica in materia; con un processo analogo TIM aiuta l’azienda a preparare al meglio l’ingresso di nuovi partner finanziari. 

Contattaci per un approfondimento

Scopri quanto la tua azienda è in salute con il test di TIM Management

TIM Management affianca gli imprenditori italiani da più di trent’anni, supportando la crescita aziendale e aiutando l’organizzazione a gestire il cambiamento. Lo fa grazie a un nucleo di Senior Partner esperti e a un potente network di oltre 2.500 Manager, la gran parte dei quali con solida esperienza apicale all’interno delle organizzazioni aziendali più prestigiose.

Nell’affrontare con successo la gestione delle situazioni più complesse e dei momenti di crisi, come anche nel cogliere al meglio le opportunità di crescita e sviluppo, abbiamo imparato che una tra cose più importanti per la buona riuscita di un progetto è il saper valutare con accuratezza lo stato di salute dell’azienda e individuare rapidamente quali sono le aree e le funzioni su cui intervenire con la massima priorità.

Abbiamo messo a frutto il nostro grande bagaglio di esperienze e competenze per sviluppare, insieme ad alcuni dei nostri manager più brillanti, un questionario di autovalutazione dello stato di salute dell’azienda, possiamo definirlo un rapido check-up aziendale, che mettiamo liberamente a disposizione degli imprenditori e dei manager.

Come per le persone, anche per le aziende è fondamentale sottoporsi a un “check up” periodico. Con il check-up di TIM potete verificare e valutare la vostra azienda, i suoi processi interni, la sua competitività e la qualità delle funzioni base, ottenendo un quadro preciso e dettagliato del suo stato di salute e una valutazione oggettiva dei suoi punti di forza e delle aree di miglioramento

Questo è ancora più importante in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando; l’imprenditore per sua natura non si limita ad assistere al corso degli eventi ma vuole intervenire in modo attivo, anticipando le opportunità e cogliendo l’occasione di risolvere problemi che erano già latenti, anche se meno evidenti, nei momenti pre-crisi.

Conoscere e programmare sono parti fondamentali di una buona gestione aziendale, e spesso sono sottovalutate; in un mondo dinamico e competitivo – come quello in cui si opera oggi – effettuare delle “previsioni” diventa sempre più complicato, ma al tempo stesso imprescindibile. Lo stesso vale per la “conoscenza”, punto di partenza per qualsiasi programmazione; sapere e conoscere lo stato di salute della propria azienda è la base per poter strutturare una strategia vincente e affrontare con successo le discontinuità. 

Il check-up aziendale di TIM si sviluppa su undici macro-aree di interesse, attraverso un questionario di rilevazione e analisi che incrocia le criticità con le azioni intraprese, per fornire una sintesi accurata del profilo aziendale e proporre delle possibili soluzioni alle eventuali aree di criticità riscontrate.

Le 11 aree di analisi dello stato di salute aziendale sono le seguenti:

 

  • Strategia e pianificazione
  • Sostenibilità e Responsabilità Sociale
  • Finanza e Controllo di Gestione
  • Sistemi Informatici
  • Organizzazione
  • Risorse Umane
  • Logistica e Produzione
  • Gestione Scorte
  • Controllo qualità
  • Vendite
  • Servizio al cliente

 

Dall’analisi delle risposte nelle undici aree verrà ricavata, attraverso un algoritmo di valutazione delle risposte, una mappa delle criticità riscontrate e di quanto l’azienda sta operando proattivamente per fare fronte ai problemi.

 

Vediamo in dettaglio cosa significa essere posizionati nei quadranti:

Azienda PASSIVA: un’azienda che non percepisce appieno le sue aree di criticità; l’imprenditore e il management ritengono che i problemi che l’azienda affronta siano fisiologici quanto inevitabili, non viene svolto un lavoro di valutazione delle performance e non si analizzano sistematicamente i dati disponibili. E’ una situazione che spesso si riscontra in imprese artigiane padronali, di dimensioni medio / piccole e con attività di indotto a basso / medio valore aggiunto.  Il mercato, tipicamente circoscritto in un ambito locale o in una filiera tradizionale, viene subito piuttosto che gestito. La redditività non è a livello dei leader di mercato, ma non si percepiscono chiaramente le problematiche in quanto si tende ad adottare strategie di tipo difensivo che ignorano tutto quello che esula da attività strettamente legate alla produzione. L’innovazione di conseguenza è molto bassa e tipicamente incrementale; i collaboratori sono di livello medio basso e sono assenti alcune figure e funzioni manageriali chiave. Non si utilizzano consulenti o advisor, se non forzatamente o per esigenze particolari.

Azienda STATICA: un’azienda che sa di affrontare criticità ma che ha difficoltà ad individuare le motivazioni dei problemi, per cui fatica a trovare le giuste strategie per superarli. In questa categoria rientrano imprese di dimensioni medio / piccole, con una posizione relativamente debole sul mercato e alla costante rincorsa di una concorrenza che, il più delle volte, è percepita come insuperabile a causa di errate metodologie di controllo dei costi e di definizione dei prezzi. Sono in genere di proprietà di un imprenditore o di una famiglia; mantengono una performance debole e una redditività spesso non soddisfacente. La maggior parte delle funzioni sono accentrate dall’imprenditore che tende a filtrare e personalizzare metodologie apprese di riflesso o a mantenere sistemi consolidati che in passato hanno garantito prosperità. I collaboratori chiave sono di livello medio e sono presenti poche figure o ruoli manageriali. Si utilizzano raramente consulenti o advisor, anche se le problematiche sarebbero meglio affrontate col supporto di esperti con competenze che non sono presenti nell’organizzazione.

Azienda ATTIVA: un’azienda che è pienamente consapevole delle proprie problematiche e fattivamente impegnata ad affrontarle. Rientrano in questo profilo  aziende più strutturate e di dimensione medio / grande; la proprietà è frequentemente non familiare e spesso appartengono a gruppi, alcune di queste sono interessate ad accedere al mercato dei capitali ma poche lo fanno. Sono in grado di intraprendere attività innovative, spesso producono beni intermedi per cui raramente si avvalgono di outsourcing. Trattasi di imprese generalmente esportatrici, con buon posizionamento sul mercato e in grado di competere anche con imprese di maggiori dimensioni. Se esiste, l’imprenditore possiede competenze tecniche e gestionali, è in grado di interagire con i responsabili di funzione / area. L’azienda managerializzata si distingue da quella guidata dall’imprenditore per la presenza più capillare di ruoli e deleghe di carattere manageriale. L’utilizzo di consulenti e advisor è tipicamente a progetto, in particolare per affrontare situazioni di crescita e cambiamento.

Azienda EVOLUTA: un’azienda che, pur non riscontrando criticità particolari, adotta strategie e politiche evolutive e costruttive. Rientrano in questa categoria imprese ben strutturate,  orientate all’esportazione,  molto attente alla ricerca  e all’innovazione,  in grado di depositare brevetti e in possesso di brand conosciuti. Ricorrono frequentemente all’outsourcing con standard qualitativi elevati e KPI definiti e producono beni finiti. Sono tra i leader nei loro mercati di riferimento e sono anche in grado di confrontarsi e competere con realtà internazionali.  Molte di queste sono aziende quotate o partecipate da fondi; se l’azienda è padronale, l’imprenditore possiede un livello culturale elevato e una solida formazione economica / aziendale; è un profilo orientato alla delega, che assume la responsabilità delle strategie e a volte dell’area finanziaria. La struttura manageriale è di alto livello e la gestione delle risorse umane è svolta con competenza. Conseguono performance di rilievo, anche avvalendosi di consulenti e advisor di alto livello, che sistematicamente affiancano la struttura organizzativa interna.

Il Check-up aziendale di TIM è libero e gratuito, vi invitiamo a prendervi una mezz’ora e rispondere online alle domande dell’assessment. In pochi giorni riceverete il report completo con l’analisi dei punti di forza della vostra azienda e delle aree d’intervento prioritarie; l’analisi e il commento vengono redatti da uno dei nostri Senior Partner che è anche a vostra disposizione per una call di confronto e approfondimento.

Molte aziende che hanno già sperimentato il check-up di TIM ci confermano che da questo semplice esercizio emergono dati sorprendenti e suggerimenti utili a migliorare le performance nelle aree prese in esame.

Clicca nel bottone per iniziare il questionario e conoscere lo stato di salute della tua azienda e conoscere le aree di efficientamento più prioritarie.

 

 

Chi sono i C- level in azienda e come sta cambiando il loro ruolo

I C-level ricoprono i ruoli chiave nell’organizzazione aziendale

 

Il significato letterale della parola è Chief Level e i loro job title cominciano sempre con la lettera C (Chief Information Officer, Chief Financial Officer etc…); in sostanza i C-Level sono top manager, con esperienza senior, che hanno raggiunto il massimo livello esecutivo, diventando responsabili di una determinata area funzionale in azienda. 

I C-Level rappresentano il livello più elevato di responsabilità manageriale e, nel loro insieme, sono definiti con il termine C-Suite

All’interno dell’organizzazione aziendale, i manager C-Level ricoprono un ruolo di enorme responsabilità e impatto; infatti, pur non avendo funzioni operative, sono direttamente responsabili del lavoro svolto e dei risultati ottenuti dai propri colleghi e collaboratori. La loro funzione e i loro risultati non sono quindi legati unicamente alla loro performance ma anche e soprattutto a quella di tutti componenti della divisione di cui sono a capo.

Il ruolo dei manager C-Level è principalmente quello di coordinare e mettere in relazione i vari ruoli aziendali. Si tratta di un ruolo gestionale piuttosto che operativo, il cui contenuto fondamentale è  ricevere e trasmettere informazioni ai collaboratori e ai colleghi, favorendo allo stesso tempo uno scambio continuo e produttivo di informazioni fra di loro. 

Per un Manager della C-suite rispondere di un risultato non significa rispondere di ciò che si è fatto in prima persona, ma di ciò che si è stati capaci di far fare alle persone che compongono il suo team.

L’obiettivo dei C-Level è raggiungere standard elevati  di performance e risultati, elaborando e implementando una strategia funzionale agli obiettivi aziendali, presenti e futuri.

 

Vediamo nel dettaglio alcuni ruoli e responsabilità di questi manager chiave all’interno di un’azienda.

Chief Executive Officer o Amministratore Delegato (CEO)

Il CEO è il dirigente aziendale di più alto livello e ha responsabilità diretta dei risultati di business, dell’organizzazione aziendale e della sua governance. Coadiuva il Presidente del Consiglio di  Amministrazione (CDA) nella conduzione delle attività del CDA, conformemente al perseguimento del “purpose”, della “mission” e degli obiettivi aziendali e implementa le decisioni del CDA dotandosi di adeguate competenze e struttura organizzativa.

Non sempre il CEO deve avere un background professionale specifico di settore, è invece fondamentale per lui aver maturato forti capacità di leadership e decisionali, caratteristiche che si sviluppano nel corso di una lunga carriera, solitamente sviluppata in aziende e funzioni differenti. La sua propensione all’”ascolto degli stakeholder” e alla creazione di nuovi modelli di business coerenti con i trend evolutivi sono elementi distintivi per garantire il “successo sostenibile”.

Chief Financial Officer (CFO)

Provenienti da un background analitico nel settore finanziario-contabile, i CFO lavorano a stretto contatto con i CEO per identificare nuove opportunità di business, valutando, insieme alla funzione di risk management, di volta in volta i rischi, i benefici e le opportunità di ogni scelta.

Tra le loro principali funzioni e competenze troviamo:

  • Gestione del portafoglio e dei sistemi di informazione per la gestione aziendale e 
  • Contabilità e redazione del bilancio annuale e semestrale
  • Gestione della tesoreria, della cassa e dei finanziamenti, rapporti con terzi: Banche e Revisori dei conti
  • Gestione del piano degli investimenti e disinvestimenti, preparazione degli studi di investimenti industriali e finanziari
  • Gestione delle operazioni sul capitale proprio (acquisizioni, fusioni, cessioni) 
  • Analisi finanziaria, pianificazione e reporting

Oltre alle tradizionali funzioni e competenze, il CFO si occupa di integrare le informazioni finanziarie con quelle non finanziarie, curare la DNF (se i requisiti dell’azienda lo richiedono) e mettere a punto processi e strumenti per l’adeguata raccolta delle informazioni. 

Molti CFO, nel supportare la pianificazione e la costruzione dei budget nel lungo periodo, si stanno muovendo anche verso la costruzione di Report integrati con l’obiettivo di dimostrare a tutti gli stakeholder, come un’organizzazione è in grado di creare valore nel tempo. Questa attività comporta per il CFO un lavoro di integrazione e dialogo con tutte le funzioni coinvolte nel processo informativo che lo rende un “pivot” della collaborazione attiva fra le varie funzioni.

Un report integrato offre numerosi vantaggi perché, nel dare informazioni dettagliate sulle risorse utilizzate e sulle relazioni influenti, permette di far comprendere le modalità con cui un’organizzazione interagisce con l’ambiente esterno e quali sono gli stock di valore che vengono incrementati, ridotti o trasformati dall’attività e dagli output dell’organizzazione, i cosiddetti capitali: finanziario, produttivo, intellettuale, umano, sociale, relazionale e naturale.

Chief Procurement Officer (CPO)

È il responsabile della gestione, dell’amministrazione e della supervisione degli acquisti dell’azienda. Può essere responsabile dei servizi di appalto e può gestire l’acquisto di forniture, attrezzature e materiali. Di norma è sua responsabilità scegliere e acquisire beni e servizi e negoziare prezzi e contratti.

Molto spesso il CPO ha il compito di localizzare le fonti per forniture e servizi e di mantenere relazioni con fornitori e venditori. È sua responsabilità trattare con i fornitori per ottenere i migliori prezzi e le migliori offerte, sfruttando il potere di acquisto e le economie di scala.

Il CPO si coordina con il reparto contabilità per garantire che i venditori siano pagati nei tempi previsti. Inoltre, di solito mantiene aggiornati i livelli di inventario e prevede le esigenze future dell’azienda.

Che si tratti di una piccola azienda o di una grande, il CPO esercita una leadership globale sul team dedicato agli acquisti e garantisce che le politiche e le procedure di approvvigionamento vengano seguite.

Sono manager esperti, molto spesso con uno sviluppo di carriera verticale, che conoscono a fondo il mercato e i fornitori del settore di competenza e lavorano in stretto contatto con il CEO e il CFO per garantire che l’allocazione delle risorse e le necessità della produzione e delle varie funzioni aziendali siano sempre soddisfatte controllando costi e consegne.

Chief Restructuring Officer (CRO)

Sono i cosiddetti ‘gestori delle crisi o delle discontinuità’, per cui si tratta per definizione di C-Level che temporaneamente occupano questo ruolo in un momento di forzata discontinuità, tipicamente il CFO dell’azienda, oppure di Temporary Manager esperti,  inseriti nell’organigramma aziendale per il periodo necessario. 

Si tratta di manager che hanno maturato rilevanti, e ancor meglio numerose, esperienze di gestione delle aziende e che hanno direttamente gestito i loro processi di ristrutturazione. Nel loro percorso professionale i CRO hanno già vissuto, in contesti e tempi differenti, il percorso di manifestazione, evoluzione e soluzione delle crisi. Devono possedere sicuramente, ma non unicamente, forti competenze finanziarie. Oltre a queste, dovranno necessariamente possedere la capacità di gestione operativa delle aziende, supportando l’imprenditore o il CEO, capacità di relazione e leadership verso i soggetti interni ed esterni all’azienda, come banche e partner commerciali, e anche competenze specifiche in ambito di diritto fallimentare e di gestione delle pratiche concorsuali.

Chief Information Officer (CIO) / Chief Technology Officer (CTO)

È il leader nella tecnologia dell’informazione e tipicamente sviluppa, nel corso della sua carriera, competenze tecniche in discipline quali programmazione, codifica, gestione dei progetti e mappatura dei processi. I CIO sono generalmente esperti nell’applicazione di queste capacità funzionali alla gestione del rischio, alla strategia aziendale e alle attività finanziarie. I CIO sono anche le persone in grado di dare risposte concrete al processo di evoluzione verso la sostenibilità che dipende fondamentalmente da quando l’azienda sarà pronta a gestire i cambiamenti esterni che attengono in modo imprescindibile alla capacità di innovazione e integrazione delle nuove tecnologie.

Chief Marketing Officer (CMO) / Chief Relation Officer (CRO)

E’ il leader della comunicazione e dell’innovazione e tipicamente coordina le funzioni coinvolte nello sviluppo dei nuovi prodotti /servizi. In assenza di una funzione specifica di Corporate Relation, si occupa del rapporto con i media e gli stakeholders, interni ed esterni, e delle attività di PR. E’ responsabile dello sviluppo della pubblicità e della gestione del budget media, sia tradizionale che online. Si occupa anche della gestione dei social media e della reputatione aziendale, che sta diventando sempre più importante, anche per le aziende di produzione. Per migliorare la reputazione aziendale è necessario impattare positivamente l’idea che gli stakeholder si fanno dell’azienda, attraverso segnali, fatti e circostanze tangibili trasmesse all’esterno per conseguire stima, ammirazione, fiducia e rispetto, fondamentali per la valutazione dell’azienda in ottica di sostenibilità. 

La comunicazione di una impresa socialmente responsabile dovrebbe integrare una cultura orientata al dialogo con gli stakeholder, non solo per costruire una relazione di fiducia con essi ma anche per garantire il soddisfacimento dei reciproci bisogni.

A queste tradizionali figure di C-Level si sono recentemente aggiunte nuove figure dirigenziali che sono fondamentali per gestire la digitalizzazione dell’azienda e dei suoi processi, come ad esempio:

Chief Operating Officer (COO) 

Si occupa della gestione dei processi operativi e dell’implementazione e coordinamento dei progetti funzionali all’attuazione del piano strategico definito; è in pratica il garante dei risultati. Si tratta di un ruolo complesso che richiede una supervisione di tutte le funzioni aziendali operative. Svolge un ruolo chiave di sperimentatore di nuovi percorsi e processi ed è il pioniere dell’utilizzo di nuove tecnologie che rendano più efficiente e moderna l’impresa. Il COO è la figura chiave nel processo di transizione verso e la digital transformation e la sostenibilità. E’ sua la responsabilità di assegnare  alle diverse funzioni aziendali compiti in tema di analisi dei rischi, impatti, considerazione degli aspetti ESG, controlli e monitoraggio di primo livello, attività fondamentali per lo sviluppo di una cultura orientata alla sperimentazione, valutazione delle azioni, delle opportunità e dei rischi attraverso un monitoraggio continuo.

Coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo di solito lo fanno.

(Steve Jobs)

Chief Data Officer o Chief Digital Officer (CDO)

Si tratta di ruoli nuovi e molto importanti perché aiutano le aziende a interpretare e indirizzare il fenomeno della digitalizzazione. Attualmente, attorno al ruolo del CDO c’è ancora qualche confusione e il focus e responsabilità variano molto, a seconda del tipo di azienda e del suo modello di business. Le sue aree di competenza e responsabilità sono varie e di importanza crescente in un contesto sempre più orientato al digitale.  Si occupa di Customer Intelligence, di Sicurezza, Analisi e gestione dei dati , di Ridisegno e ottimizzazione dei processi nonché della loro gestione e misurazione. La collaborazione con il CIO e CTO è  fondamentale per l’evoluzione tecnologia dell’azienda e lo sviluppo della cultura del digitale sempre più importante nel dialogo con gli stakeholder e lo sviluppo di nuove modalità di erogazione dei prodotti e dei servizi.   

“L’innovazione è lo strumento specifico dell’imprenditoria. L’atto che favorisce il successo con una nuova capacità di creare benessere.”

PETER FERDINAND DRUCKER

Chief Knowledge Officer (CKO)

E’ responsabile della protezione e dell’utilizzo del capitale di conoscenza (knowledge)  presente in azienda. Il patrimonio di conoscenza aziendale comprende gli asset intangibili come quelli legati ai brevetti e ai marchi storici, insieme ai sistemi di CRM e alle best practices che rappresentano un concreto vantaggio competitivo verso la concorrenza. Il ruolo del CKO è fondamentale nei momenti di ristrutturazione aziendale, nei quali è richiesto un approccio aperto e competente all’innovazione e alla razionalizzazione. Deve possedere una buona cultura interdisciplinare e la capacità di facilitare lo scambio di informazioni e conoscenza tra le varie funzioni, valorizzando e proteggendo al tempo stesso gli asset più strategici per l’impresa. 

“Il rispetto nasce dalla conoscenza, e la conoscenza richiede impegno, investimento, sforzo.”

TIZIANO TERZANI

Chief Security Officer (CSO)

Si occupa della sicurezza degli asset informativi e delle tecnologie, assicurandosi che siano adeguatamente protette. L’importanza della sicurezza è aumentata esponenzialmente con il diffondersi del BYOD – Bring your own device, dello Smart Working  e, in generale, dalla diffusione sempre crescente delle soluzioni in mobilità e del cloud o il big data management associato allo storage dei dati e il potenziamento e la messa in sicurezza del data center, in sintesi la CyberSecurity. 

Il CSO è tipicamente una risorsa di profilo consulenziale e grande esperienza in area IT, in grado di definire le linee guida delle policy di sicurezza e controllare che queste siano rispettate e di scegliere le soluzioni e i partner di CyberSecurity più affidabili e in linea con le problematiche aziendali. Figura di grande importanza per la reputazione e l’affidabilità dell’azienda.

La sicurezza delle informazioni deve permeare qualsiasi elemento, bene o dato aziendale nella sua essenza. L’idea, ancora oggi troppo diffusa, che qualsiasi problema di sicurezza possa essere risolto con un apposito prodotto hardware o software è terribilmente sbagliata. L’approccio iniziale verso la sicurezza deve sempre consistere in una adeguata formazione del personale e dei suoi comportamenti, nell’idoneità dei processi e solo in un secondo tempo nell’affiancare i necessari prodotti per supportare i processi opportunamente disegnati per la sicurezza.

Chief Environmental, Social and Governance (C ESG)

E’ un ruolo che riguarda la trasformazione ormai irreversibile del ruolo dell’azienda nel sociale e nel suo approccio sempre più attento alle problematiche ambientali e di governance. Un ruolo che si deve adoperare per far ”vivere” internamente ed esternamente la ragione di esistere dell’azienda nel lungo periodo. 

Negli ultimi anni sono cresciuti esponenzialmente gli investimenti che le imprese hanno dedicato alle aree ESG, in linea con la sempre maggior visibilità e importanza di questi temi da parte da parte del pubblico, dei governi e degli investitori. Inizialmente, questo trend ha riguardato soprattutto le grandi corporate multinazionali ma ora si è esteso anche alle PMI più lungimiranti.

E’ nata così l’esigenza di affiancare al CEO con una figura in grado di disegnare la strategia ESG dell’azienda e allinearla con gli obiettivi aziendali, in termini di focus, strumenti per la creazione del valore condiviso e conseguenti meccanismi di remunerazione. 

Il C ESG (o CECP – Chief Executive for Corporate Purpose) è responsabile del profilo sociale dell’azienda e del mantenimento di una condotta di business eticamente in linea con il “purpose”, la “missione” e i “principi aziendali”. La sua area di responsabilità e influenza si estende all’intera supply chain, inclusi i fornitori e la distribuzione, alla lotta alla corruzione, alla definizione e applicazione di policy per il personale che tengano conto di “welfare”, salute e sicurezza, diritti umani, diversity e del rispetto delle policy in tema di impatto ambiente. La sostenibilità dell’azienda, include svariate aree di potenziale impatto ambientale come gli scarti di lavorazione, il packaging e l’utilizzo di materia prime sostenibili e nuovi processi di lavorazione. 

In questo contesto il C ESG si occupa della definizione e rispetto delle policy aziendali implementando un monitoraggio continuo ed efficace dell’intero ciclo di approvvigionamento, produzione e distribuzione con l’obiettivo di migliorare gli standard di impatto sociale dell’azienda e contribuire al miglioramento delle prestazioni energetiche.  

Nell’ottica di una corretta comunicazione al mercato dei risultati raggiunti in termini di fattori ESG si occupa anche della verifica degli obiettivi dell’Agenda 2030 e del processo di valutazione degli SDGs applicabili all’azienda in termini di obiettivi, target e misuratori nonché della verifica della corretta applicazione dei temi ESG nel sistema di reporting al fine anche di mantenere un costante dialogo con società esterne per la produzione di rating e la comunicazione con gli investitori.   

La sfida per molte aziende in questo nuovo campo è quantificare gli impatti positivi della sostenibilità. La sostenibilità può aumentare i ricavi, ridurre le spese energetiche, ridurre le spese di spreco, ridurre i materiali e le spese idriche, aumentare la produttività dei dipendenti, ridurre le spese di assunzione e di abbandono e ridurre i rischi strategici e operativi. Inoltre, pratiche commerciali sostenibili possono attrarre talenti,  generare agevolazioni fiscali ed esser parte integrante dei programmi di New Green Deal e Next  Generation EU.

 

Come cambia il ruolo dei manager oggi

I cambiamenti sempre più rapidi e radicali nella tecnologia e le competenze necessarie a sfruttare al meglio le enormi opportunità che la tecnologia ci offre, insieme ai continui cambiamenti di sistema e di scenario che stiamo attraversando, contribuiscono a modificare radicalmente i ruoli e le competenze richieste alle aziende e ai loro manager C-Level.

Nuove Tecnologie = nuovi scenari = nuovi ruoli = nuove competenze.

Ovviamente sono solo le aziende più grandi che richiedono una così grande specificazione nei ruoli dei manager di Livello C, mentre le aziende più piccole possono fare a meno di molte di queste figure e, ad esempio, avere un CEO affiancato da un COO che supervisiona le attività produttive e anche la gestione dei processi e delle risorse umane. 

Questa però non è sempre la soluzione più efficace e molto spesso nemmeno una soluzione praticabile perché, soprattutto in situazioni di grande discontinuità,  anche le PMI possono avere un bisogno vitale di competenze specifiche molto qualificate, che raramente si trovano all’interno dell’organizzazione aziendale e che, come nel caso della digital transformation ad esempio, non sempre devono essere inserite in maniera permanente nell’organigramma aziendale.

In questi casi la soluzione più razionale è rivolgersi a un C-Level Interim Manager che abbia solide competenze nelle aree più strategiche, in linea con la fase di cambiamento e trasformazione che l’azienda sta attraversando. E’ una soluzione che solitamente si rivela molto più rapida da implementare, rispetto alla ricerca di un manager da inserire a tempo indeterminato, e molto più economica del supporto offerto da una società di consulenza esterna.

Esistono oggi sul mercato molti manager con vasta esperienza e profonda competenza, adatti ai ruoli più specializzati di cui abbiamo parlato, che operano come Temporary Manager per le aziende che stanno attraversando una fase di rapido sviluppo o una grande discontinuità o che presentano lacune dal punto di vista manageriale e organizzativo.

 

TIM Management è la più antica società italiana che si occupa di Temporary Management, ed è in grado di ricercare con efficienza e velocità i profili manageriali che meglio si sposano con le esigenze specifiche delle aziende, di ogni settore e dimensione; oggi è in prima linea nell affiancare l’imprenditore nelle sfide legate all’innovazione tecnologica e ai nuovi, sempre più sfidanti, scenari di business e del mercato del lavoro, in Italia e all’estero.

Raggiungere candidati eccellenti in modo veloce ed efficiente è fondamentale per restare a passo con i tempi in un mercato globale in continuo cambiamento.

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Change Management: perché oggi è diventato indispensabile

Come cavalcare il cambiamento

 

E’ appena terminato il 2020 un anno speciale per tutti noi, un anno che sarà ricordato a lungo come l’anno dei grandi cambiamenti, un anno che ha letteralmente ribaltato il mondo, come lo conoscevamo. Mai come nel 2020 si sono verificati tanti avvenimenti epocali: la pandemia (come non metterla per prima), la fine di Trump (per ora), la guerra economica tra USA e Cina, avvenimento che riguardano la salute, la politica ma anche tanta tecnologia, dai robot sempre più presenti nella nostra vita (anche se come gli adas sulle auto non hanno pinze d’acciaio come nei film di fantascienza anni ‘50), alle navicelle e i treni supersonici di Elon Musk, alla ormai comune intelligenza artificiale, e potremmo andare avanti ancora per molto.

In sintesi, siamo al centro di un cambiamento mai sperimentato prima e questo vale anche per le nostre aziende. Possiamo rispondere all’incertezza non facendo nulla e sperando che finisca e tutto torni come prima, oppure possiamo scegliere di agire e cavalcare il cambiamento;  evolvendo l’azienda in modo che possa essere più pronta per i cambiamenti che stiamo faticosamente attraversando ma anche e soprattutti per quelli che arriveranno. Le parole d’ordine oggi sono flessibilità e velocità.

Concetti che ritroviamo nel Change Management, che significa anticipare e attuare velocemente il cambiamento, adeguando l’organizzazione e i suoi strumenti, in modo flessibile ed efficace, per poter trasformare in opportunità le variazioni sempre più frenetiche della tecnologia, del mercato e del sistema economico.

La gestione del cambiamento è dunque l’elaborazione di un processo di pianificazione rapido e flessibile e l’adozione di nuovi strumenti di analisi dei dati e di un’organizzazione efficiente, al fine di rispondere al meglio alle richieste del mercato. Attualmente il tema centrale, per una società che mira a perdurare nel tempo, è quello di saper adattare l’organizzazione e i processi aziendali per rimanere al passo con la concorrenza e di farlo rapidamente, senza farsi condizionare dal passato.

Il Change Management ha significativi impatti non solo di carattere tecnologico e organizzativo, ma anche e soprattutto di carattere umano, andando ad impattare sui comportamenti e sulle competenze del management e dei lavoratori. Per Change Management si intende dunque l’insieme di processi, strumenti e tecniche per poter gestire al meglio il lato umano dei processi di cambiamento. La finalità è quella di raggiungere i risultati richiesti, attraverso lo sviluppo di nuovi comportamenti individuali e una miglior gestione dei team interni, in linea con gli obiettivi aziendali. Ogni cambiamento in azienda, anche puramente tecnico, ha infatti sempre un duplice impatto, sia a livello umano che organizzativo.

 

Change Management: come applicarlo correttamente, le problematiche più comuni da affrontare nell’applicare il Change Management

 

Le aziende che non sono in grado o decidono di non rispondere ai cambiamenti, rischiano di rimanere legate a un’organizzazione statica e a processi obsoleti che, non solo impediscono sbocchi verso nuovi mercati, ma fanno perdere competitività all’interno del mercato di riferimento. 

Il Change Management, in questi casi, guida l’azienda verso un approccio corretto alle sfide portate dal cambiamento, un approccio in grado di garantire un’efficace transizione dall’assetto attuale a quello futuro, più in linea con i tempi turbolenti che stiamo attraversando. 

Introdurre in modo efficace in azienda  il change management comporta la considerazione di diversi elementi. In particolare: 

 

Le persone: è necessario cambiare l’approccio e la cultura delle persone

I processi: è necessario ridisegnare i processi in chiave moderna, efficace e digitale, sfruttando le nuove tecnologie a supporto dell’analisi e della produttività.

I luoghi di lavoro: ripensare gli uffici e le unità produttive in un’ottica di smart working e di un’operatività flessibile, in linea con le attività da svolgere.

Affinché il processo risulti idoneo a raggiungere obiettivi sfidanti è però necessaria un’adeguata progettazione, l’azienda dovrà in primo luogo saper gestire e ridurre al minimo, la naturale resistenza al cambiamento che caratterizza il comportamento umano e che può frenare i processi di crescita e di innovazione.

A questo proposito, una delle maggiori difficoltà che incontrano le aziende è soprattutto la reticenza al cambiamento di coloro che andranno a subire gli effetti di tale processo e che percepiscono il futuro come incerto e le loro competenze come inadeguate. La risposta migliore a queste resistenze è un management societario capace di attrarre a sé il consenso e coinvolgere tutti positivamente nel processo evolutivo. Servono dunque risorse capaci di gestire le persone e le loro aspettative e resistenze, affrontando quella che risulta essere la difficoltà primaria e più comune nel processo di cambiamento.

Chi gestisce il processo di Change Management deve essere in grado di coinvolgere tutte le persone interessate, attraverso un’efficace comunicazione e pianificazione di obiettivi chiari e ben definiti. Il fattore chiave del successo è dunque l’equilibrio tra le finalità strategiche e la realtà operativa aziendale in essere. Il Change Management opera sull’allineamento di tutte le persone coinvolte sulla nuova strategia, dai lavoratori al top management.

La domanda chiave per chi gestisce l’azienda è se oggi sono già presenti all’interno dell’organizzazione le risorse e le competenze necessarie a gestire il cambiamento; in molti casi purtroppo risorse di questo tipo non sono disponibili internamente e questo accade soprattutto in aziende consolidate che hanno costruito il loro successo sull’ottimizzazione dei processi conosciuti e su innovazioni incrementali. 

Una soluzione a questo gap potrebbe essere rappresentata dall’inserimento temporaneo di risorse esperte, in grado di gestire immediatamente il cambiamento e, allo stesso tempo, far evolvere la cultura dell’intera organizzazione, identificando e formando le risorse potenziali, in grado di gestire nel prossimo futuro il cambiamento e traguardare l’azienda verso una nuova fase di sviluppo ed espansione .   

 

Un corretto intervento di change management si articola in 3 fasi:

Individuazione degli obiettivi: in questa fase la governance societaria definisce i macro obiettivi che vuole raggiungere, un’ipotesi delle tempistiche ottimali, il perimetro degli interventi,  le funzioni e le unità operative coinvolte e soprattutto le modalità di coinvolgimento del personale interessato;

Pianificazione: la governance condivide gli obiettivi con il personale interessato dall’intervento e insieme ne individuano punti critici e opportunità, condividendo modi e tempistiche delle varie fasi progettuali;

Attuazione: si attua quanto pianificato procedendo per gradi e, quando possibile, svolgendo in parallelo le attività complementari. In tale fase è importante che tutte le attività vengano monitorate, in modo da poter reagire prontamente ad eventuali imprevisti per assicurare il raggiungimento degli obiettivi prefissati. 

E’ indubbio che un’efficace change management porta a risultati migliori, raggiunti più rapidamente. Costruire le capacità di gestione del cambiamento significa avere maggiore successo su progetti e iniziative critiche per il business aziendale, raggiungere gli obiettivi aziendali, massimizzare il ROI delle attività gestite e realizzare i nuovi progetti con costi inferiori, maggiore efficienza e più soddisfazione degli utenti.

Il Change Management rappresenta dunque la capacità di saper controllare e guidare i cambiamenti; dando per scontato che il cambiamento è destinato a diventare la nuova normalità, in questi tempi è più che mai valido il motto ‘chi si ferma è perduto’ .

 

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Leadership e smart working: come gestire un team a distanza

Il passaggio allo smart working non è stato scontato e indolore per molte aziende e anche i manager hanno avuto un ruolo centrale in questo.

Oltre a dover mantenere quelle competenze manageriali, dettate dall’esperienza maturata nel ruolo, un manager deve possederne delle altre per essere in grado di gestire il proprio team anche in modalità smart working.

Questo passaggio non è sempre facile, poiché il manager è abituato ad avere un contatto quotidiano con i suoi collaboratori e a gestire il tutto in presenza.

Con lo smart working le regole del “gioco” cambiano, e non sempre i manager riescono a gestire al meglio questo cambiamento.

Leadership e smart working: come gestire un team a distanza

Come gestire lo smart working da manager

La gestione dello smart working per un manager non è semplice. Infatti il manager deve fare i conti con possibili rischi e insidie e, allo stesso tempo, cogliere i benefici della modalità del lavoro a distanza.

Nella situazione specifica dello smart working il manager deve innanzitutto rinunciare ad alcuni fattori che erano prerogative del lavoro in presenza, come, ad esempio:

  • il contatto diretto e quotidiano con i collaboratori
  • il rispetto ossequioso degli orari di lavoro
  • il monitoraggio costante delle attività
  • la risoluzione immediata delle stesse
  • il controllo integrale e continuativo di ogni aspetto del team

Rinunciare a questi aspetti comporta un profondo cambiamento culturale, non sempre immediato da accettare. Tuttavia, questo approccio di gestione di un manager nei confronti del lavoro e dei collaboratori può avere molteplici benefici sia in termini di motivazione, nel breve termine, sia in termini di soddisfazione, nel lungo termine.

Leadership e smart working: come gestire un team a distanza

Manager smart: quali sfide e responsabilità?

Un manager smart, chiamato a gestire la sua azienda e i suoi collaboratori a distanza, deve affrontare delle nuove sfide relative al suo ruolo e fare i conti con nuove responsabilità.

In particolare, dovrà:

  • Offrire linee guida per la gestione dello smart working
  • Promuovere un approccio flessibile al lavoro
  • Definire ruoli e confini delle attività
  • Assicurare l’accesso agli strumenti di lavoro necessari
  • Monitorare l’andamento delle attività e le aspettative dei team

Regolamentare lo smart working

Per gestire lo smart working dell’organizzazione al meglio, il manager smart è chiamato a fornire delle linee guida in grado di regolamentare lo smart working. 

Le linee guida dipendono dalla struttura dell’organizzazione e dagli strumenti a disposizione per far fronte allo smart working. In base a questi elementi, il manager deve formulare la soluzione migliore per la propria azienda, considerando anche modalità, orari e strumenti di lavoro per ogni collaboratore. 

Diffondere una nuova cultura organizzativa

Non più basata sul controllo diretto dei collaboratori in ogni singola fase del lavoro, ma sul raggiungimento di obiettivi definiti a breve o a lungo termine.

Questa cultura deve essere insita nei manager e poi trasferita e diffusa a tutti i collaboratori di tutte le aree di lavoro. Attraverso questa nuova cultura organizzativa, il lavoro sarà basato sulla fiducia reciproco e sulla valutazione dei risultati raggiunti, a partire da obiettivi definiti ex ante.

Promuovere una flessibilità lavorativa

Legato alla gestione per obiettivi, tra le sfide del manager smart vi è anche la promozione di una flessibilità del lavoro.

Infatti, se è vero da una parte che il manager deve chiarire fin da subito gli obiettivi prefissati, dall’altra deve anche lasciare al proprio collaboratore la possibilità di gestire in autonomia il proprio tempo, secondo il proprio ritmo e secondo il percorso più opportuno.

Il tutto ovviamente stabilendo a monte ruoli e confini delle attività di ogni collaboratore.

Assicurare l’accesso a strumenti e tecnologie adeguate

Il manager deve assicurarsi che tutti i collaboratori abbiano gli strumenti necessari per gestire il loro lavoro da remoto, senza che essi siano d’ostacolo alla loro produttività e quindi al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Promuovere forme alternative di “contatto”

È importante che il manager prevede delle modalità smart di contatto con i propri collaboratori. Attraverso strumenti e piattaforme adatte può, ad esempio, fissare degli incontri periodici con i propri collaboratori o tra i collaboratori, in modo da far sentire tutti parte integrante di un team.

Monitorare l’andamento delle attività in smart working

L’attività di monitoraggio è fondamentale per i manager per capire se lo smart working sta funzionando al meglio o se ci sia qualche aspetto da migliorare.In questo senso, un manager potrebbe rivedere le linee guida che regolamentano lo smart working, stabilendo una riformulazione dello stesso in base ai feedback dei collaboratori e agli obiettivi raggiunti in un determinato periodo.

Non bisogna, infine, dimenticare che ogni collaboratore, pur lavorando in smart working, ha bisogno di sentirsi “coccolato” dal proprio manager e incentivato per i risultati raggiunti. In questo senso, per favorire una totale soddisfazione del collaboratore, è importante garantirgli eventuali sviluppi di carriera, bonus e benefit in merito all’attività svolta.