Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Finanza sostenibile: quali sfide per le imprese

Il tema della sostenibilità è un tema sempre più ricorrente all’interno delle aziende.

Adattare il proprio business model ad un mondo sostenibile è una vera e propria

sfida per molte imprese.

 

Per la prima volta dopo secoli, il focus di un’organizzazione non è meramente quello

di portare benefici economici, ma anche quello di tenere in considerazione le

problematiche sociali ed ambientali, impattando positivamente l’ecosistema che le

circonda.

 

In un contesto economico dove i consumatori e gli investitori sono sempre più attenti

ai temi della sostenibilità ambientale e sociale, la responsabilità sociale d’impresa

assume un ruolo fondamentale per poter competere nel mercato presente.

 

Data l’importanza di questa tematica, in molte aziende si sta introducendo la figura

del Sustainability manager, il “manager della sostenibilità” per inserire nel piano

strategico aziendale gli obiettivi relativi alla sostenibilità ed avere una figura preposta

a monitorare performance e avanzamenti in campo ESG (Enviromental, Social,

Governence).

 

Le grandi sfide ambientali e sociali sono diventate di importanza fondamentale per

tutte le aziende globali e a livello europeo i nuovi piani di investimento comunitari,

hanno promosso incrementalmente la sostenibilità e un’economia climatica neutra.

 

Nello specifico nell’ambito della finanza sostenibile, un tema delicato che indirizza le

decisioni di investimento sono gli obiettivi ESG, che obbligano di fatto molte aziende

ad evolversi e a tarare le proprie politiche e i propri comportamenti, in conformità con tali

obiettivi.

 

 

  • Environmental: la crescita deve essere sostenibile sul piano ambientale,

considerando i rischi legati ai cambiamenti climatici e quindi attenta alla

riduzione delle emissioni di Co2, all’efficientamento energetico, l’azienda

porre la massima attenzione allo spreco di acqua e ad altre pratiche che

mettono a repentaglio le risorse naturali, come ad esempio la deforestazione.

  • Social: miglioramento dell’ambiente di lavoro sotto diversi aspetti:

○ perseguire politiche e comportamenti inclusivi per tutti i tipi di diversità,

di sesso, di età, di abilità;

○ miglioramento delle condizioni di sicurezza sul lavoro;

○ porre la massima attenzione al rispetto dei diritti umani;

○ miglior relazione con i sindacati;

○ in sintesi, un’assunzione di responsabilità sociale a 360 gradi.

  • Governance: a livello di governance societaria si richiedono etica e la

massima trasparenza da parte dei vertici. Diventa fondamentale

implementare politiche di diversità e inclusione nella composizione dei CdA, e

garantire la presenza di piani ed obiettivi di sostenibilità, legati alla

remunerazione del board.

 

Perché la sostenibilità è importante per gli investitori?

La sostenibilità è un tema rilevante per gli investitori perché il riscaldamento globale

e il cambiamento climatico rappresentano dei rischi considerevoli all’interno dei

portafogli di investimenti.

 

Stiamo attraversando un momento di transizione da un’economia alimentata da fonti

poco sostenibili ad un’economia futura a basse emissioni di carbonio. Nuovi modelli

di business rispettosi del clima e dell’ambiente esistono, ma rappresentano ad oggi

la minoranza delle società nelle quali poter investire.

 

Il mercato ad oggi è composto prevalentemente da aziende nate quando il

riscaldamento globale non era un problema comune dibattuto, che però devono ora

necessariamente adattarsi alle nuove esigenze dei consumatori e degli investitori.

 

Come capire quali realtà stanno realmente affrontando il cambiamento mutando le

loro fondamenta verso un approccio realmente più sostenibile e quali invece si

stanno adattando superficialmente, mutando semplicemente la propria facciata?

 

Il ruolo dei rating ESG

La crescente importanza dei temi relativi alla sostenibilità per chi investe o per chi

concede un credito ha creato la necessità di misurare la performance delle imprese,

anche in termini dei parametri ESG.

 

Come gli Score (algoritmi statistici) e i Rating creditizi (valutazione del merito

creditizio da parte degli analisti) misurano l’affidabilità di un’impresa e la sua

situazione di indebitamento, gli Score e i Rating ESG sono da poco stati introdotti

per valutare il grado di sostenibilità di un’impresa, nei tre ambiti: ambientale, sociale

e di governance. Si differenziano però da quelli creditizi perché in questo caso

praticamente non esistono misure oggettive riconosciute pubblicamente.

 

Nel caso degli Score e dei Rating Creditizi ESG si tratta di considerare un ampio

ventaglio di variabili, sia quantitative che qualitative. Mancano però delle

regolamentazioni ed un’autorità, come in Europa ad esempio esiste L’ESMA

(autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), che autorizza le agenzie di

Rating ad emettere le valutazioni.

 

Per far fronte a questa mancanza, le agenzie di rating, a livello quantitativo, valutano

la sostenibilità in base alle performance dell’impresa analizzando i dati pubblici

disponibili. La parte di analisi qualitativa invece prevede la raccolta di dati ed

informazioni tramite questionari sui tre ambiti ESG.

 

Perché per un’impresa misurare la sostenibilità è un’azione strategica?

Per poter aumentare la propria attrattività verso gli investitori, molte aziende

dovrebbero attivarsi proattivamente:

 

  • Introdurre modelli di governance aziendale più trasparenti e aperti agli

investitori.

  • Monitorare quantitativamente gli impatti ambientali, fornendo più

frequentemente informazioni oggettive sull’attività aziendale.

  • Evidenziare qual è l’impatto sociale ed economico dell’azienda sul territorio.
  • Includere nei piani finanziari KPI’s relativi alla sostenibilità e legare a questi

ultimi una parte del bonus del top management.

 

Poter disporre di un rating ESG per un’azienda riserva considerevoli vantaggi sotto

vari punti di vista.

 

Innanzitutto, si ha una vera e propria misurazione della performance nel

campo della sostenibilità. Questo garantisce all’azienda un tracciamento dello

storico della propria sostenibilità, di fondamentale importanza per le analisi

future.

Un altro vantaggio è rappresentato indubbiamente dal posizionamento

aziendale sul mercato. Essere sostenibili è oggi una leva commerciale non

indifferente, che va anche a impattare positivamente sulla reputazione

aziendale.

Altri vantaggi sono rappresentati dall’incremento delle opportunità di

raccogliere investimenti, oltre al miglioramento delle opportunità e dei costi di

finanziamento.

 

Per potersi differenziare dai competitor e implementare delle politiche strategiche

ESG efficaci bisogna affidarsi a manager competenti. La sostenibilità non è un trend

del momento o una moda passeggera, è un tema sempre più attuale, pronto a

restare.

 

La spinta della transizione energetica sta cambiando il paradigma strutturale

all’interno delle aziende. Le aziende devono necessariamente ridurre la propria

 

impronta ecologica, posizionandosi non solo come organizzazioni artefici di profitti,

ma anche come enti sociali destinati a creare sempre più valore a livello sociale

condiviso.

 

Per questo bisogna essere pronti ed avere a disposizione strumenti adeguati. TIM

Management può offrire manager ad interim che si occupano proprio di questo per

aiutare la tua realtà ad affrontare al meglio questa transizione positiva.

CHANGE MANAGER: Cosa fa e perché per alcune aziende è un ruolo molto importante

In quest’era di continua espansione, sia territoriale che multimediale, il vero dilemma per un’azienda e soprattutto per una PMI, risiede nel saper dove investire le proprie risorse limitate in modo efficace per garantirsi uno spazio nel futuro mercato che diventa sempre più complesso e competitivo. 

E’ fondamentale per le PMI ma non dimentichiamo che anche molte grandi realtà, come ad esempio Nokia, Kodak, Blockbuster, Blackberry e Polaroid, non hanno saputo innovare il loro business model tempestivamente e in modo efficace e sono finite disastrosamente fuori mercato. 

Onde evitare che questo accada, in momenti di alta criticità è importante che intervenga una figura come il change manager, esperto nella gestione del cambiamento, che interviene in favore dell’azienda per gestire al meglio qualsiasi criticità e traghettarla verso un futuro di successo e crescita.

In quest’epoca tecnologica la più grande sfida per le aziende rimane quella di innovare in maniera organica e integrata. L’azienda può anche introdurre tecnologie e nuovi processi, ma se non vengono integrati agilmente nel sistema, rimangono azioni estemporanee e spesso inutili.

All’interno delle aziende, Il più grande blocco strutturale all’innovazione e al cambiamento è rappresentato dalla cultura e dal comportamento aziendale. La reticenza delle persone al cambiamento è la causa maggiore per la mancanza di innovazione all’interno di un’organizzazione. 

Un’azienda può anche introdurre degli strumenti digitali al suo interno come ad esempio: introdurre test di digitalizzazione per i propri dipendenti, inserire nell’organizzazione la figura di innovation manager, usare piattaforme digitali, ma senza una strategia efficace rivolta al cambiamento e perseguita con determinazione, lo sforzo rimane vano. 

Il ruolo del Change Manager consiste proprio in questo: costruire una cultura e un percorso orientati al cambiamento per raggiungere l’obiettivo desiderato. 

 

I 4 principi fondamentali ai quali fare riferimento secondo il modello 4P sono:

  • People: cambiare la mentalità e la cultura delle persone, l’aspetto più difficile.
  • Process: rivedere tutti i processi in ottica digitale e moderna.
  • Platform: introdurre in azienda tutti gli strumenti ed i tool digitali necessari per migliorare la produttività.
  • Place: ripensare tutti i luoghi di lavoro in un’ottica di activity based workspace e smart working.

People

L’aspetto sicuramente cruciale e più difficile da cambiare. Un progetto di change management deve partire dalle persone e dalla loro mentalità. La psicologia sociale, applicabile ai dipendenti, raffigura come estremi due tipologie di mentalità: Il fixed mindset ed il growth mindset. 

Nel primo caso si ha davanti una mentalità poco propensa alle novità e conservativa mentre nel secondo caso si ha una volontà e una propensione spontanea ad imparare ed evolvere, anche oltre le reali necessità aziendali. 

Il ruolo del Change Manager è quello fondamentale di operare come driver per livellare questi due opposti e spingere l’intera azienda verso il cambiamento uniformemente e in maniera organica. 

Operativamente si tratta di concordare e implementare obiettivi e tempi e allocare budget, condividendo il percorso di sviluppo con l’intera organizzazione al fine di abbattere qualsiasi tipo di obiezione e resistenza, dimostrando i benefici non solo aziendali, ma anche personali che si possono ottenere nel proprio lavoro, grazie al cambiamento e alla modernizzazione di processi e strumenti.

 

Process

Senza l’introduzione di nuovi  processi, anche la tecnologia più efficace è destinata a fallire. Molte aziende investono in piattaforme e soluzioni IT,  senza efficacemente delineare i loro processi e quindi la loro ottimizzazione; uno degli esempi più frequenti è l’introduzione in azienda di un ERP di nuova generazione senza la guida di un manager esperto che sappia come coinvolgere nel processo tutte le funzioni e quali sono le aree critiche da monitorare con attenzione.

Un piano di change management invece include una valutazione accurata delle procedure e di conseguenza la scelta e l’implementazione di soluzioni efficaci.  

 

Platform

Stiamo assistendo negli ultimi anni all’introduzione sempre più diffusa e capillare di nuove piattaforme tecnologiche, più o meno integrate, che aiutano a svolgere più efficacemente il lavoro in azienda. Non adottare tempestivamente soluzioni tecnologiche avanzate significherebbe compromettere pesantemente l’efficienza aziendale, diminuendo inevitabilmente la capacità di competere sui mercati.

Senza dimenticare che la comunicazione e la vendita avvengono sempre di più tramite canali digitali e non prioritizzare in questa direzione andrebbe a scapito dell’azienda e delle sue performance.

L’azione di un Change Manager interviene anche in questo ambito, facilitando l’introduzione di piattaforme tecnologiche in linea con il processo di cambiamento ed evoluzione e rendendo più accessibili dati e comunicazioni all’interno dell’organizzazione.

 

Place

L’uso di piattaforme digitali consente anche di rivalutare l’intero paradigma sociale e organizzativo dell’impresa e della gestione delle risorse umane. 

Molte aziende hanno constatato i benefici dello Smart Working tra cui:

  • Performance in linea o anche migliorate
  • Maggiore efficienza e risparmio
  • Soddisfazione del lavoratore

Questo cambiamento, che molte realtà aziendali in tutti i settori hanno giocoforza sperimentato negli ultimi anni, può essere la spinta al cambiamento anche su altri fronti grazie anche al supporto di un Change Manager.

Il Change Manager, possiamo concludere, è una figura fondamentale per molte aziende, non necessariamente in un periodo di crisi, che hanno bisogno di una visione e di una  consulenza esterna per affrontare il cambiamento in atto al meglio, volgendo a proprio vantaggio la nuova situazione competitiva.

 

Molti dipendenti mostrano resistenza al cambiamento un po’ per natura e un po’ perché temono in alcuni casi che il loro ruolo sarà sostituito o sminuito dalla tecnologia. Rendendo i dipendenti partecipi al cambiamento e spiegando tutti i passaggi e i benefici che si possono ottenere, si attutisce in anticipo l’attrito culturale che potrebbe manifestarsi. 

 

Le persone temono l’ignoto e l’incertezza ed avere una strategia chiara e una leadership in grado di portarla a termine, riduce drasticamente queste paure. Inserire un Change Manager, anche temporaneamente, per implementare una strategia non solo conferisce stabilità e sicurezza ai dipendenti, ma garantisce il successo delle nuove linee strategiche e dell’implementazione delle tecnologie adeguate.

 

In questo modo si abbreviano i termini e si facilita la transizione, aumentando complessivamente la fiducia nel top management e negli stakeholders.

 

Per un imprenditore, alle prese con la gestione quotidiana della propria azienda, diventa spesso difficile concentrarsi su tutti gli aspetti che renderebbero ancora più sana e fertile la propria azienda, anche per la mancanza di alcune competenze nell’organizzazione. 

Per questo reclutare un Interim Manager specializzato nel cambiamento, un Change Manager esperto e specializzato nel settore di appartenenza dell’azienda, potrebbe essere la garanzia per il successo aziendale e per tracciare una direzione profonda e duratura per l’azienda, elevando anche le competenze del management interno e aumentando la capacità di innovare e competere nel medio periodo. 

TIM Management può aiutare proprio in questo, fornendo un Change Manager in tempi brevi che possa assistere l’organizzazione in un passaggio transizionale, qualunque esso sia, così delicato al suo interno. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le conseguenze del covid sulla leadership e l’indifferenza da parte dei leader.

La crisi del Covid-19 ha cambiato profondamente il panorama sociale, sanitario ed economico del mondo che conoscevamo. 

L’imprevedibilità e la complessità di questa crisi è innanzitutto ricaduta sui governi, sulle autorità e sul sistema sanitario. In contemporanea però ha segnato inevitabili conseguenze per gli imprenditori e per i dirigenti d’azienda che tutt’ora si domandano come affrontare al meglio questo cambiamento economico/sociale in corso.

In particolare, l’emergenza legata al Covid-19 ha segnato indelebilmente le dinamiche lavorative creando o meglio consolidando fenomeni come lo smart working. Questo ha, da una parte creato enormi opportunità, agevolando la flessibilità sia per i datori di lavoro che per i dipendenti. A discapito però, di molti altri aspetti collaterali facenti parte di un rapporto lavorativo, che si sono andati a perdere. 

Molti leader hanno preso delle misure, sia strategiche che operative, per agevolare e facilitare il lavoro da remoto, spesso però tralasciando al contempo alcuni degli aspetti fondamentali dell’organizzazione del lavoro che si sono andati a perdere con lo smart working. Per questo motivo da parte dei dipendenti si è avvertita una grande discrepanza nella percezione della gestione della pandemia rispetto ai leader.

In uno studio condotto da The Adecco Group nel quale hanno partecipato 14.800 persone di età compresa tra i 18 e i 60 anni provenienti da 25 paesi diversi sono emerse statistiche poco rassicuranti. 

Sebbene l’80% dei senior leader intervistati si ritenga soddisfatto di come ha gestito l’emergenza pandemica, soltanto il 62% dei middle manager concorda e solo il 43% dei dipendenti è d’accordo. 

Sebbene 8 senior manager su 10 credano di aver comunicato chiaramente alle proprie risorse interne una strategia chiara e mirata allo sviluppo e alla crescita delle risorse interne, solo il 64% dei manager è d’accordo e solamente il 33% dei lavoratori è soddisfatto delle opportunità e delle modalità lavorative proposte. 

Seppur non sia insolita una visione divergente tra dipendenti e datori di lavori riguardo i temi connessi alla gestione aziendale, non vanno sottovalutate queste differenze emblematiche nella percezione dello smart working, che potrebbero andare ad impattare sostanzialmente l’organizzazione nel lungo periodo. 

Ciò che emerge da questo studio sono principalmente delle questioni apparentemente poco rilevanti che condizionano però in modo sostanziale l’operatività del lavoratore.

Ad esempio, in questo nuovo paradigma lavorativo legato a un lavoro prevalentemente svolto in remoto, sono venute a mancare quel tipo di conversazioni tra leader e dipendente che, seppur a volte non strettamente rilevanti in merito all’operatività aziendale, creavano comunque grande valore nel rapporto datore di lavoro-dipendente. 

Come discutere e le condividere le prospettive di crescita all’interno dell’organizzazione o l’accertarsi semplicemente sullo stato d’animo dei propri collaboratori. L’essere umano per natura ha bisogno di essere valorizzato ed ascoltato per stimolare e rafforzare la sicurezza e la convinzione nelle proprie scelte, alimentando allo stesso tempo la propria motivazione e la fiducia nel proprio leader.

 

Lavorare da remoto rende più difficile instaurare questa connessione umana o comunque ne pregiudica la profondità del rapporto. Detto questo, non vuol dire che lavorare da remoto non sia efficace ma è fondamentale che i leader, per poter operare efficacemente, siano consapevoli di questi aspetti. 

Una buona leadership in epoca post pandemica dovrebbe ragionare ad ampio spettro sulle nuove dinamiche consolidate nel nuovo scenario, cogliendo sia le lacune che le opportunità che si hanno lavorando da remoto. 

Il primo grande cambiamento che dovrebbe avvenire è quello della valutazione del lavoro dei propri dipendenti. Non più un orientamento prevalente al tempo trascorso a lavorare, ma invece un focus più mirato all’ottenimento dei risultati. Dato che nel lavoro da remoto si ha più flessibilità, a seconda delle esigenze di ognuno, dovrebbe essere un’evoluzione naturale quella di arrivare a valutare i propri dipendenti in base alle loro performance, sempre però tenendo in considerazione le esigenze di tutti gli stakeholders che interagiscono con l’organizzazione. 

Forse l’aspetto più rilevante, quando si valutano i cambiamenti legati all’adozione dello smart working, è l’engagement del lavoratore, ossia il senso di appartenenza che un dipendente ha verso la propria azienda. Quando si lavora da remoto è importante che questo senso di partecipazione resti alto. Lavorare a distanza causa lontananza dai propri colleghi e dal proprio team. I leader devono cercare modalità efficaci per tenere alto l’engagement percepito dai propri lavoratori, rendendoli partecipi del tessuto sociale dell’impresa, condividendo con loro obiettivi e visioni e motivandoli a raggiungere i risultati attesi. 

Un altro aspetto da considerare seriamente è sicuramente la modalità di comunicazione. La distanza non deve in alcun modo limitare la comunicazione tra i membri del team ed i leader. Anzi, in molti casi vanno aumentate le interazioni per sopperire alla distanza fisica.

In un ambiente di lavoro ibrido è molto importante che i leader non cadano nella trappola della propensione alla prossimità, che quindi si concentrino maggiormente sulle persone con le quali si ha un interscambio in presenza, rispetto a quelli che lavorano da remoto.

Anche a distanza si deve cercare di creare e alimentare un rapporto con il dipendente che sia non solo strettamente lavorativo introducendo modalità di relazione che considerino il dipendente nell’insieme. Vanno ad esempio organizzate sessioni settimanali con i propri dipendenti che si occupino di tematiche operative ma che, al tempo stesso, riguardino anche la figura del dipendente a 360 gradi, privilegiando il rapporto umano. 

Molte aziende stanno dando sempre più peso e importanza ai propri dipendenti non vedendoli più come delle risorse sostituibili ma come dei veri e propri asset da trattenere e coltivare nel lungo termine. Per questa ragione, il lavoratore acquista sempre più importanza, rendendo la comunicazione e l’interazione con lui sempre di maggior valore. 

Come dimostra lo studio di The Adecco Group, una percezione differente dell’organizzazione e del lavoro dei dipendenti da parte dei leader, può seriamente compromettere l’operatività ed i risultati aziendali. Molti leader affidano il proprio feedback ai loro pari e non ai loro collaboratori non ricevendo un riscontro sincero, costruttivo e veritiero.

Un leader, per quanto lungimirante e attento al benessere dei dipendenti, non può essere sempre a conoscenza di tutte le dinamiche aziendali, soprattutto se la sua prima linea non è in grado di gestire con efficacia le nuove modalità di lavoro ibrido e la comunicazione con i dipendenti. In questi casi l’inserimento di una risorsa esterna per gestire il cambiamento e ristabilire un equilibrio efficace tra leadership e dipendenti può veramente fare la differenza tra  il successo e il fallimento di un’azienda. Quest’epoca post pandemica può rappresentare il momento migliore per molte realtà per reinventarsi ed innovare la propria cultura aziendale, rivedendo e consolidando il rapporto con i loro dipendenti. TIM Management può aiutare proprio in questo, perché può mettere rapidamente a disposizione dell’imprenditore il suo network di professionisti selezionati nel tempo. Con un’ esperienza maturata in oltre 30 anni al fianco delle imprese italiane siamo in grado di offrire la miglior assistenza, ritagliando i nostri servizi a seconda dell’esigenza aziendale e rendendo operative le nostre risorse esperte e provate in tempi brevissimi. 

 

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L’evoluzione del CFO: da operativo a strategico

La figura del Chief Financial Officer è una figura chiave all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione.  È una figura che con il tempo si è dovuta adattare passando da un ruolo prettamente contabile ed operativo ad un ruolo più manageriale e decisionale. 

L’evoluzione di strumenti e tecnologie, con innovazioni che hanno stravolto ed evoluto le modalità di fare impresa, ha fatto sì che anche questa figura si sia dovuta adattare, assumendo un ruolo più decisionale, dotandosi di strumenti evoluti di analisi dei dati consuntivi e previsionali, e integrandosi in maniera più olistica nell’ecosistema aziendale. 

Sorge sempre più spesso la necessità, anche per le piccole e medie imprese, di dotarsi di un buon CFO per poter prendere migliori decisioni strategiche, sfruttando meglio i propri dati analitici. 

 

CFO – DALL’OPERATIVO ALLO STRATEGICO

Tradizionalmente la figura del CFO si associava prevalentemente ad un ruolo di contabilità, amministrazione e controllo di gestione, nei casi più evoluti, e le sue competenze fondamentali erano competenze tecniche, come ad esempio il controllo del cash flow e della liquidità oppure la responsabilità e competenza sui dati amministrativi/fiscali. 

Oggigiorno non è più così. Il CFO unisce le sue competenze ad un approccio strategico, contribuendo in modo diretto alla guida dell’azienda, diventando a tutti gli effetti, il braccio destro dell’imprenditore. Grazie ad una visione a 360 gradi sull’azienda e sui diversi dipartimenti, il nuovo CFO riesce a tenere sotto controllo tutti i nodi decisionali, sostenendo le sue scelte in modo analitico e professionale e facilitando la strategia di business. 

 

IL RUOLO E LE RESPONSABILITÀ’ DEL CFO

Un modo per comprendere le macroaree di operatività del CFO è di utilizzare il metodo delle 3C skills: 

  • capacità di Calcolare ed analizzare la performance dell’azienda  
  • competenza nel Coordinare il processo decisionale interno dell’azienda
  • avere la padronanza nel Comunicare e diffondere sia internamente che esternamente le decisioni finanziarie e le performance aziendali 

Le responsabilità e le funzioni del CFO possono variare a seconda della realtà nella quale opera che può spaziare da una realtà industriale consolidata a una startup, (in questo caso avrà il compito di costruire una vera e propria struttura aziendale) e varia anche in funzione del settore nel quale l’azienda opera e delle dimensioni dell’azienda.

A prescindere dal tipo di organizzazione in cui si trova,  l’obiettivo del CFO sarà sempre quello di guidare e indirizzare la strategia di business, spingendo l’azienda ad investire nelle giuste opportunità.

I compiti specifici che un Chief Financial Officer svolge si possono riassumere in:

  • Gestione dei dati finanziari, includendo la redazione e presentazione di rapporti e bilanci per valutare la performance dell’azienda
  • Gestione del budget e del sistema di previsione degli andamenti del mercato e dei prodotti e servizi
  • Controllo di gestione e corretta allocazione di ricavi e costi per linea di business e articolo
  • Gestione della cassa e dei tempi di incasso e pagamento
  • Rapporto con le istituzioni finanziarie 
  • Supervisione dei processi finanziari aziendali
  • Gestione della relazione tra l’azienda e i suoi azionisti
  • Collaborare con gli avvocati e gli advisor durante i processi di fusione e acquisizione dell’azienda.
  • Valutare le opportunità di espansione ed M&A
  • Supervisione del rispetto delle norme e delle leggi nelle attività economiche
  • Minimizzare spese e perdite
  • Monitorare gli eventi che possono incidere sullo stato finanziario della società

 

CFO 4.0 NELL’ ERA TECNOLOGICA 

La figura del CFO si è adattata all’innovazione tecnologica, oggi è sempre più fondamentale che conosca e a volte sappia utilizzare le nuove tecnologie digitali.  

In questo nuovo scenario il Chief Financial Officer ha un ruolo sempre più rilevante nelle conduzione dell’azienda avvicinandosi e affiancandosi sempre di più alla direzione dell’azienda. Le sue funzioni principali risiedono nel monitoraggio delle performance aziendali, nella previsione e gestione dei rischi alla quale l’organizzazione è esposta e nel garantire un flusso corretto e condiviso delle informazioni tra le diverse aree e funzioni interne. 

Il suo metodo di lavoro viene spesso definito “data-centrico” (una traduzione letterale dall’inglese che solo parzialmente ne definisce il metodo). L’uso di Big data,può migliorare il processo di valutazione della gestione aziendale e le relative analisi ottimizzando l’operatività dell’azienda e portando a  migliori decisioni strategiche. 

Un altro strumento che facilita il lavoro del CFO e migliora la performance aziendale è l’uso di RPA (robotic process automation). Questa tecnologia consente sia un alleggerimento delle attività ripetitive e quindi una riduzione dei costi, che un importante miglioramento complessivo delle attività di accounting e un’ottimizzazione sul fronte del revenue management.

Anche con l’uso del Machine Learning le attività di reportistica stanno diventando molto più efficienti, arrivando alla generazione automatica di report mensili e alla creazione personalizzata di report suddivisi per business line o team. 

Oltre alle competenze tecniche necessarie per il suo lavoro, il Chief Financial Officer, deve quindi avere uno sguardo proiettato verso il futuro, capendo le nuove tecnologie e le dinamiche della digitalizzazione allocando le risorse aziendali verso una visione digitale di lungo periodo. 

La figura del CFO è un figura omnicomprensiva che non si limita solo alla parte finanziaria dell’azienda ma che contribuisce in maniera determinante alla strategia e al processo decisionale di board, fornendo e interpretando i dati interni ed esterni a disposizione. 

Spesso in molte PMI italiane la figura del CFO non è presente, per mancanza di cultura finanziaria e manageriale, e le performance e i risultati ne risentono in maniera pesante.

Tutte le aziende dovrebbero integrare un CFO all’interno dell’organizzazione e molto spesso la scelta corretta è quella di reclutare un Interim CFO senza appesantire l’organizzazione con risorse a tempo indeterminato; le PMI, oltre a beneficiarne operativamente, potrebbero internalizzare un patrimonio di cultura finanziaria, tecnologica e gestionale che perdurerebbe nel tempo, molto oltre la permanenza della figura inserita all’interno dell’organizzazione. 

 

Tim Management si avvale di una rete di professionisti competenti selezionati nel tempo e ordinati nel network per funzione e settore. Assistiamo le organizzazioni e gli imprenditori nella ricerca e nella selezione di figure come l’Interim CFO, che possono veramente impattare sulle performance aziendali, essendo operativi in tempi brevissimi e apportando valore all’organizzazione. 

 

Chief Risk Officer (CRO) o RISK MANAGER, cosa fa e perché è importante

Negli ultimi anni, per molte aziende si è rivelato vitale l’utilizzo della tecnologia per migliorare i processi decisionali e operativi, ivi inclusi il monitoraggio delle performance interne e lo sviluppo di canali digitali per la vendita o per facilitare la relazione con i clienti. Da questo nasce la necessità di gestire in sicurezza i dati aziendali e quelli dei clienti; le aziende si sono evolute e il cambiamento le ha mantenute competitive ma le ha anche rese più complesse e più vulnerabili sia dal punto di vista operativo che strategico. 

Per questo è cresciuta l’importanza di figure come il Chief Risk Officer (CRO) o il Risk Manager, che sono diventate fondamentali e a volte imprescindibili per il corretto funzionamento di un’azienda. 

Il compito principale del Risk Manager è quello di analizzare e definire quali sono i principali rischi per l’azienda e di mantenerla conforme a tutte le normative vigenti.

Oltre alla compliance, i Risk Manager si occupano di una molteplicità di altre attività come ad esempio individuare le polizze assicurative necessarie, garantire la sicurezza dell’IT, prevenire le frodi, attivare gli audit interni ed esterni, si tratta di attività importanti e interconnesse, tutte collegate alla mitigazione dei rischi.

È altresì compito del Risk Manager, offrire una consulenza a 360 gradi riguardo la gestione del rischio. Ad esempio migliorare la cybersecurity dell’azienda oppure prevedere qualsiasi cambiamento economico, sociale, legislativo che potrebbe mettere a rischio l’operatività e il business dell’azienda.  

La figura del Risk Manager è quindi per sua natura molto elastica, le sue funzioni si dilatano e cambiano in modo eterogeneo, a seconda delle esigenze aziendali. Questa elasticità del ruolo permette al CRO di svolgere con successo le sue mansioni sia come dipendente che come consulente esterno – specialmente nei casi in cui l’impresa non abbia le risorse per un manager interno oppure la necessità di internalizzare e/o formare una figura di questo tipo, ma anche quando non ci sia il tempo per cercare un professionista da integrare nel team.

Va detto che nelle realtà più consolidate e strutturate è ormai normale la presenza di un vero e proprio team a supporto del CRO, per individuare e analizzare il rischio, per scegliere le metodologie e gli strumenti più idonei e per aiutare a diffondere nell’organizzazione la cultura del rischio. 

 

Chief Risk Officer (CRO): chi è e cosa fa il risk manager

Il Chief Risk Officer (CRO) o il Risk Manager deve innanzitutto raccogliere dati per poter individuare i rischi interni ed esterni all’azienda. La fase di documentazione è quindi propedeutica e fondamentale per poter definire il profilo di rischio dell’azienda e programmare al meglio le attività future.

A seguire è necessaria un’analisi dei principali indicatori di rischio (KRI), valutando le conseguenze di diversi possibili scenari (what-if analysis), come ad esempio una violazione di dati, una perdita sostanziale di profitto, danni all’inventario ed ogni attività che sia riconducibile ad un danno economico – ma anche ad esempio reputazionale – per l’azienda. 

Nelle fasi successive il CRO valuta le politiche e le procedure di mitigazione del rischio in essere in azienda, prevedendo l’implementazione di ulteriori procedure in caso di criticità o di carenza in alcune aree (in questo caso si parla di vulnerability assessment), aggiornando di conseguenza la risk policy aziendale.

Al termine di tutti i controlli il CRO opera i cambiamenti necessari che possono consistere sia nell’istituzione di nuovi protocolli operativi che nella stipulazione di nuove coperture assicurative.

È possibile che alcuni rischi non possano essere evitati: un esempio è sicuramente il rischio legato all’andamento dei mercati finanziari. In questo caso il ruolo del CRO sarà quello di stabilire il livello di rischio che un’azienda è disposta a sostenere (risk appetite). In questo modo una possibile fluttuazione, pur non sempre prevedibile ed in alcuni casi non completamente gestibile, causerà dei danni calcolati, non mettendo a repentaglio altre funzioni aziendali. 

 

I vantaggi per l’azienda che sceglie di inserire nell’organizzazione il CRO

Il CRO o il Risk Manager può incidere positivamente in molte aree, ad esempio prevedendo i seguenti rischi:

  1. Strategia: A livello strategico avere un risk management efficace può migliorare la competitività e il posizionamento dell’azienda sul mercato. Avere un risk assessment completo può far acquisire un vantaggio competitivo, in caso di imprevisti, rispetto alla concorrenza.
  2. Finanza: A livello di finanza un buon risk management si traduce, in caso di un costo imprevisto, nel continuare ad avere a disposizione la liquidità sufficiente per il corretto funzionamento dell’azienda.
  3. Globalizzazione: A livello globale un risk management efficace calcola,, a seconda dell’azienda e del settore, le variabili e gli accadimenti che potrebbero impattare il modello di business, spaziando da aspetti economici, a quelli politici, tecnologici, e perfino sociali delle varie nazioni e aree geografiche 
  4. Operatività: A livello operativo un buon risk management prevede i nodi operativi più importanti e ne stabilisce un’alternativa in caso di necessità. Questo permette il corretto funzionamento dell’azienda in caso di imprevisti, problemi logistici e di forniture e guasti sulle linee produttive. 

 

Gestione dei rischi nell’era digitale

Molte aziende si sono dovute attrezzare per gestire i dati dei clienti seguendo una normativa che negli ultimi anni ha attraversato diverse fasi di cambiamento, fino alla recente introduzione di aggiornamenti fondamentali per normativa sulla GDPR 2022, allo stesso tempo le aziende hanno anche automatizzato e digitalizzato molti processi che storicamente venivano gestiti in altro modo.

Sono via via emersi nuovi strumenti come il cloud, i big data, l’ intelligenza artificiale, l’IoT (Internet of Thing), il machine learning, tutte tecnologie complesse che devono essere integrate correttamente nei sistemi e nei processi aziendali e che poi vanno anche protetti dalle aziende che li sviluppano o che li utilizzano come elementi fondamentali per l’innovazione dei loro modelli di business e per lo svolgimento di funzioni nuove o di quelle tradizionali che si sono digitalizzate. 

A una tale velocità dell’adozione di nuove tecnologie spesso però non è stata accompagnata da un eguale sforzo in tema di sicurezza e di gestione del rischio.

Le piccole medie imprese sono il cuore pulsante dell’Italia, ma sono spesso proprio quelle che faticano di più nell’adozione di misure di prevenzione del rischio digitale.A causa della scarsità e inadeguatezza delle risorse organizzative ed economiche viene spesso tralasciata l’importanza del tema del rischio digitale, rendendo quindi vulnerabili le PMI e i loro stakeholder. 

Molte aziende spesso a carattere familiare vedono ancora la tutela del rischio come un costo e non come un’opportunità e il cambio culturale non è semplice. 

Ci sono alcuni fattori critici riscontrati in modo diffuso:

  • Difficoltà nella raccolta e mappatura dei dati;
  • Mancanza di sensibilizzazione sul rischio da parte dei dipendenti;
  • Mancanza di sponsorizzazione da parte del top management;
  • Difficoltà di comprensione della normativa;
  • Mancanza di Risk Manager competenti;
  • Inadeguatezza del budget. 
  • Inadeguatezza delle soluzioni tecnologiche di protezione 

Il mondo sta cambiando, diventando sempre più tecnologico e sempre più globale. Di conseguenza le aziende devono aggiornarsi sempre più velocemente alle nuove normative ed ai macro fattori esterni. 

L’inserimento nell’organizzazione di una figura come il CRO o il Risk Management aiuta a prevedere questi fattori e a ridurre l’esposizione ai rischi, agevolando il corretto funzionamento dell’organizzazione e contribuendo alla longevità dell’azienda. 

Come illustrato la soluzione migliore non è sempre quella di reclutare un CRO a tempo indeterminato ma per molte PMI è quella di inserire un Interim CRO esperto in grado di colmare le lacune dell’azienda e di implementare velocemente ed in maniera efficace una corretta politica di gestione dei rischi aziendali e di sviluppare i processi e gli strumenti adatti a tenerla sempre sotto controllo, lasciando poi la gestione corrente del rischio al management interno.

TIM M. mette a disposizione il suo network di partner e manager esperti per identificare i migliori CRO sul mercato. Grazie all’ esperienza maturata in oltre 30 anni e alla qualità dei nostri partner, siamo in grado di supportare efficacemente l’imprenditore e i suoi advisor nella ricerca di un Chief Risk Officer (CRO) o di un Risk Manager esperto del settore e di renderlo operativo in azienda in tempi brevissimi.