Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Come sta lavorando la tua azienda e come un manager può aiutarla

Che la gestione del lavoro in azienda stia andando sempre di più verso una modalità ibrida non è ormai una novità, ma quali sono i criteri con i quali attuarla? E soprattutto, qual’è la strategia migliore da intraprendere per il lungo periodo? 

 

La necessità di un approccio proattivo al cambiamento

La crisi sanitaria ha costretto la gran parte delle aziende a rivedere le modalità di gestione ed organizzazione del flusso lavorativo, spostando la gran parte delle attività in smartworking

Con l’allentamento delle restrizioni pandemiche, i leader aziendali assumono così grande rilevanza nel prendere le giuste decisioni su come ottenere una strategia efficace di gestione del lavoro da remoto. 

Se ad inizio 2020 infatti, il cambiamento era stato forzato e non previsto, ora le aziende hanno la possibilità di reagire proattivamente al cambiamento, al fine di individuare metodologie e strumenti più adatti e gestire al meglio il personale a distanza. 

Piuttosto che ritornare semplicemente alla “normalità”, le figure manageriali di alto profilo sono chiamate a pensare in maniera strategica per sfruttare al massimo le nuove modalità di lavoro.

 

Partire dal gusto equilibrio tra ufficio e remoto

Innanzitutto, il manager di competenza deve essere in grado di comprendere quale sia il giusto mix di lavoro a distanza per la propria organizzazione

Ci possono essere diversi fattori chiave che influenzano la scelta tra una modalità prevalentemente da remoto, ibrida o principalmente in ufficio. I principali sono:

  • Il livello di esperienza del personale: i nuovi dipendenti o quelli recentemente promossi hanno più facilmente necessità di un periodo iniziale in presenza, sia per acquisire le competenze implicite che possono essere assorbite più velocemente in ufficio, sia per costruire relazioni interpersonali. Nel caso di team esperti e consolidati, è bene in ogni caso organizzare incontri periodici, anche virtuali, sia in ottica di allineamento che di mantenimento degli scambi tra colleghi.
  • La natura delle attività lavorative: un ruolo fortemente collaborativo e di team richiede chiaramente un maggiore sforzo per essere operato prevalentemente da remoto, mentre una professione autonoma, che non necessita di coordinamento, è ideale per una modalità di lavoro svolta prevalentemente da remoto.
  • Le preferenze interne ed aziendali: è fondamentale tenere in considerazione anche le singole preferenze ed esigenze di ognuno per evitare malcontenti e relativi cali di performance. Inoltre, va considerato anche il posizionamento dell’azienda rispetto a soluzioni da remoto in termini di sostenibilità e risparmio.

 

Dalla metodologia alla strategia di lungo periodo

Una volta individuata e attuata la modalità più congrua alle diverse esigenze, è necessario però spostare il proprio orizzonte su un’ottica di lungo periodo e comprendere quale può essere la strategia più adatta per la propria azienda. 

Anche in questo caso, è possibile individuare tre aspetti cardine su cui un manager qualificato deve focalizzarsi:

  • Mantenere un sano clima lavorativo anche a distanza

Conservare la serenità e la salute fisica e mentale del personale che opera prevalentemente da remoto rappresenta una delle principali sfide legate allo smartworking. Riuscire a trovare soluzioni atte a prevenire possibili disagi diventa così fondamentale per le aziende.

  • Garantire una solida cultura aziendale

Man mano che il lavoro passa a modelli più ibridi, potrebbe essere necessario rafforzare la cultura interna dell’impresa, trasmettendo valori e principi fondanti. Le modalità possono essere varie: dalla costruzione di esperienze condivise a comunicazioni ed iniziative periodiche.

  • Massimizzare il coinvolgimento del personale

Il lavoro a distanza può generare un senso di isolamento e di scarsa partecipazione alle attività aziendali. Per questo, è importante mantenere costanti e regolari contatti con chi è in smartworking, ricorrendo a riunioni digitali di valore e condivise. Un manager può inoltre stabilire pratiche precise per la collaborazione in team, promuovendo un’identità comune e obiettivi chiari e condivisi. Anche i momenti tipici del lavoro in ufficio potrebbero essere mantenuti anche nel mondo digitale, come, ad esempio, la pausa caffè e la creazione di momenti di svago e discussione condivisi. 

Donne e temporary management: sfide e opportunità nel mercato italiano

Le aziende ripartono dalle soft skill

La classe dirigente, in Italia e negli altri Paesi, ha subito forti cambiamenti negli ultimi anni, sia in generale per l’evoluzione del mondo del lavoro sia in particolare per la difficile congiuntura economica che, con alterne vicende, a partire dal 2008 ha riguardato tutti i mercati più sviluppati. 

Se da un lato la crisi ha rappresentato uno stimolo per i manager verso l’acquisizione di nuove competenze e di nuovi stili di leadership – alle hard skill come quelle linguistiche, informatiche e tecniche si sono sempre più frequentemente affiancate le soft skill come la flessibilità, l’apertura mentale e la capacità di gestione della diversity – dall’altro è stata uno stimolo per le aziende verso il ricambio generazionale dei propri dirigenti e la valorizzazione di queste nuove competenze e questi nuovi stili. 

Dal punto di vista sociale, i manager si sono poi trovati tra l’incudine e il martello. 

La crescente incidenza della leva variabile sulla retribuzione, con l’obiettivo di incentivarli a lavorare per risultati e in una logica di breve termine, ha messo sempre più pressione e responsabilità sulle loro performance. 

Al contempo, la percezione da parte dell’opinione pubblica della figura dei manager – sia pubblici che privati – è decisamente peggiorata, anche a causa delle difficoltà economiche affrontate da milioni di persone.

In questo contesto, è oggi fondamentale per i dirigenti non solo aiutare le aziende ad agganciare la ripresa in maniera efficace ed efficiente, ma anche ricoprire un ruolo di guida all’interno della società.

 

I trend italiani

Il mercato del lavoro, in Italia, non permette ancora di gestire al meglio il collocamento delle figure manageriali. Molte PMI – la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale del nostro Paese – fanno ancora fatica a comprendere le proprie esigenze. Vige inoltre, soprattutto nella generazione storica di imprenditori e CEO, un’immagine stereotipata del manager, a fronte di una crescente varietà di figure con caratteristiche personali e professionali diverse.

Due però le tendenze recenti che sembrano “correggere”, almeno in parte, questi difetti strutturali. 

1) Il costante e progressivo aumento della presenza femminile

2) Il sensibile aumento di manager assunti con contratti da libero professionista e dei temporary manager

Partiamo dalla prima tendenza.

Secondo l’ultimo Rapporto Donne ManagerItalia, a partire proprio dal 2008, c’è stata una crescita del 49% delle donne manager in Italia, a fronte di un calo del 10% degli uomini. I numeri complessivi sono ancora bassi –  il 18,3% del totale, secondo i dati dell’Inps – ma è confortante il trend tra le generazioni più giovani: si passa al 28% tra le under 40 e al 32,3% tra le under 35. Il fenomeno è più avanzato nelle regioni con una maggior presenza di aziende di grandi dimensioni – come Lombardia e Lazio – e il vero fiore all’occhiello è il settore dei dirigenti privati, in particolare quello del terziario (con la città di Milano come capofila).

Nell’epoca post-pandemia, ci sarà probabilmente sempre più bisogno di incentivare la diversity nel management, anche nell’ottica di una produttività più smart, in grado di coniugare gli obiettivi di business delle aziende con una visione del mondo rinnovata e più attenta ai temi sociali e alla sostenibilità. 

 

Management al femminile tra realtà e aspettative

E qui entra in gioco la seconda tendenza, quella del temporary management.

Il punto di arrivo di una vera e propria rivoluzione nelle modalità di lavoro, figlia del digitale e dell’applicazione di metodologie come l’Agile, che permette ad organizzazioni grandi e piccole di applicare pensiero strategico e velocità di esecuzione ricorrendo a professionisti esterni. 

Se finora il Temporary Manager è stata una professione tipicamente maschile, soprattutto per motivi anagrafici, si sta assistendo anche in quest’ambito a una lenta inversione di tendenza. Un maggior equilibrio tra i generi – a parità di stipendio, si auspica – sarebbe d’aiuto non solo per le professioniste, ma anche per le stesse aziende. Ci sono molti studi, infatti, che mettono in evidenza i vantaggi di un manager donna: sensibilità nel percepire le sfumature nella cultura aziendale, capacità di comunicazione, abilità nel costruire relazioni e nel fare rete. Proprio quelle competenze che la crisi degli ultimi anni ha reso sempre più centrali.

Un ostacolo da superare, a questo scopo, è consentire alle donne Temporary Manager di bilanciare gli impegni professionali con quelli personali, facendo in modo che la famiglia non diventi un ostacolo alla loro carriera e all’espressione del loro potenziale. Un problema che però riguarda l’intera società e tutti i settori lavorativi. 

In TIM Management la presenza di donne manager è in aumento rispetto al passato, e per i prossimi anni puntiamo a un equilibrio sempre maggiore. Il nostro obiettivo è di fornire le condizioni necessarie affinché le Temporary Manager possano trovare le aziende più adatte con cui lavorare, aiutandole tramite le loro hard e soft skill.

Il Valore aggiunto di un Interim Manager

Una delle tante lezioni apprese dalla pandemia è senza dubbio la grande imprevedibilità ed incertezza del mercato odierno, che obbligano le imprese ad essere costantemente preparate a possibili imprevisti e cambiamenti di rotta.

Proprio per questo, i consigli di amministrazione e il management di numerose aziende hanno risposto alla pandemia con maggiore intensità di lavoro e collaborando nella gestione delle crisi e nella risposta alle emergenze.

Secondo un recente sondaggio, il 69% dei dirigenti d’azienda afferma che i cambiamenti più evidenti nelle azioni intraprese per colmare le lacune del personale riguardano una maggiore attenzione alla costruzione delle competenze, seguita dalla ridistribuzione di queste ultime (45%) e dall’assunzione di nuovo personale (42%). In generale, per avere successo durante e dopo la pandemia, le aziende hanno bisogno di un nuovo set di skill, non solo tecniche ma anche sociali, emotive e cognitive. (McKinsey)

La figura del manager ad interim acquisisce quindi sempre più rilievo nel panorama aziendale, italiano e internazionale, rappresentando un grande valore aggiunto per le imprese che decidono di affidarsi a risorse manageriali di alto profilo. 

Esistono diversi vantaggi che le aziende possono trarre dall’acquisizione di un temporary manager qualificato. Questi elementi di valore possono essere riassunti in tre macro-aree.

  1. Migliori risultati in un minor lasso di tempo

Un temporary manager focalizza il proprio lavoro sugli obiettivi aziendali prefissati e sulla scadenza di questi ultimi. Un buon manager ad interim si assicura innanzitutto che il brief iniziale sia chiaro e ben definito. Inoltre, è per lui fondamentale accertarsi di avere gli strumenti necessari per trasformare gli obiettivi in risultati concreti, rispettando i limiti temporali prefissati. 

Dato l’elevata  expertise del manager, le imprese hanno così la possibilità di affidarsi a un professionista altamente qualificato, in grado di gestire sfide già affrontate, e che ha già avuto occasione e tempo per comprendere le modalità migliori per superare gli imprevisti.

In questo modo, per l’impresa si riducono drasticamente i tempi necessari a trovare il giusto metodo e gli strumenti più efficaci a superare cambiamenti ed eventi complessi. 

  1. Maggiore stabilità dei periodi di cambiamento

Il tempo non è però l’unica variabile di risparmio per un’impresa che si affida a un temporary manager. Un altro contributo fondamentale di un manager ad interim è la stabilità offerta nei periodi di cambiamento o di transizione all’interno di un’organizzazione. Secondo un report di Harvard, la partenza di un dirigente può essere catastrofica per un’azienda, soprattutto per i dipendenti. Può infatti generare un effetto a catena con un grande impatto sul morale complessivo e, di conseguenza, sulla produttività. 

La stabilità garantita dall’assunzione di un temporary manager – grazie al suo bagaglio di esperienza e di risorse necessaria a calmare l’ambiente – porta quindi dei benefici al morale e alla produttività.

Il coinvolgimento di un manager ad interim rappresenta così un ulteriore spinta a raggiungere gli obiettivi minimizzando i costi per l’impresa.

  1. Valorizzazione dell’ecosistema aziendale

Meno misurabile – ma indubbiamente fondamentale – è il valore relazionale e culturale che un manager ad interim è in grado di apportare all’organizzazione, non solo in termini economici e temporali. La grande esperienza di un temporary manager è infatti un’importante occasione di crescita e di confronto per l’azienda e il suo management interno, che ha la possibilità di assorbire know-how e conoscenze specifiche nel settore di competenza del manager ad interim.

Inoltre, una figura esterna all’ecosistema aziendale permette di implementare una visione più lucida dell’organizzazione ed è in grado di individuare rapidamente le criticità, indicando poi in maniera oggettiva le migliori soluzioni per attuare il cambiamento.

Infine, l’azienda trae valore anche dal network offerto dallo stesso manager ad interim. Quest’ultimo, infatti, consolida negli anni un’ampia rete di relazioni che possono rivelarsi particolarmente interessanti nel momento in cui partecipa al cambiamento aziendale e condivide aggiornamenti e risultati sui propri canali digitali come Facebook, Twitter e Linkedin. 

In conclusione, il manager ad interim è ad oggi una figura chiave non solo per i risultati evidenti che è in grado di portare in termini di business, ma anche per le sue soft skills che aggiungono valore al servizio di temporary management.

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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L’impatto del Coronavirus sul mercato M&A: più operazioni locali e un 2021 brillante

Il mercato M&A in grande ripresa dopo un 2020 difficile.  

Prendiamo spunto dai dati del mercato M&A presentati durante il ‘Mergers & Acquisitions Summit 2021′ per esaminare la situazione italiana e le prospettive a livello europeo e globale.

Cominciamo col dire che, seppur colpito dalla crisi generata dalla pandemia di COVID-19, il mercato M&A ha reagito in maniera accettabile. A livello globale il valore delle operazioni di M&A concluse è calato del 3,4%, contrazione tutto sommato moderata e sotto le attese degli osservatori; relativamente più difficile la situazione Europea che ha visto una contrazione del 6,8% mentre l’Asia, approfittando della precoce ripresa dalle difficoltà della pandemia, ha superato l’Europa come controvalore di operazioni di M&A.

In questo contesto è stata impressionante l’attività dei fondi di Private Equity: su un totale di 13.334 operazioni per 995 miliardi di Dollari, oltre il 33% ha visto protagonista un fondo di Private Equity. 

Il mercato M&A in Italia

Il mercato italiano, dopo la crisi finanziaria del 2008, ha attraversato un lungo periodo di contrazione, perdendo in un decennio circa il 30% di valore totale delle transazioni del mercato M&A ma riscontrando parimenti un aumento consistente del numero di operazioni: da 4.246 operazioni completate nel decennio terminante nel 2010 si arriva infatti a 6.780 nel 2020; insomma gli ultimi dieci anni hanno visto un depauperamento e una ‘democratizzazione’ del mercato M&A, dove sono state sempre più protagoniste le PMI, vero cuore pulsante dell’economia italiana.

Non sono solo le imprese straniere che decidono di investire in Italia, ma sono sempre di più le imprese italiane che effettuano acquisizioni all’estero. I deal estero su Italia sono cresciuti vigorosamente – da 846 a 2.071 – ma nel decennio è decollato  il numero delle acquisizioni di aziende straniere da parte di imprese italiane, da 818 a 1.239.

Il nostro paese è caratterizzato da una presenza limitata di grandi imprese corporate. Solo 85 aziende hanno un fatturato che supera i 3 miliardi di Euro, contro le 185 della Francia e le 250 della Germania. Le grandi aziende sono più competitive sui mercati globali e la leva dell’M&A potrebbe essere la chiave per accelerare la crescita delle grandi imprese italiane che potrebbero così raggiungere una competitività maggiore sui mercati internazionali e attrarre i migliori talenti sul mercato del lavoro.

Nel 2020, a causa del COVID-19, il mercato M&A italiano ha visto una contrazione del valore superiore alla media, un pesante 16% se confrontato con il -4% registrato a livello globale e il -6,8% europeo. Pesano l’assenza di grandi operazioni sopra il miliardo di Euro che sono state solo 8 e il calo degli investimenti esteri in Italia: -70%, dai 18 miliardi di Euro del 2019 ai 5,4 miliardi del 2020. 

Fortunatamente per il 2021, la situazione sembra molto più positiva quasi euforica:  il nuovo anno è cominciato con una crescita del +161%  dei valori delle operazioni di M&A, inoltre, per i prossimi mesi sono già state annunciate operazioni per oltre 60 miliardi di Euro.

Con queste cifre, il mercato M&A si avvia a rappresentare un driver importante per la ripresa del PIL italiano.

Le aspettative del mercato M&A italiano per il 2021 dipendono tuttavia dalla forza della ripresa economica del paese. Le imprese dovranno essere capaci di sfruttare le opportunità, offerte dai fondi del Recovery Fund e dalle ristrutturazioni aziendali previste. L’obiettivo a medio termine potrebbe essere quello di creare nuovi campioni italiani con ambizioni di competere ed emergere a livello internazionale, seguendo l’esempio passato di Essilor-Luxottica e quello più recente che ha portato alla nascita di Stellantis, entrambe in tandem con grandi aziende francesi.

Parliamo dell’impatto del Coronavirus sul mercato M&A e delle prospettive per il 2021 con Marc De Clerck, Managing Partner at CDI Global & MdcStratCon.

Che impatto ha avuto il Coronavirus sul mercato M&A?

Lo smart working è diventato uno standard per la maggior parte delle organizzazioni e, nonostante l’indubbio impatto negativo sulle relazioni personali e sulla fiducia tra i collaboratori, ha reso

molti processi e task più efficienti. Per il mercato M&A l’impatto è stato forte soprattutto sulle acquisizioni internazionali: è diventato molto

più difficile valutare in remoto le persone, la cultura aziendale e il livello delle infrastrutture presenti. Questo ha provocato uno slittamento verso operazioni locali o

continentali. Le operazioni intercontinentali hanno maggior probabilità di successo quando il buyer è già presente nel mercato target; una soluzione a questo problema può essere quella di appoggiarsi a un network globale specializzato come CDI global, presente nella maggior parte dei mercati globali, come nel nostro paese.

Che cosa ci possiamo aspettare dal 2021?

Il focus è destinato a rimanere sulle operazioni di M&A locali, inoltre molte aziende si stanno ristrutturando, mettendo sul mercato le loro attività non-core, e questo provoca un elevato interesse tra i player del settore. L’interesse per acquisizioni mirate alla crescita o all’acquisizione di tecnologia rimane elevato e si devono anche considerare i 2.500 miliardi destinati agli investimenti, presenti nel portafoglio dei fondi globali; il risultato di questi fattori è che continuiamo a vivere in un mercato di ‘venditori’. E comunque un buon numero di aziende si sono rese conto di quanto sia importante sviluppare e integrare la filiera locale, diventando meno dipendenti da fornitori di altri continenti.

Che consigli può dare agli imprenditori?

Raccomanderei di effettuare regolarmente degli stress test, prima di decidere la dismissione dell’azienda o di un ramo d’azienda. Quali sono i vostri punti di forza e debolezza? Qual’è la vostra reale valutazione di mercato? Chi sono i potenziali acquirenti o investitori? 

Molte aziende si trovano impreparate di fronte alla crisi e quindi non preparate a una vendita o a una proposta di acquisizione da parte degli investitori. Un player globale specializzato in M&A come CDI Global può rappresentare in questi casi un valido supporto per l’imprenditore.

 

Cesare Tocchio è uno dei fondatori di TIM Management, per oltre vent’anni ha ricoperto la carica di Amministratore Delegato in Società multinazionali, in queste posizioni ha sviluppato una solida esperienza finalizzando diverse acquisizioni e cessioni di aziende, marchi o rami d’azienda con lo scopo di consolidare il business, saturare gli stabilimenti e ristrutturare Aziende in perdita. Negli ultimi anni ha portato a termine importanti operazioni di LB0 con fondi quali Mezzanine Management Uk, Argos Soditic e 21 Investimenti ricoprendo la funzione sia di Manager che di Investitore. 

 

CDI Global  opera in partnership con TIM Management per  il reperimento delle risorse finanziarie e per le operazioni di M&A. CDI è un prestigioso network globale di consulenza presente in oltre 30 paesi, per servizi di M&A cross-border, inclusa la ricerca di company target per fusioni e acquisizioni, la ricerca di partner per disinvestimenti e joint venture e ogni altro servizio di consulenza aziendale sui mercati globali.

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Assumere per affrontare la digitalizzazione e la crisi, è davvero questa l’unica soluzione per le HR?

Aumentare il livello di competenze dei manager e l’efficienza dell’organizzazione, per affrontare crisi e digitalizzazione: tattiche e strumenti alternativi al recruiting.

Prendiamo spunto da uno studio globale di McKinsey (1) per affrontare il tema dell’adeguamento delle organizzazioni alle nuove sfide che la digitalizzazione e la crisi pandemica stanno ponendo a chi si occupa di Risorse Umane.

E’ indubbio che la gran parte delle aziende non trova nel management interno tutte le competenze necessarie ad affrontare con successo questa fase storica che è, allo stesso tempo, fonte di pericoli e di grandi opportunità. Questo è ancora più valido per le aziende tradizionali, con una struttura manageriale orientata alla gestione del business esistente; digital transformation e crisi pandemica possono rappresentare per loro un boccone davvero indigesto e creare una situazione inaspettata, sconosciuta e potenzialmente dirompente.

La ricerca di McKinsey non fa altro che supportare queste preoccupazioni: il 43% delle organizzazioni manifesta un gap nelle competenze manageriali interne, e un altro 44% si aspetta di riscontrarlo nei prossimi 5 anni; praticamente un plebiscito nel valutare insufficiente  la capacità di competere con successo della propria azienda.

Il 30% delle aziende dichiara che più del 25% dei manager non ha un profilo adatto all’evoluzione del ruolo e un altro 41% ritiene che i manager ‘a rischio’ siano tra l’11 e il 25% del totale. Un campanello di allarme fortissimo per i manager ma soprattutto per chi è responsabile dell’organizzazione e dei risultati aziendali.

I settori più colpiti da questa mancanza di competenze manageriali sono i servizi finanziari, l’high tech e le telecomunicazioni mentre quelli che si ritengono più al riparo dal ‘rischio obsolescenza manageriale ’ sono i servizi sanitari e le farmaceutiche.

Le aree di business percepite come più critiche sono naturalmente quelle legate all’analisi dei dati e alla competenze IT e digital. Più sorprendente è la percezione di un ampio gap di competenze nei C-Level executives, che sono considerati più a rischio di  aree apparentemente più critiche come le risorse umane, il marketing e le vendite. Ma i gap manageriali sono percepiti come significativi in tutte le aree di business, dal prodotto alla ricerca e sviluppo fino al customer service, alle operations e al finance.

Non sorprende quindi che quasi tutti i rispondenti ritengono la potenziale mancanza di competenze chiave una delle priorità da affrontare per la loro organizzazione; un terzo di loro la classifica già come una delle tre priorità più importanti. Al contrario, relativamente pochi di loro giudicano la loro organizzazione preparata ad affrontare questo problema e solo il 28% dichiara che sono già in atto politiche e azioni per mettere riparo alla mancanza di competenze chiave, nel presente e nel futuro.

Un freno all’attuazione di azioni correttive è certamente la difficoltà di valutare a fondo le competenze già presenti all’interno dell’organizzazione e di identificare il profilo dei ruoli che saranno interessati da una forte discontinuità nel breve termine. 

Ciò nonostante, la maggior parte delle organizzazioni sta già da tempo operando in maniera virtuosa per prevenire e colmare i gap nelle competenze del management e mantenere la propria azienda competitiva e in grado di affrontare con successo il periodo di forte discontinuità che stiamo affrontando e che continuerà a far sentire i suoi effetti per molti anni. 

La survey suggerisce che negli ultimi 5 anni la tattica globalmente più utilizzata per aumentare le competenze aziendali è stata quella di assumere nuove risorse, che siano già  in possesso delle competenze deficitarie; infatti i due terzi delle aziende interpellate hanno inserito nuovi profili nell’organizzazione. Questa tattica è sempre accompagnata da una o più azioni condotte in parallelo che vanno a disegnare un mix ben articolato di azioni correttive molto interessante da esaminare.

Ad esempio, in ben più di metà delle organizzazioni sono stati avviati potenti programmi di formazione mirati ad aumentare le competenze del management interno, portando nuove conoscenze e modalità di gestione più moderne all’interno dell’organizzazione. Non meno numerose sono le azioni di cambio di ruolo e mansione per il management e l’inserimento di Interim e Temporary Manager a contratto. Quest ultima modalità di  colmare il gap di competenze è tanto più diffusa, quanto più è evoluto il mercato del lavoro e quanto più è disponibile un’ampia offerta di manager specializzati ed esperti in grado di coprire ruoli apicali e far crescere rapidamente il livello di competenza manageriale dell’azienda.

Non sorprende quindi che questa modalità sia più diffusa negli Stati Uniti, dove il 57% delle aziende è ricorsa all’utilizzo di Interim Manager nei 5 anni passati, seguita da Asia ed Europa, con il 50%, mentre questa è un’azione meno comune nei mercati in via di sviluppo e in Sud America.

Nel prossimo futuro questo quadro è destinato a cambiare radicalmente, spostando il peso delle riorganizzazioni verso la formazione e la riqualificazione dei manager nel ruolo e l’inserimento di Temporary Manager, a scapito delle nuove assunzioni, ritenute, da un sempre crescente numero di Responsabili HR, meno flessibili e più rischiose per l’organizzazione.

I programmi di formazione e reskilling, che più di due terzi delle organizzazioni dichiara di voler attuare nei prossimi 5 anni, si focalizzeremo soprattutto nel facilitare l’implementazione di nuovi modelli di business e sulle modalità di ridisegno della strategia aziendale; insieme a un ampio sforzo di riqualificazione tecnologica e digitale, necessaria in tutte le aree funzionali.

Questo è evidente dall’analisi delle priorità per la formazione espresse dai rispondenti: la formazione in area strategica, nella gestione del personale e nella leadership sono in testa alla lista, seguite dal project management, dall’analisi dei dati e dalla creazione di modelli analitici e previsionali evoluti per le performance aziendali.

La grande difficoltà per chi si occupa di HR è quella di bilanciare i percorsi di riqualificazione con la necessità di garantire la piena operatività delle funzioni aziendali; bilanciamento reso ancora più critico dalla situazione di oggettiva difficoltà che molti settori di business stanno affrontando durante questo lungo periodo di discontinuità. 

La scelta di investire nella formazione sembra dare risultati concreti per chi ha già intrapreso questa strada. La metà delle aziende interpellate afferma di aver riscontrato dei miglioramenti tangibili nei risultati aziendali, dopo aver intrapreso un percorso di reskilling per i dipendenti, oltre a vedere un robusto incremento nella soddisfazione del personale e nella customer experience.

L’Interim Manager: un modo smart per aumentare le competenze manageriali e migliorare l’operatività aziendale

Di fronte alle sfide poste all’imprenditore e a chi gestisce le Risorse Umane, l’utilizzo di Interim Manager esperti può rivelarsi una scelta vincente per l’azienda. Questo perché una risorsa esperta può supportare e guidare l’organizzazione con successo attraverso la crisi e la discontinuità,  senza richiedere investimenti importanti e potenzialmente rischiosi, in management permanente o attività di consulenza esterna:

  • Aiutando a ripensare l’azienda, adattandola alle nuove situazioni di mercato e concorrenza, portando un’estrema competenza e nuove professionalità all’interno dell’organizzazione.
  • Scegliendo gli strumenti più adatti a semplificare i processi e supportare la gestione del cambiamento. 
  • Collaborando proattivamente con la direzione e con tutti i reparti, sia funzionali che operativi, non essendo in competizione con il management ma orientato al risultato.
  • Assicurando che tutti i manager dell’azienda siano coinvolti nell’adozione e nell’implementazione del cambiamento; elevando al tempo stesso le competenze interne, così che, alla fine del suo incarico, il management sarà meglio attrezzato per gestire il cambiamento e guidare lo sviluppo.

Il ruolo di un Interim Manager diventa essenziale quando l’azienda decide di anticipare il cambiamento, intraprendendo una riorganizzazione profonda, e adottando una nuova visione e nuovi obiettivi a medio termine. 

In questi casi, la presenza di una risorsa esperta, con solide competenze nelle aree più critiche, può facilitare la riqualificazione del management interno, garantendo un’operatività efficace durante i percorsi di reskilling, amplificando il loro impatto, velocizzando l’implementazione dei nuovi processi e l’adozione di nuove professionalità.

 

 

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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