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La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Cash is reality: perché il fatturato è vanità, il profitto è razionalità ma la liquidità è concretezza

Nel corso degli ultimi anni, all’interno degli orizzonti economico/patrimoniali e finanziari, le dinamiche dei flussi monetari hanno ottenuto finalmente una maggiore attenzione da parte del management, degli investitori e degli analisti.

 

Il cash flow, o flusso di cassa, è quindi la componente finanziaria più importante per un’azienda: la mancanza di liquidità può arrivare a mettere in pericolo la sua sopravvivenza, decretando il successo, la crisi, o addirittura la liquidazione delle sue attività – da qui, prende forma l’affermazione cash is reality. In questo articolo cerchiamo di capire le ragioni per cui la cassa sia un indicatore essenziale dell’attrattività e della salute di un’impresa.

La realtà del cash flow e la sua funzione

Il cash flow è l’indicatore che permette all’impresa di tenere sotto controllo l’andamento della liquidità, che è utilizzata per pagare i creditori; i dipendenti; acquistare materiali o attrezzature e molto altro. Monitorare il flusso di cassa è vitale: indica le variazioni positive o negative della liquidità dell’azienda che si verificano in un certo periodo di tempo. Altrettanto importante è dotarsi di strumenti che consentano l’elaborazione di previsioni di tesoreria.

 

Nonostante l’azienda possa essere in grado di generare ampi margini di profitto, non sono esclusi scenari di sofferenza di liquidità causati da un cash flow negativo: ottimizzare la gestione dei flussi di cassa è uno dei principali obiettivi a cui il Chief Financial Officer deve tendere nelle realtà in cui opera indipendentemente dalle dimensioni aziendali. 

 

Un CFO (o il professionista delegato a questo compito) deve essere in grado di stimare – come affermato poc’anzi – i flussi di cassa entro un certo periodo temporale: solo così sarà in grado di negoziare tempestivamente le eventuali coperture necessarie a coprire i deficit di liquidità; sarà di contro in grado di prevedere impieghi più remunerativi per la eventuale liquidità giacente sui conti correnti.

 

Lo scopo finale è quello di realizzare profitti e, allo stesso tempo, mantenere un cash flow positivo, fisiologico e strutturato. Solo facendo questo si potrà avere un’attività resistente nel tempo.

 

L’azienda che non pianifica con attenzione il cash flow può trovarsi, suo malgrado, in situazioni di tensione finanziaria che possono minacciare la sopravvivenza della stessa.

 

Come gestire al meglio il cash flow: i 5 punti chiave

 

Se la gestione aziendale deve puntare ad avere la giusta liquidità che gli permetta sia di pagare le proprie spese che di effettuare eventuali investimenti necessari per sostenere la crescita del business, è necessario che il CFO adotti una gestione efficace su più livelli:

 

  1. Individuare e tenere sotto controllo il risk management per prevenire possibili tensioni finanziarie, valutando l’impatto della stagionalità delle vendite e degli acquisti o l’incertezza economica legata agli investimenti compiuti in passato.

 

  1. Pianificare tutte le dilazioni a clienti e fornitori in modo che i flussi di incasso siano positivi e costanti nel tempo. È opportuno ipotizzare, nel calcolo del cash flow, una percentuale di insoluti, ovvero di incassi che con buona probabilità non avverranno: in questo modo, si potranno evitare brutte sorprese.

 

  1. Aggiornare periodicamente i dati del budget per garantire una stima più affidabile possibile del cash flow. Le previsioni di acquisti, vendite, investimenti in immobilizzazioni e operazioni finanziarie hanno impatti significativi sui flussi di cassa in un orizzonte temporale di breve termine

 

  1. Gestione oculata del capitale circolante netto. Valori non fisiologici degli elementi del capitale circolante netto possono determinare un drenaggio di liquidità ovvero una indisponibilità di risorse necessarie per la gestione corrente del business.

 

  1. Digitalizzare la gestione del cash flow. Integrare nel sistema gestionale software per ridurre o azzerare il rischio di liquidità; piattaforme e servizi di proiezione della tesoreria e del cash flow, offrono al CFO la capacità di ottimizzare la gestione finanziaria, contenendo gli oneri relativi. Con la gestione del cash flow divenuta sempre più strategica in tempi di incertezza, la tecnologia si dimostra ancora una volta un’alleata sui quali aziende e CFO possono fare affidamento. 

 

I mercati competitivi attuali sono sempre più sfidanti per cui  diventa indispensabile esaminare tutte le variabili per definire gli obiettivi da raggiungere. Per questo, sempre più spesso le PMI ricorrono al supporto di “interim” CFO, professionisti che, grazie alla loro esperienza maturata in situazioni analoghe, possono facilitare lo sviluppo di strategie vincenti in termini sia economici che finanziari.

 

Collaboro da tempo con TIM Management, una società che da più di 30 anni fornisce interim manager C-Level esperti: la soluzione “temporary” offre significativi vantaggi alle aziende in quanto – senza appesantire il conto economico con costi fissi – permette di incrementare il bagaglio di competenze dei manager interni che, dopo un periodo di affiancamento, riprenderanno in mano le redini del business.

 

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Buona lettura

Il futuro non è più quello di una volta? Il CEO deve saperlo affrontare con successo

Il mondo di oggi, ma soprattutto il futuro di domani, richiedono agli imprenditori e ai CEO di avere non solo capacità di resilienza specifiche per la propria azienda ma di saper ampliare il proprio sguardo e il proprio bagaglio di competenze per prepararsi alle sfide dell’era post-COVID-19.

 

Nel corso della pandemia, le aziende si sono ampiamente adattate, spesso con successo, a nuovi modi di lavorare, abbracciando la digitalizzazione e riorganizzando le loro catene di approvvigionamento. Tutto questo è stato necessario, ma oggi non è più sufficiente.

Il futuro prossimo della leadership, nella “nuova normalità”, presuppone prontezza e disponibilità nel ripensare il modo in cui si opera e persino il motivo per cui si esiste: è necessaria la capacità di fare un passo indietro, considerando con mente aperta una prospettiva più vasta, per disegnare l’azienda del futuro e saper trovare le corrette strategie di crescita e sviluppo. 

Gli anni precedenti hanno rivelato e accelerato una serie di tendenze che avranno un ruolo sostanziale nel plasmare la futura economia globale.

5 punti chiave da affrontare, anche nella propria Impresa

Secondo i dirigenti globali intervistati da McKinsey, esistono cinque capisaldi da considerare come stella polare mentre si cerca di rafforzare le proprie difese e guadagnare terreno sui rivali:

 

  • Centrare le strategie sulla sostenibilità. Per quanto possa sembrare ripetitivo dirlo, la sostenibilità deve essere affrontata in modo sistemico, così come è avvenuto recentemente per la digitalizzazione, perché solo così potrà diventare un’importante fonte di vantaggio competitivo a lungo termine. Una possibilità concreta potrebbe essere quella di investire in tecnologie che assorbono carbonio dall’atmosfera (la cosiddetta “Carbon Capture and Storage”).
  • Trasformarsi con il Cloud. Software, database, server e reti: il potenziale del cloud per aumentare la creazione valore nel processo di innovazione è sempre più chiaro, ma ora le sue capacità sono diventate realtà, consentendo velocità e scalabilità impensabili anche solo qualche anno fa. Entro il 2030, potrebbero essere messi in gioco più di un trilione di dollari di investimenti ed è probabile che i primi innovatori potranno avvantaggiarsi in maniera significativa rispetto alla concorrenza.
  • Formare i propri dipendenti. Il talento dei propri dipendenti è la risorsa naturale più importante e le aziende leader stanno dimostrando di sapere come svilupparlo e trarne un vantaggio competitivo. Allenano e responsabilizzano piccoli team; distribuiscono il talento in base alle competenze e non alla gerarchia; e colmano le lacune attraverso la formazione e lo sviluppo. In conclusione: una migliore esperienza e un maggior coinvolgimento dei dipendenti  portano a risultati migliori.
  • Anticipare i cambiamenti con velocità. Se la pandemia ha costretto molte organizzazioni a muoversi rapidamente, ora la necessità è quella di pensare alla velocità come a un muscolo da sviluppare e mantenere, integrandola nell’organizzazione e investendo consistentemente in nuove tecnologie di collaborazione e gestione dei processi.
  • Agire con un ‘purpose’. Gli stakeholders e i dipendenti, in particolare, vogliono che le aziende con e in cui operano abbiano un purpose – uno scopo da raggiungere – e che quest’ultimo sia motivante e socialmente positivo. I dipendenti se ne andranno se non lo troveranno. Le aziende che agiscono con uno scopo hanno maggiori probabilità di generare valore a lungo termine e le persone si aspettano che le imprese facciano di più in campo sociale e per la sostenibilità; per questo gli amministratori delegati devono considerare attentamente questo aspetto e saper cristallizzare il ‘purpose’ aziendale in modo da poterlo comunicare con efficacia, all’interno e all’esterno dell’azienda.

 

In sintesi, le PMI, ma anche le grandi corporate, non assomiglieranno, o almeno non dovrebbero assomigliare, a quelle esistenti nel 2019: dovranno essere più flessibili, meno gerarchiche e operare in modo più diversificato. 

Il modo in cui queste cinque priorità vengono implementate possono variare da azienda ad azienda; alcune saranno più importanti di altre, a seconda del mercato, del settore e della posizione competitiva dell’azienda.

 

Per questo motivo TIM Management offre alle PMI il supporto di CEO Interim esperti che, grazie alla loro esperienza sviluppata in situazioni analoghe e a competenze verticali sui settori di riferimento, possono facilitare l’implementazione di una strategia vincente e garantire la sopravvivenza dell’impresa nel medio-lungo periodo. 

Da più di 30 anni il servizio messo a disposizione è veloce, con contratti flessibili e costi che non appesantiscono il conto economico; l’inserimento di un CEO Interim concorre ad aumentare il bagaglio di competenze e capacità dei manager interni che, dopo un periodo di affiancamento produttivo, riprenderanno con efficacia in mano le redini del business.

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Il Work Well-being Manager pone l’essere umano al centro della gestione delle Risorse Umane

La transizione digitale sta facendo uscire di scena l’essere umano? Tutt’altro: lo sta rimettendo al centro grazie alla richiesta di una maggiore attenzione al benessere sul posto di lavoro.

 

Nella Società 5.0 (concetto nato in Giappone nel lontano 2016), la coesistenza uomo-macchina è la chiave per potenziare l’industria; per questo nel futuro prossimo, è necessario preparare i manager a prevenire e ridurre lo stress da lavoro, e poter gestire sempre più efficacemente il personale aziendale. 

La funzione del manager HR sta assumendo un ruolo sempre più centrale nella definizione della strategia aziendale. In un contesto dove le esigenze dei talenti sono sempre più articolate e differenziate, le Risorse Umane sono chiamate a guidare il cambiamento per evitare che le aziende ne vengano travolte.

È molto difficile per le imprese, soprattutto se manifatturiere, fare propri questi messaggi, ma i progetti di espansione e di crescita devono necessariamente partire da qui: well-being anche negli ambienti di lavoro, smart-working, strumenti di welfare, employer branding e comunicazione costante dei valori aziendali.

Nasce così l’esigenza di inserire nell’organizzazione una figura professionale inedita con l’obiettivo di fissare nuovi standard nel campo del benessere sul posto di lavoro: il Work Well-being Manager.

 

Il manager del futuro

Per l’azienda che si confronta con scenari sempre più inediti e sfidanti è necessario sviluppare una grande capacità di resilienza per essere in grado di affrontare le nuove sfide con gli strumenti e il team adeguati. In questo contesto mutevole il board, o l’imprenditore stesso, debbono saper cogliere tempestivamente i segnali che evidenziano un cattivo stato di salute dell’azienda, prima che sia troppo tardi.

Ma come deve essere un manager resiliente? Quando un Manager esperto viene inserito in una realtà aziendale in sofferenza è in grado di capire immediatamente quali leve possono aiutare i vertici aziendali a identificare soluzioni innovative e formule di business alternative, adeguate alle situazioni e alle opportunità che l’azienda si trova ad affrontare. Per questo, è fondamentale che il Manager del futuro abbia un approccio proattivo; ovvero che sappia identificare le azioni che i manager interni possono operare al fine di ridurre i fattori di crisi e di stress nei lavoratori e nell’azienda.

Visto il forte aumento di problemi personali legati all’ambito lavorativo è sempre più opportuno identificare una figura responsabile del benessere dell’organizzazione: il Work Well-being Manager; un Manager incaricato a garantire che le condizioni di lavoro quotidiane siano eque e il più possibile salutari per ogni persona di un’azienda, in modo che la qualità complessiva della vita sul lavoro migliori all’interno dell’organizzazione.

 

Il profilo professionale del Work Well-being Manager

Il Work Well-being Manager (WWM) può essere descritto come un manager delle Risorse Umane che lavora come supervisore di tutti i manager e dei coordinatori sul posto di lavoro, concentrandosi sugli aspetti che coinvolgono il benessere dei dipendenti e le relazioni tra loro.

Per capire meglio le competenze e le abilità chiave che il WWM dovrebbe possedere e padroneggiare, è opportuno partire dal quadro generale delle competenze di un manager HR: 

 

  • Comunicazione. Le capacità di comunicazione sono essenziali per il manager delle risorse umane, soprattutto quando si tratta di interagire efficacemente con i fornitori esterni, i leader sindacali, i funzionari pubblici, i dipendenti, i potenziali dipendenti e i colleghi. Il manager delle risorse umane sa perfettamente adeguare i contenuti e lo stile della comunicazione al pubblico e alla situazione.
  • Pensiero analitico e critico. Un HR manager deve saper analizzare con competenza tutti i processi decisionali con un potenziale impatto sulle performance, anche in aree differenti. La capacità di analizzare le situazioni e vedere le implicazioni delle decisioni da una prospettiva critica è particolarmente utile per i manager HR. Essi sono anche chiamati a rappresentare l’azienda in questioni che riguardano controversie di lavoro, il che significa che devono essere in grado di far valere in tutte le sedi le ragioni dell’azienda.
  • Capacità di costruire relazioni. Creare un team di lavoro coeso, per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione e sostenere lo sviluppo della forza lavoro, è una delle competenze professionali più importanti per un manager responsabile delle risorse umane. Creare rapporti interpersonali e trasmettere credibilità ai dipendenti è fondamentale per il successo di un HR manager e, di conseguenza, dell’azienda stessa.
  • Qualità di leadership. Essendo responsabili della creazione di piani strategici per l’organizzazione e per la forza lavoro complessiva, gli HR manager devono possedere abilità di leadership, in particolare nel disegnare e gestire il piano strategico per il team gestionale dell’azienda, anche in presenza di manager di livello gerarchico superiore al proprio.

 

A queste competenze di base, per un WWM, si devono aggiungere specifiche conoscenze, skills e competenze.

 

  1. Le conoscenze si riferiscono alle aree di organizzazione, istruzione, management, leadership ed occupational health psychology; ovvero quell’area interdisciplinare della psicologia che si occupa della salute e della sicurezza dei lavoratori.
  2. Le skills sono classificate come: individuali, di team e organizzative; sono skills relative alla capacità di fornire all’organizzazione struttura e meccanismi operativi efficaci, in particolare identificando le priorità e le deleghe necessarie al buon funzionamento dell’organizzazione, garantendo a tutti i dipendenti responsabilità chiare e autonomia nello svolgimento dei compiti.
  3. Le competenze manageriali richieste sono professionali, ma anche e soprattutto sociali e personali.

 

La figura professionale del Work Well-being Manager è sicuramente nuova e nasce con l’obiettivo di fissare standard elevati nel campo del benessere sul posto di lavoro. Può essere una figura manageriale separata o essere integrata nelle responsabilità del HR Director.

Il ruolo del manager delle Risorse Umane o più specificamente, del WWB manager, non è solo quello di essere un buon comunicatore verso i dipendenti ma anche quello di saper agire efficacemente come intermediario tra i dipendenti e i manager. 

La creazione della cultura del benessere è orientata ai risultati: sono gli uomini e le donne del management team che fanno succedere le cose in azienda e che quindi diventano gli artefici e i motori del cambiamento.

 

In conclusione, l’allineamento del team manageriale all’obiettivo è fondamentale e permette all’azienda di fare il salto di qualità, migliorando non solo il benessere ma anche l’engagement dei dipendenti, la formazione, la capacità di leadership e la cultura del rispetto dell’individuo e della sostenibilità nel business.

Per attivare il cambiamento può essere opportuno inserire un Interim Manager che si occupi del benessere del personale, oltre che supportare la gestione delle risorse umane. Questa è una soluzione particolarmente indicata per tutte quelle PMI in difficoltà che spesso non riescono a riconoscere gli errori commessi, o che raramente hanno nella loro organizzazione le competenze adeguate ad affrontare i periodi di crisi, discontinuità e stress.

 

Per questo motivo TIM Management offre il supporto di Manager HR ad Interim con esperienza nel settore, che hanno già vissuto e superato con successo situazioni analoghe, e che sono in grado di fornire una vera e propria guida a tutte quelle aziende che hanno bisogno di gestire transazioni e ristrutturazioni dell’ufficio del personale esistente, o di disegnare e avviare diversi progetti che riguardino il personale (i.e. welfare aziendale, regolamenti, lavoro agile, comunicazione interna), o aspetti meramente organizzativi, anche in tempi brevissimi.

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Le priorità dei CEO in tempi di cambiamento

Gestire organizzazioni complesse oggi è molto più difficile di quanto non fosse qualche anno fa, anche solo nel 2019. Il compito più difficile per i CEO è definire le priorità, e farlo correttamente non è mai stato più importante di oggi.

Prendiamo spunto dalla ricerca annuale sui CEO di McKinsey per condividere le priorità più importanti nelle agende dei CEO di tutto il mondo. Sono le mosse che i leader stanno adottando per rafforzare le difese e guadagnare terreno sui rivali, non è un’agenda puramente difensiva, che molte aziende anche nel nostro paese stanno abbracciando.

Resilienza: la resilienza emerge come il fattore vitale per le aziende che si trovano a operare in un mondo volatile e sempre in cambiamento. Dopo la pandemia l’inflazione sembra essere qui per rimanere a lungo, le catene di approvvigionamento si sono impoverite, specialmente nel settore energetico; sono tutti fattori che spingono le aziende a lavorare su tutte le dimensioni della resilienza: finanza, operations, tecnologia, organizzazione, modello di business e reputazione. Per i CEO, la domanda principale oggi è: quanto è resiliente la tua azienda?

Coraggio: molte aziende in situazione di crisi tendono a concentrarsi su una strategia conservativa e puramente difensiva, ma questo potrebbe essere il modo migliore di perdere opportunità. I leader e le aziende migliori riescono a conciliare gli opposti: essere prudenti nel gestire il ribasso ma allo stesso tempo perseguire coraggiosamente lo sviluppo. Sono i leader che pensano al prossimo decennio, non al prossimo mese, e che spingono le loro organizzazioni a pensare alle opportunità e a reimpostare la strategia alla luce dell’attuale volatilità. Come afferma un amministratore delegato intervistato da McKinsey, “non voglio confrontare le nostre prestazioni con le aziende del settore, voglio reinventare il settore”.

Diversificazione: più della metà dei leader considera la costruzione di nuovo business una delle prime tre priorità. Il terreno più fertile per la costruzione di nuove imprese sono le tecnologie verdi; la ricerca di McKinsey ha identificato 11 aziende in questo settore il cui valore collettivo potrebbe raggiungere i 12 trilioni di dollari in pochi anni. In questi tempi di contrazione della disponibilità di finanziamenti per le startup, il CEO delle aziende consolidate ha un vantaggio: può dotare le nuove iniziative delle risorse necessarie per il successo in autonomia e farlo internamente o in una logica di open innovation.

Tecnologia: è un fattore particolarmente importante quando si cercano nuove opportunità di business sostenibili e lo è allo stesso modo per tutte le aziende non tecnologiche che stanno operando una transizione digitale. Ma questo è solo l’inizio; la tecnologia è in continua evoluzione e offre molte nuove opportunità ai CEO che desiderano trasformare il proprio business. 

Sostenibilità: la strada verso emissioni nette zero negli ultimi anni ha preso una direzione inaspettata. Gli impegni dei leader aziendali per ridurre quasi il 90% le emissioni di CO2 segnalano che il settore privato è finalmente impegnato per la sostenibilità. E sono impegni che continuano, nonostante i problemi emersi negli ultimi mesi: aumento dell’inflazione, guerra in Europa, insicurezza energetica e una potenziale recessione globale. Ci sono alcune notizie sorprendentemente buone: gli obiettivi di sostenibilità, competitività economica, convenienza e sicurezza nazionale coincidono come mai prima d’ora, i CEO più attenti lo sanno e stanno agendo di conseguenza. 

Risorse Umane: per realizzare tutto questo i leader devono saper coinvolgere attivamente i dipendenti. Negli ultimi anni, il contratto con i lavoratori è diventato un po’ troppo transazionale: ti paghiamo, ti presenti, a domani. Sulla scia della pandemia di COVID-19 e della successiva ‘great resignation’, i CEO devono saper coinvolgere i dipendenti. Il modello di lavoro ibrido giusto può essere una delle chiavi, l’obbligo di trascorrere obbligatoriamente delle giornate di lavoro in ufficio, per esempio, diventerà obsoleto molto velocemente, senza nuovi incentivi. Gli amministratori delegati devono riflettere attentamente sull’ufficio del futuro, un luogo in cui i lavoratori vogliono essere, per vedere gli amici, presentare nuove idee e trovare un significato nel loro lavoro. 

Per maggiori dettagli sulla ricerca di McKinsey e scaricare il report completo cliccare qui.

Tutte queste priorità sono importanti anche per le PMI, anche di più che per le grandi corporate data la loro intrinseca maggior vulnerabilità, ma per attuarle richiedono competenze ed esperienze che raramente sono presenti nelle organizzazioni delle piccole e medie aziende.

Per questo sempre più PMI ricorrono al supporto di un CEO Interim Manager esperto che, grazie alla sua esperienza maturata in situazioni analoghe e a una competenza verticale sul settore di riferimento, può facilitare lo sviluppo di una strategia vincente che garantisca la sopravvivenza dell’impresa nel medio periodo senza appesantire il conto economico con costi permanenti e aumentando il bagaglio di competenze dei manager interni che, dopo un periodo di affiancamento produttivo, riprenderanno le redini del business. TIM Management fornisce da più di 30 anni interim manager esperti alle aziende, velocemente e con contratti estremamente flessibili.

Contatta TIM Management per informazioni.

Vincere in tempi di Incertezza: l’imperativo della resilienza

Tra la pandemia di Covid-19, la crisi climatica e l’incertezza geopolitica, il mondo sta attraversando dei cambiamenti sempre più rapidi, imprevedibili e senza precedenti. Nonostante questo, in tutti i settori, una buona parte delle aziende è rimasta costantemente concentrata su obiettivi a breve termine, presumendo, in maniera poco lungimirante, che le condizioni commerciali sarebbero presto tornate regolari.

Sono molti, infatti, i manager che si trovano oggi a dover ammettere che la loro azienda sta vivendo un momento particolarmente critico. Le PMI che stanno sperimentando momenti di difficoltà si stanno moltiplicando, trovandosi a soffrire per il caro-energia, per l’inflazione, per l’aumento dei tassi di interesse e per le difficoltà di approvvigionamento di varie filiere.

Per prosperare nell’anno nuovo, così come nel prossimo decennio, per un’azienda è necessario sviluppare la capacità di resilienza: ovvero quelle abilità di resistere a minacce o cambiamenti imprevedibili, che permettono di affrontare la crisi e vincerla, uscendone ancora più forti.

Le 6 dimensioni della resilienza: oltre i dati finanziari

Se la continua rivoluzione digitale sta aumentando la disponibilità dei dati, il grado di connettività e la velocità con cui vengono prese le decisioni si porta dietro dei rischi; come ad esempio potenziali blocchi dei sistemi e violazioni della sicurezza.

Nell’ottica del potenziamento, secondo un recente studio di McKinsey, le aziende devono prendere coscienza dell’importanza di essere al contempo flessibili e prudenti, e mettersi nelle condizioni di poter far fronte a circostanze così mutevoli e impreviste con rapidità ed efficacia. Ma, allo stesso tempo, le imprese, che per abitudini consolidate tendono a privilegiare l’aspetto finanziario e le aree con più immediato impatto sul conto economico, devono cambiare mentalità se non vogliono compromettere il loro business e perfino la loro sopravvivenza nel medio termine.

Il mondo di oggi richiede agli imprenditori qualcosa in più della sola resilienza finanziaria; è necessario sviluppare una capacità di resilienza specifica in tutte le singole aree funzionali in cui si sviluppa un’azienda, ecco come:

 

  1. Resilienza finanziaria. Essere resilienti sotto l’aspetto finanziario vuol dire saper diversificare gli investimenti dell’azienda, bilanciando gli obiettivi a medio e lungo termine, per proteggerla dal deterioramento dei mercati e dal ridotto accesso al capitale; dalla minore capacità di ricorrere all’indebitamento; o, per gli istituti finanziari, dal rischio crescente delle perdite su crediti. Inoltre, in un contesto così incerto è molto più equilibrato cercare di aumentare i ricavi e migliorare la situazione competitiva, piuttosto che focalizzarsi solo sul controllo dei costi.
  2. Resilienza operativa. La resilienza nelle operations dell’azienda si esprime nel mantenere una solida capacità produttiva, in grado di adattarsi ai cambiamenti della domanda e rimanere stabile di fronte ai salti di produzione dovuti alla scarsità di materie prime, senza sacrificare la qualità del prodotto.
  3. Resilienza tecnologica. Investire in infrastrutture solide, sicure e flessibili, per gestire le minacce informatiche e i guasti, mantenendo e utilizzando dati sicuri e di alta qualità, rispettando la privacy, è quella che si definisce resilienza tecnologica. Allo stesso tempo, essere resilienti significa implementare progetti IT, grandi e piccoli, con qualità elevata, puntualità e in budget; restando al passo con le esigenze dei clienti, le sfide della concorrenza e i requisiti normativi.
  4. Resilienza organizzativa. Impostare regole e standard inclusivi e flessibili per la gestione dell’organizzazione, reclutando sempre i migliori talenti, trattandoli in modo equo e migliorandone in maniera sistematica le competenze; sono tutte le caratteristiche che permettono di creare e tenere in azienda, un team di persone resilienti, con conoscenze e competenze specifiche, capaci di lavorare al meglio in condizioni mutevoli e sfidanti.
  5. Resilienza reputazionale. La velocità con cui la reputazione dell’azienda può cambiare e deteriorarsi, agli occhi dei consumatori, degli stakeholders e dei dipendenti, sta aumentando. Per ogni imprenditore è fondamentale saper prevenire le crisi che potrebbero intaccare la credibilità dell’azienda, selezionando partner e fornitori in linea con i propri valori, agendo in modo coerente e comunicando in maniera trasparente; è particolarmente importante tenere sotto controllo e monitorare l’impatto ambientale e la sostenibilità dell’azienda e della sua filiera di business, a monte e a valle.
  6. Resilienza del modello di business. Per garantire la crescita sostenibile dell’impresa, è indispensabile essere in grado di attuare strategie in grado di evolvere i modelli di business, mantenendo alta la competitività e la capacità di adattarsi ai cambiamenti, soprattutto nei periodi di crisi.

Ma quali azioni si possono intraprendere per misurare e migliorare la propria resilienza?

Gli step del processo di resilienza

Costruire un’azienda resiliente è un processo che non richiede di un approccio unico e standardizzato: ogni realtà deve agire in modo coerente con i propri obiettivi, con il proprio settore e le proprie dimensioni. Il primo passo da fare è comprendere ciò di cui si ha bisogno per il futuro e attuare cambiamenti sensati.

 

  • Svolgere un’analisi dell’ambiente esterno: bisogna chiedersi se il mercato sta crescendo o si sta riducendo in termini di numero di imprese e fatturato. Quali sono i rischi e quali le opportunità? Chi sono i concorrenti? Quali sono le previsioni future in merito all’andamento del mercato? Quali sono le policy pubbliche che lo regolamentano? Stanno cambiando?
  • Sviluppare un’analisi dell’ambiente interno: è importante capire se l’azienda è dotata delle risorse necessarie per intraprendere un piano di resilienza. Quali sono le competenze presenti in questo campo? Quali sono le figure che dovrebbero occuparsene in azienda? Ci sono le risorse per le innovazioni necessarie? Che meccanismi di controllo è necessario mettere in atto?
  • Definire un resilience plan: si deve necessariamente definire un piano d’azione concreto e avviare una mappatura dei rischi per l’impresa, corredata dalle azioni da svolgere per la gestione del rischio. Quali sono i rischi a cui è esposta la nostra azienda? Quanto è probabile che si verifichino? Come è possibile mitigarli o azzerarli? Come gestire la comunicazione in caso di emergenze?
  • Effettuare un monitoraggio efficace: una volta definito e cominciato a implementare il piano di resilienza, è necessario verificare che le soluzioni introdotte siano efficaci. In che modo queste soluzioni sono migliorabili? Come svolgere dei test periodici che permettano di verificarne l’efficacia?

 

In conclusione, un’azienda resiliente è in grado di elaborare i possibili scenari e individuare le modalità più adeguate per affrontarli e ripartire, ma è sempre il board o l’imprenditore stesso che, per primo, deve saper cogliere i segnali che evidenziano un cattivo stato di salute dell’azienda che guida. 

In questo caso l’inserimento temporaneo nell’organizzazione di un Interim Manager esperto può aiutare i vertici aziendali a identificare soluzioni innovative e formule di business alternative, adeguate alle situazioni e alle opportunità che l’azienda si trova ad affrontare.

Questa soluzione è particolarmente indicata per le PMI che raramente hanno all’interno dell’organizzazione le competenze adeguate ad affrontare i periodi di crisi e discontinuità; un manager esperto del settore, che ha già vissuto e superato con successo situazioni analoghe, è in grado di fornire una vera e propria bussola all’azienda per orientarsi verso la resilienza, nella tempesta della crisi.