La crisi energetica persiste. Quali le opportunità per le imprese europee?

La trasformazione industriale sostenibile è necessaria e la crisi energetica rappresenta senza dubbio una sfida per le imprese a livello europeo (se non a livello globale); una sfida che richiede una soluzione a lungo termine.

La crisi energetica persiste. Quali le opportunità per le imprese europee?

La trasformazione industriale sostenibile è necessaria e la crisi energetica rappresenta senza dubbio una sfida per le imprese a livello europeo (se non a livello globale); una sfida che richiede una soluzione a lungo termine. E come sempre, dietro ogni sfida si nasconde un’opportunità: quella di accelerare la transizione verso fonti di energia pulita e verso un business più sostenibile, ovvero che punti alla salvaguardia del pianeta ma senza trascurare quella dell’azienda stessa.

 

Non ci vorrà molto prima di vedere gli effetti che la crisi energetica avrà sull’Europa: sarà ricordata come un catalizzatore per la trasformazione o come una grande mancata opportunità per aziende ed imprenditori? Quello che è certo, è che la risposta avrà enormi implicazioni per tutta l’economia industriale europea.

Le conseguenze del conflitto Russia-Ucraina, iniziato nel febbraio del 2022, e la conseguente riduzione delle forniture di gas all’Europa hanno generato non poche preoccupazioni. Preoccupazioni diffuse sia a livello governativo che industriale. Questa situazione ha causato interferenze nel mercato del gas, con i prezzi all’ingrosso che hanno raggiunto livelli estremamente elevati. In particolare, in Germania, i prezzi sono aumentati fino a 22 volte rispetto ai livelli del 2019, mentre in alcuni altri paesi europei hanno superato i 15 volte.

Diretti interessati, analisti, ma anche semplici osservatori, hanno espresso preoccupazione per il possibile razionamento, i blackout e le conseguenze negative sull’economia.

Un’azione rapida ed efficace da parte dei governi dei singoli paesi e delle aziende dei comparti più a rischio (e va detto, anche le favorevoli condizioni meteorologiche), hanno evitato una catastrofe; l’economia europea ha superato le previsioni per il 2022, con un reale aumento del PIL dell’1,9% in Germania e di un ottimo +3,9% in Italia, rispetto all’anno precedente. Sarebbe un errore gravissimo, tuttavia, pensare che le aziende, specialmente nei settori più esposti, possano continuare ad avere successo – o anche semplicemente mantenere la performance attuale – grazie agli strumenti utilizzati finora e senza affrontare le sfide strutturali che il sistema energetico europeo (e globale) sta ponendo.

 

“La trasformazione ecologica non è solo una semplice opportunità di crescita, ma una necessità strategica imprescindibile per le aziende che vogliono continuare a competere efficacemente sul mercato europeo.”

 

Facciamo un esempio: la transizione dalle forniture di gas russo economico alle più costose importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) rivela la debolezza del sistema energetico europeo. Inoltre, l’Europa rimane dipendente da singoli fornitori per il 50% delle risorse essenziali, come i minerali delle terre rare e molti prodotti finiti. La sfida di ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 rimane una priorità urgente.

Si presenta così l’occasione di un cambiamento strutturale che possa affrontare con successo le sfide del sistema energetico europeo e renda l’economia competitiva per il futuro. L’industria deve continuare ad ottimizzare l’uso e l’approvvigionamento di energia, ma questo non risolverà i problemi strutturali che l’Europa e le aziende europee hanno sul fronte energia.

Le industrie, insieme ai governi nazionali e alle istituzioni europee, devono lavorare per trovare soluzioni innovative a lungo termine, utilizzando mercati e tecnologie sostenibili per affrontare l’offerta energetica e l’impatto delle emissioni di carbonio nell’atmosfera: il cambiamento climatico sta avendo conseguenze significative (ormai note) sulle aziende, dall’aumento dei costi di produzione, alle difficoltà sulle catene di approvvigionamento, fino all’aumento dei vincoli posti dalle norme ambientali più rigide che hanno l’obiettivo di mitigare gli effetti della crisi climatica. E’ facile prevedere anche un aumento dei costi di conformità per le aziende che non rispettano tali norme.

Pur non essendo la maggior responsabile delle emissioni globali di gas a effetto serra, l’Europa riveste un ruolo culturalmente importante che potrebbe metterla nella posizione di guida e riferimento per scelte di campo fondamentali e, di conseguenza, essere in grado di attivare e coinvolgere anche altre nazioni più riluttanti. In primis Stati Uniti e Cina, che rappresentano rispettivamente il 12,5% e il 33% di emissioni a livello globale (Fonte: CO2 emissions of all world countries, 2022 Report).

La maggior parte delle nuove tecnologie richiede certamente dei costi d’investimento iniziali maggiori – rispetto ai combustibili fossili – ma le nuove tecnologie garantiscono una maggiore stabilità nel business (i.e. rendendo indipendenti forniture e approvvigionamento da paesi, spesso politicamente instabili, che estraggono i combustibili fossili) ammortizzando la spesa nel lungo periodo. Dal punto di vista della competitività aziendale (in particolare considerando le opportunità di sviluppo in Europa, USA e Cina di eolico, solare e idrogeno verde), queste soluzioni offrono l’opportunità di una crescita economica esponenziale, grazie all’introduzione di tecnologie sempre più avanzate in grado di risolvere le problematiche dell’energia green, come ad esempio la produzione intermittente e la difficoltà di stoccaggio.

L’attuale situazione energetica presenta una sfida senza precedenti. L’industria europea però ha già dimostrato la sua resilienza in passato, superando tempeste come la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia di Covid-19. Una trasformazione “green” può rendere una potenziale catastrofe un’opportunità. Pertanto, l’azione è essenziale per garantire un futuro sostenibile ed economicamente competitivo per l’Europa.

 

La scommessa delle imprese europee: conquistare i mercati verdi in 6 fasi

Per essere competitive nei mercati a impatto zero, le aziende europee devono agire con decisione e coraggio. Sebbene l’energia sia alla base dell’economia (se fluttua il costo dell’energia, a effetto domino, i costi di produzione di tutti i beni variano), le imprese non possono permettersi di restare in attesa, ma è necessario che diventino protagoniste e motori del cambiamento, accelerando le proprie trasformazioni a impatto zero e sviluppando un portafoglio di prodotti sostenibili, destinati sia ai consumatori che alle altre imprese.

La buona notizia è che, secondo i risultati di un’indagine compiuta da Boston Consulting Group, la maggioranza delle aziende sta già dando elevata priorità alle soluzioni ecologiche. Ciò nonostante, per ottenere successo in questo settore emergente, è importante che le aziende (e i loro CEO) abbraccino una visione lungimirante e facciano della sostenibilità il fulcro delle proprie strategie di business.

A questo proposito, prendendo spunto dalla roadmap delineata da BCG e dal World Economic Forum vediamo com’è possibile ‘commercializzare’ la sostenibilità in sei fasi:

1. Capire la domanda futura e, in particolare,  la disponibilità dei propri target di riferimento a pagare di più per prodotti sostenibili; presupposto di base per progettare e commercializzare con successo un portafoglio di prodotti che abbiano un impatto positivo sull’ambiente e siano sostenibili a lungo termine.

2. Offrire ai consumatori un’alternativa sostenibile e consapevole ai prodotti convenzionali. È importante che le aziende si concentrino sull’identificazione della proposta di valore dei prodotti, riducendo le emissioni di carbonio. Questo significa trovare modi per ridurre l’impatto ambientale dei propri prodotti in tutto il loro ciclo di vita; dalla produzione alla distribuzione fino all’uso finale e allo smaltimento. Questa attenzione non solo diminuisce l’impatto ambientale, ma aumenta la fiducia e il valore del marchio nel cuore dei consumatori informati. La sostenibilità diventa così un vantaggio competitivo importante e una speranza di un futuro migliore per tutti noi.

 

“Le aziende di successo saranno quelle che investiranno in tecnologie pulite, promuovendo la sostenibilità attraverso tutta la loro supply chain e facendo leva su trasparenza e comunicazione aperta con i clienti, valutando in modo oggettivo e misurabile l’impronta di carbonio dei propri prodotti.”

 

3. Puntare sui clienti innovatori per avere successo nel mercato emergente delle soluzioni sostenibili. In diversi settori, la carenza di materie prime non fossili è una sfida importante per i clienti finali, ad esempio per l’acciaio “veramente” non fossile, che al momento è disponibile soltanto da un impianto sperimentale in Svezia. Anche i prodotti chimici e plastici non fossili sono ancora una nicchia di mercato, così come i progetti di decarbonizzazione dei produttori di cemento. Per motivare i clienti a investire in queste nuove soluzioni, le aziende dovranno stringere partnership strategiche con loro, coinvolgendo le intere filiere.

4. Adottare una strategia di prezzi-green. Le aziende saranno in grado di mantenere un equilibrio economico se riusciranno a produrre beni a bassa emissione di carbonio a un costo in linea con il prezzo di mercato e la loro marginalità attesa. Ma questo oggi non è sempre possibile quindi alcune aziende scelgono di scommettere sulle nuove tecnologie e fissare prezzi più elevati rispetto al mercato. In alternativa le aziende stanno esplorando modelli di business innovativi per ridurre l’impatto ambientale dei loro prodotti come ad esempio abbonamenti e modelli pay per use, che stanno guadagnando sempre più consensi tra i consumatori.

5. Formare partnership con fornitori, clienti, concorrenti e regolatori. Le aziende che lavorano a monte della filiera, per avere successo, dovranno ottenere il sostegno e la collaborazione dei loro clienti e degli altri attori del mercato. In alcuni settori, in cui la scarsità di offerta potrebbe diventare un ostacolo, i clienti a valle potrebbero essere pronti ad investire nella filiera per poter offrire prodotti a impatto zero. In questo modo sarà possibile lanciare sul mercato prodotti sostenibili con maggiore rapidità ed efficienza.

6. Intraprendere un percorso di trasformazione radicale all’interno della propria organizzazione. Non si tratta solo di definire una nuova strategia commerciale, ma di effettuare un vero e proprio cambio di mentalità a tutti i livelli dell’azienda. Questo richiederà l’acquisizione di nuove competenze, la definizione di nuovi incentivi, nonché la promozione di una collaborazione interna tra le diverse aree aziendali. Solo in questo modo le imprese saranno in grado di rimanere al passo con la concorrenza e cogliere le opportunità offerte dal mercato in evoluzione.

 

In questo quadro, i responsabili delle politiche europee, sia a livello nazionale che dell’UE, devono fare tutto il possibile per sostenere gli sforzi di trasformazione dell’industria poiché la creazione di mercati green richiederà requisiti di trasparenza ancora più rigorosi.

La celebre frase di Winston Churchill, “Non sprecate mai una buona crisi”, sembra adattarsi perfettamente alla situazione attuale dell’Europa, che si trova a fronteggiare una serie di sfide epocali. Nonostante i conflitti che imperversano ai suoi confini e la concorrenza sempre più agguerrita nel panorama industriale, sia le aziende che i governi europei hanno l’opportunità – e la responsabilità – di attuare una trasformazione radicale che garantisca la prosperità a lungo termine.

Nell’ambiente aziendale il lato positivo della trasformazione è la creazione di nuove opportunità di differenziarsi e superare la concorrenza. Per farlo, ovviamente, i CEO devono guidare il cambiamento e concentrarsi sulle giuste priorità.

L’inserimento di un Interim Manager C-Level esperto, può fare la differenza per le aziende che si trovano a dover affrontare un periodo di trasformazione. Grazie alla loro vasta esperienza e conoscenza dei settori specifici, questi professionisti con la loro esperienza e le competenze specifiche, possono aiutare le aziende a capitalizzare le opportunità che derivano dal cambiamento, posizionandole per il successo e la redditività a lungo termine.

TIM Management fornisce alle imprese i servizi di C-Level interim altamente qualificati, in grado di facilitare l’implementazione di strategie vincenti e garantire il successo dell’azienda a medio e lungo termine, contribuendo a rafforzare le competenze manageriali e di leadership del consiglio di amministrazione e dell’organizzazione nel loro insieme.

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Cresce ancora l’utilizzo per gli Interim Manager in Europa, ma l’Italia è fanalino di coda nella loro retribuzione

La ricerca annuale di INIMA, il network internazionale delle associazioni di Interim Manager, offre lo spunto per un confronto con gli altri paesi europei.

 

Il 2022 è stato l’anno di uscita dalla crisi pandemica ma è stato caratterizzato negativamente dal presentarsi di situazioni di difficoltà per i mercati mai affrontate negli ultimi anni, quali l’inflazione e la tensione provocata dal conflitto in Ucraina. 

Affrontare un periodo così complesso, di perdurante difficoltà, ha richiesto alle aziende una grande flessibilità e resilienza e provocato un impatto significativo sull’organizzazione e sul management, aumentando la richiesta di manager competenti e formati. 

Questo ha portato a un aumento della richiesta di Interim Manager, esperti e competenti nella funzione e nel settore, aumentando del 6% l’utilizzo medio degli interim manager europei e portandolo, negli ultimi due anni, dal 56% al 69% del 2022. In pratica gli interim manager sono stati impegnati in incarichi per più di due terzi del loro tempo disponibile. La situazione italiana, in questo caso, è praticamente allineata con la media europea come utilizzo (67%) anche se nel 2022 quest’ultimo è stato in linea con l’anno precedente, a differenza di tutti grandi paesi europei che sono cresciuti.

A gennaio 2023 ben l’86% degli Interim Manager italiani stava svolgendo un incarico, la media più alta in Europa, dove si registra un dato del 73% medio. Il tasso di occupazione degli Interim Manager del nostro paese è sicuramente in controtendenza rispetto ai dati degli occupati a tempo indeterminato, rispetto al resto d’Europa.

 

 

È un dato che potremmo considerare strutturale perché legato alle caratteristiche peculiari del mercato locale dell’interim management; infatti, la ricerca mostra che ben il 62% degli Interim Manager italiani intervistati risulta occupato con un contratto part-time, dato nettamente superiore alla media europea (26%) e a paesi come la Germania (19%) e la Francia (8%). Da sottolineare anche la crescita esponenziale di questo dato che è passato in un anno dal 40 al 62%, grazie all’esplosione, peculiare al nostro paese, dell’utilizzo di interim manager fractional. Questo fenomeno spiega anche la sostanziale omogeneità del tasso di utilizzo dei manager che non si discosta dalla media europea, grazie a incarichi molteplici e spesso sovrapposti nel periodo.

 

 

Sono dati che in buona parte si possono giustificare esaminando la struttura dell’impresa italiana, composta da migliaia di PMI di dimensioni ben più contenute rispetto agli altri grandi paesi europei. Il 58% degli Interim Manager del nostro paese sono impiegati in aziende con meno di 100 dipendenti, contro il 28% della media europea, l’11% della Germania e il 18% della Francia. È una fotografia dell’impiego degli Interim Manager in Italia posizionati in PMI di dimensioni medio / piccole con un incarico part time o fractional.

 

 

In sintesi, possiamo dire che, sempre di più, l’utilizzo dei manager si orienta verso un aumento della flessibilità. Ma mentre nel nord Europa questo si concretizza in incarichi in prevalenza full time ma di durata attorno ai 10 mesi, in Italia si registra un progressivo aumento delle missioni di interim management part-time ma con durata mediamente superiore all’anno (13,3 mesi) e ben superiore alla media europea e a tutti i grandi paesi.

È una situazione tutto sommato positiva ma che impatta pesantemente sulla tariffa giornaliera media per l’Interim Manager che in Italia è di 676 euro; rimaniamo uno dei paesi con la remunerazione più bassa; un valore nettamente inferiore alla Svizzera (1.450 euro) e alla Germania (1.250 euro), ma anche a Francia (1.050 euro) e UK (1.000 euro) e siamo significativamente sotto la media europea di 949 euro.

 

 

Il profilo anagrafico dell’Interim Manager in Italia non si discosta molto da quello europeo: è un manager di 57 anni (in linea con l’Europa), i più giovani sono in Repubblica Ceca e Polonia, attorno ai 50 anni. Ancora poche le donne, solo l’8% del totale ma sono poche anche in Europa, l’11%.

Un dato per certi versi sorprendente e innovativo è la discesa dei ruoli di general management e C-Level che, pur rimanendo di gran lunga i più frequenti per gli Interim Manager, sono scesi al 59% in Europa con un calo italiano ancora più deciso che ha portato i C-Level dal 75% del 2020 al 55% del 2022! Un calo davvero brusco che in parte è stato compensato dalla crescita degli incarichi di Project Management, saliti dal 13 al 20%, e che testimonia un livello di incarichi tendenzialmente meno apicale nel nostro paese. 

Gli Interim Manager, in Italia e in Europa, sono chiamati soprattutto per la Gestione del cambiamento, seguito dall’ottimizzazione dei processi e dai ruoli di General Management.

Il job più frequente rimane però quello di C-Level, soprattutto CFO e COO, seguito dai CEO e GM.

 

 

Il canale prevalente di ricerca e reclutamento degli Interim Manager europei rimane il network personale dell’imprenditore e / o dei suoi advisor con il 47% degli incarichi, ma c’è da registrare l’ottima progressione delle società di Interim Management con il 32% degli incarichi, in crescita esponenziale rispetto al 20% del 2021; dati molto diversi per il mercato italiano dove la crescita delle società di Interim Management non è avvenuta e si rimane al 19% del 2021.  

È una tendenza al fai da te che potrebbe penalizzare lo sviluppo di un’offerta selezionata e di alto livello manageriale, senza trascurare il fatto che chi si propone come un operatore specializzato ha un network ampio e qualificato da cui identificare e selezionare la risorsa più in linea con le esigenze dell’imprenditore, che può altresì ottenere una flessibilità maggiore nell’utilizzo della risorsa e nella durata dell’incarico. 

 

SCARICA il report completo della Survey 2023 sull’ Interim Management europeo di INIMA 

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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